mercoledì 10 giugno 2015

Truffa da 100 milioni, pg Milano chiede conferma condanna 6 anni e mezzo per Fabio Riva


MILANO – Il sostituto pg di Milano Pietro De Petris ha chiesto la conferma della condanna inflitta in primo grado a Fabio Riva, figlio dell’ex patron dell’Ilva Emilio Riva, all’ex presidente della finanziaria svizzera Eufintrade Alfredo Lomonaco, e all’ex consigliere delegato di Ilva Sa Agostino Alberti per la vicenda di una presunta truffa allo Stato da circa cento milioni di euro.

Secondo l’accusa, sarebbe stata creata una società ad hoc in Svizzera, proprio l’Ilva Sa, per aggirare la normativa (la 'legge Ossolà) sull'erogazione di contributi pubblici per le aziende che esportano all’estero. Nel corso dell’udienza del processo di secondo grado, alla quarta sezione penale della Corte d’Appello di Milano, il sostituto pg ha sottolineato che Ilva Sa "è nata su input di Fabio Riva" che avrebbe dato mandato ad Alberti di "costituire una società per sfruttare la legge Ossola". Attraverso questa operazione, quindi, sarebbe stato "indotto in errore lo Stato", per ottenere "contributi che in realtà non si potevano avere".

Lo scorso 21 luglio il Tribunale di Milano aveva condannato Fabio Riva a sei anni e mezzo di carcere, Lomonaco a 5 anni e Alberti a 3 anni di reclusione. I giudici avevano anche disposto una provvisionale da 15 milioni di euro per il ministero dello Sviluppo economico, parte civile nel procedimento, e avevano ordinato la confisca per equivalente della presunta truffa fino a una concorrenza di circa 91 milioni di euro di beni mobili e immobili a tutti gli imputati. L'avvocato dello Stato Gabriella Vanadia, che rappresenta il ministero, nel suo intervento nel processo d’appello ha sostenuto che "attraverso artifici e raggiri" è stato ottenuto "un ingiusto profitto con l’accesso a contributi pubblici quando non sussistevano i presupposti".

Dopo due anni e mezzo di latitanza Fabio Riva, venerdì scorso, si è costituito ed è stato arrestato all’aeroporto di Fiumicino. Oltre al procedimento milanese, l’imprenditore è imputato a Taranto, in concorso con altri, per associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento delle sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro, corruzione, falso e abuso d’ufficio.

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