Due settimane. E’ il tempo che, per l’Ilva, è necessario per spegnere Afo/2.
Nel frattempo, si farà di tutto - a livello legale - per disinnescare il sequestro disposto dalla Procura. Se, poi, Afo/2 si spegnerà, Afo/4 lo seguirà ed a fermarsi sarà tutta la fabbrica. Per il momento non ci sono conseguenze sul piano occupazionale. Ma, è chiaro, in queste due settimane si deciderà se il Siderurgico di Taranto ha, o meno, un futuro. E’ il risultato del vertice di stamattina tra azienda e sindacati.
L’ALLARME DEL MINISTRO
“Credo che questo possa complicare le cose”. Cosi’ il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti ha commentato a ‘Dentro i fatti’ su Sky 24, il sequestro preventivo senza facolta’ d’uso dell’Altoforno 2 dell’Ilva. “Ho sentito - ha detto - solo telefonicamente i commissari. Stanno facendo le verifiche per vedere qual e’ l’impatto di questo sequestro ai fini ambientali. E’ chiaro che piu’ noi rinunciamo alla produzione, piu’ l’Ilva fa fatica ad andare avanti. Non mi permetto chiaramente di criticare il lavoro della magistratura che avra’ avuto i suoi validi motivi per fermare l’impianto. Da parte nostra il progetto e’ chiarissimo: noi vogliamo che l’Ilva possa riprendere la propria produzione nella sicurezza ambientale. Abbiamo un piano aziendale importantissimo che vale 1 miliardo e 600 mila euro che abbiamo finanziato in grande parte con i soldi del sequestro dell’Ilva, che sono 1 miliardo e 200 mila euro, ed il piano sta andando avanti. Quindi questo rischia di complicare le cose”.
“Credo che questo possa complicare le cose”. Cosi’ il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti ha commentato a ‘Dentro i fatti’ su Sky 24, il sequestro preventivo senza facolta’ d’uso dell’Altoforno 2 dell’Ilva. “Ho sentito - ha detto - solo telefonicamente i commissari. Stanno facendo le verifiche per vedere qual e’ l’impatto di questo sequestro ai fini ambientali. E’ chiaro che piu’ noi rinunciamo alla produzione, piu’ l’Ilva fa fatica ad andare avanti. Non mi permetto chiaramente di criticare il lavoro della magistratura che avra’ avuto i suoi validi motivi per fermare l’impianto. Da parte nostra il progetto e’ chiarissimo: noi vogliamo che l’Ilva possa riprendere la propria produzione nella sicurezza ambientale. Abbiamo un piano aziendale importantissimo che vale 1 miliardo e 600 mila euro che abbiamo finanziato in grande parte con i soldi del sequestro dell’Ilva, che sono 1 miliardo e 200 mila euro, ed il piano sta andando avanti. Quindi questo rischia di complicare le cose”.
CONFINDUSTRIA: UNA MAZZATA
“È l’ennesima mazzata, è a rischio l’intera siderurgia di Taranto e l’intera competitività del Paese. Non bastano più decreti legge e leggi speciali, se si è deciso di salvare l’Ilva si devono mettere i soldi e fare gli interventi. Subito, altrimenti non c’è futuro”. È duro il commento di Angelo Bozzetto, presidente di Confindustria Puglia, con Labitalia, alla notizia della chiusura da parte della magistratura dell’altoforno 2 dello stabilimento Ilva di Taranto. “Quello della magistratura è un intervento legittimo -sottolinea Bozzetto- ma che mette appunto a repentaglio l’intero sistema siderurgico di Taranto con ripercussioni che hanno diverse sfaccettature. Dal ricorso agli ammortizzatori sociali per i lavoratori e le aziende che operano nell’altoforno fino all’aggravarsi di una situazione di crisi sul mercato per l’azienda stessa”. La soluzione, per Bozzetto, è una sola. “Vanno messi in campo subito risorse per realizzare gli interventi di ammodernamento degli impianti -sottolinea- dal punto di vista sia della sicurezza che dell’ambiente”. Altrimenti, conclude Bozzetto, ad essere a rischio non è solo l’Ilva di Taranto, ma “tutto il nostro sistema siderurgico, il 30% del sistema manifatturiero che opera nella trasformazione dell’acciaio, con un aggravio dei costi e una caduta di competitività per l’intero sistema Paese”.
“È l’ennesima mazzata, è a rischio l’intera siderurgia di Taranto e l’intera competitività del Paese. Non bastano più decreti legge e leggi speciali, se si è deciso di salvare l’Ilva si devono mettere i soldi e fare gli interventi. Subito, altrimenti non c’è futuro”. È duro il commento di Angelo Bozzetto, presidente di Confindustria Puglia, con Labitalia, alla notizia della chiusura da parte della magistratura dell’altoforno 2 dello stabilimento Ilva di Taranto. “Quello della magistratura è un intervento legittimo -sottolinea Bozzetto- ma che mette appunto a repentaglio l’intero sistema siderurgico di Taranto con ripercussioni che hanno diverse sfaccettature. Dal ricorso agli ammortizzatori sociali per i lavoratori e le aziende che operano nell’altoforno fino all’aggravarsi di una situazione di crisi sul mercato per l’azienda stessa”. La soluzione, per Bozzetto, è una sola. “Vanno messi in campo subito risorse per realizzare gli interventi di ammodernamento degli impianti -sottolinea- dal punto di vista sia della sicurezza che dell’ambiente”. Altrimenti, conclude Bozzetto, ad essere a rischio non è solo l’Ilva di Taranto, ma “tutto il nostro sistema siderurgico, il 30% del sistema manifatturiero che opera nella trasformazione dell’acciaio, con un aggravio dei costi e una caduta di competitività per l’intero sistema Paese”.
LA NOTA DEI CARABINIERI
“Nel corso del pomeriggio odierno, in Taranto, presso il locale stabilimento siderurgico Ilva, militari del comando provinciale carabinieri di taranto congiuntamente a personale Spesal dell’Asl di Taranto, dava esecuzione a un decreto di sequestro preventivo d’urgenza, senza facolta’ d’uso, dell’altoforno 2 “reparto afo 2” in cui l’8 giugno scorso, restava gravemente ferito l’operaio morricella alessandro deceduto in bari in data 12 giugno scorso a seguito delle gravi ustioni riportate. Il sequestro deriva dalla circostanza che in atto la libera disponibilita’ dell’impianto in questione, in assenza delle dovute e adeguate precauzioni, in attesa di conoscere le cause dell’evento anomalo a base dell’infortunio, nonche’ di quelli successivi di minore entita’ seguiti nei giorni successivi, nel dubbio di un malfunzionamento degli apparati di segnalazione di anomalie, possa costituire fonte di pericolo di eventi e reati analoghi”. E’ la nota giunta ieri sera in redazione.
“Nel corso del pomeriggio odierno, in Taranto, presso il locale stabilimento siderurgico Ilva, militari del comando provinciale carabinieri di taranto congiuntamente a personale Spesal dell’Asl di Taranto, dava esecuzione a un decreto di sequestro preventivo d’urgenza, senza facolta’ d’uso, dell’altoforno 2 “reparto afo 2” in cui l’8 giugno scorso, restava gravemente ferito l’operaio morricella alessandro deceduto in bari in data 12 giugno scorso a seguito delle gravi ustioni riportate. Il sequestro deriva dalla circostanza che in atto la libera disponibilita’ dell’impianto in questione, in assenza delle dovute e adeguate precauzioni, in attesa di conoscere le cause dell’evento anomalo a base dell’infortunio, nonche’ di quelli successivi di minore entita’ seguiti nei giorni successivi, nel dubbio di un malfunzionamento degli apparati di segnalazione di anomalie, possa costituire fonte di pericolo di eventi e reati analoghi”. E’ la nota giunta ieri sera in redazione.
IL MESSAGGIO DEL VESCOVO
“Non potendo presenziare per impegni fuori diocesi, desidero ugualmente e fortemente manifestare il mio affetto paterno e rendermi presente, in punta di piedi, a partecipare per quanto possibile al dolore della famiglia Morricella, al dolore di una comunità intera per la scomparsa del caro Alessandro”. E’ il messaggio inviato ieri sera dal vescovo Santoro. “Il 12 giugno scorso presiedevo l’Eucarestia nel ricordo proprio delle vittime del lavoro e il mio pensiero era rivolto a Alessandro che ancora combatteva fra la vita e la morte. Ho chiesto al Signore di strapparlo alla sua fine. Evidentemente le vie del Signore sono misteriose. Proprio in quella circostanza, avendo nell’assemblea liturgica i familiari di tante vite spezzate, ho sentito il bisogno di partecipare loro un’intuizione evangelica che anche ora in questo momento voglio condividere con voi, e cioè che se non ci fosse il Signore la nostra disperazione sarebbe plausibile, se non ci fosse il Risorto avremmo tutte le ragioni per sentire in questo momento l’abbandono, l’impotenza e l’essere schiacciati dalla tragedia. Si conclude, però, il pellegrinaggio terreno di Alessandro avendo innanzi a noi la croce di Gesù, abbiamo ascoltato il racconto il racconto dell’evangelista Luca, e contempliamo il Cristo morto sul patibolo. Ci stupisce che il Cristo sulla croce alla fine trovi la forza di abbandonarsi, di fidarsi, di consegnare il suo spirito al Padre”.
“Non potendo presenziare per impegni fuori diocesi, desidero ugualmente e fortemente manifestare il mio affetto paterno e rendermi presente, in punta di piedi, a partecipare per quanto possibile al dolore della famiglia Morricella, al dolore di una comunità intera per la scomparsa del caro Alessandro”. E’ il messaggio inviato ieri sera dal vescovo Santoro. “Il 12 giugno scorso presiedevo l’Eucarestia nel ricordo proprio delle vittime del lavoro e il mio pensiero era rivolto a Alessandro che ancora combatteva fra la vita e la morte. Ho chiesto al Signore di strapparlo alla sua fine. Evidentemente le vie del Signore sono misteriose. Proprio in quella circostanza, avendo nell’assemblea liturgica i familiari di tante vite spezzate, ho sentito il bisogno di partecipare loro un’intuizione evangelica che anche ora in questo momento voglio condividere con voi, e cioè che se non ci fosse il Signore la nostra disperazione sarebbe plausibile, se non ci fosse il Risorto avremmo tutte le ragioni per sentire in questo momento l’abbandono, l’impotenza e l’essere schiacciati dalla tragedia. Si conclude, però, il pellegrinaggio terreno di Alessandro avendo innanzi a noi la croce di Gesù, abbiamo ascoltato il racconto il racconto dell’evangelista Luca, e contempliamo il Cristo morto sul patibolo. Ci stupisce che il Cristo sulla croce alla fine trovi la forza di abbandonarsi, di fidarsi, di consegnare il suo spirito al Padre”.
CONDANNA PER FABIO RIVA
La Corte d’Appello di Milano ha confermato la condanna a 6 anni e mezzo di carcere per Fabio Riva, figlio dell’ex patron dell’Ilva Emilio, per la vicenda della presunta truffa ai danni dello Stato da circa 100 milioni di euro. Confermate anche le altre due condanne inflitte in primo grado ad altrettanti imputati, la confisca di 91 milioni di euro e la provvisionale da 15 milioni di euro a favore del Ministero dello Sviluppo economico. Fabio Riva, che è stato latitante per quasi 3 anni prima di costituirsi, era presente in aula. Ex vicepresidente di Riva Fire, la holding che controllava il gruppo dell’Ilva di Taranto, ha ascoltato seduto sul banco degli imputati, con a fianco le guardie penitenziarie, tutti gli interventi delle difese. I giudici della quarta sezione della Corte d’Appello (presidente Luigi Martino), accogliendo la richiesta del sostituto pg Piero De Petris, hanno confermato le condanne inflitte il 21 luglio 2014 dal Tribunale: 6 anni e mezzo per Fabio Riva, ex vicepresidente di Riva Fire, la holding che controllava il gruppo dell’Ilva di Taranto, 5 anni per l’ex presidente della finanziaria svizzera Eufintrade Alfredo Lomonaco e 3 anni per l’ex consigliere delegato di Ilva Sa Agostino Alberti. Confermata anche la multa di 1,5 milioni di euro a Riva Fire spa, imputata in base alla legge 231 del 2001, oltre alla confisca di beni mobili e immobili a tutti gli imputati fino a raggiungere la somma di 90,8 milioni di euro e la provvisionale di 15 milioni da versare al Ministero dello Sviluppo economico.
La Corte d’Appello di Milano ha confermato la condanna a 6 anni e mezzo di carcere per Fabio Riva, figlio dell’ex patron dell’Ilva Emilio, per la vicenda della presunta truffa ai danni dello Stato da circa 100 milioni di euro. Confermate anche le altre due condanne inflitte in primo grado ad altrettanti imputati, la confisca di 91 milioni di euro e la provvisionale da 15 milioni di euro a favore del Ministero dello Sviluppo economico. Fabio Riva, che è stato latitante per quasi 3 anni prima di costituirsi, era presente in aula. Ex vicepresidente di Riva Fire, la holding che controllava il gruppo dell’Ilva di Taranto, ha ascoltato seduto sul banco degli imputati, con a fianco le guardie penitenziarie, tutti gli interventi delle difese. I giudici della quarta sezione della Corte d’Appello (presidente Luigi Martino), accogliendo la richiesta del sostituto pg Piero De Petris, hanno confermato le condanne inflitte il 21 luglio 2014 dal Tribunale: 6 anni e mezzo per Fabio Riva, ex vicepresidente di Riva Fire, la holding che controllava il gruppo dell’Ilva di Taranto, 5 anni per l’ex presidente della finanziaria svizzera Eufintrade Alfredo Lomonaco e 3 anni per l’ex consigliere delegato di Ilva Sa Agostino Alberti. Confermata anche la multa di 1,5 milioni di euro a Riva Fire spa, imputata in base alla legge 231 del 2001, oltre alla confisca di beni mobili e immobili a tutti gli imputati fino a raggiungere la somma di 90,8 milioni di euro e la provvisionale di 15 milioni da versare al Ministero dello Sviluppo economico.
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