Capiamo bene, col cuore siamo vicino a quanto dice il compagno di lavoro di Alessandro, ma con la testa, no. Con la speranza che chi devrebbe non renda vane le morti degli operai, come quella di Alessandro, non si è mai andati avanti prima e non si va avanti ora. E' come chiedere agli stessi assassini di non fare più omicidi!
Siete voi operai che, senza più aspettare, dovete fare i fatti, perchè lo Stato, gli organi di controllo siano costretti a fare i fatti!
Da una lettera di un compagno di lavoro di Alessandro Morricella, ad una giornalista de Il Fatto quotidiano:
“...Tu che sei una giornalista nata e cresciuta a Taranto, per favore racconta anche la storia degli operai che non urlano, che vogliono vivere da cittadini onesti, che vogliono avere una famiglia mettendo a monte anche la salute e la vita”. Ecco la lettera di un collega, di un amico. Cresciuto in quell’altoforno con Alessandro.
Mercoledì 10 giugno. Ciao Valentina, le
condizioni di Alessandro sono tragiche. Il mio amico, fratello, ha il
sistema nervoso centrale completamente andato e gli organi interni
seriamente danneggiati. Oltre alle ustioni sul 90 per cento del corpo.
Lo tengono in vita con il macchinario.
Giovedì ll giugno. Alessandro ha
resistito un’altra notte. In fabbrica hanno aperto un’indagine. Sono
arrivati gli ispettori e stanno pressando molto per raccogliere
informazioni e per accertare cause e responsabilità dell’incidente.
Abbiamo saputo che anche la Procura ha aperto un fascicolo. Tra noi
operai in reparto il clima è allucinante: adesso ci spaventa anche la
routine quotidiana.
Venerdì 12 giugno. Arrivano notizie
circa un lieve miglioramento di Alessandro. Anche se la situazione resta
drammatica. Una equipe del Gaslini è direttamente arrivata al
Policlinico di Bari.
Sabato 13 giugno. Se ne è andato. All’ospedale è venuto uno dei
Commissari, non so chi dei tre o quattro. Per portare alla famiglia il
cordoglio dell’azienda. Alessandro era un operaio e anche un attivista
sindacale. Ci informavamo, leggevamo sempre. Siamo un po’ diversi dal
cliché dell’operaio standard (fammi passare il termine) che tutti si
immaginano: otto ore e poi a casa senza interessarsi di nient’altro.
In Ilva il concetto di sicurezza si è
affacciato negli ultimi anni, in maniera molto più seria del passato,
perlomeno a livello teorico. A livello pratico alcune volte – ancora
oggi – chi comanda continua a esercitare il modus operandi dei tempi dei
Riva. La sicurezza sul lavoro è anche un concetto individuale, certo,
da coltivare, ma spesso la gente ha la testa altrove (mi ci metto anche
io) subissata dai problemi quotidiani. Non può essere colpa nostra. Negli ultimi anni dopo le indagini, i
sequestri, i vari decreti governativi eccetera, la nostra ansia, la
paura, sono aumentate. Pensi allo stipendio del mese dopo, arriverà?
Pensi alla cassa integrazione, al futuro che non c’è, la casa, il mutuo,
i figli. La distrazione è dietro l’angolo...
Avevamo 21 anni io e Ale quando ci hanno
messi sull’altoforno. Essere un altofornista difficilmente si può
spiegare all’esterno, non è un lavoro da catena di montaggio, impari a
convivere con i 1500 gradi della ghisa, con portate di gas, vento
abnorme. Impari a convivere con la paura, quasi a sfidarla. Questo è un
lavoro che non si ferma mai, il giorno di Natale lo festeggi con i tuoi
compagni di reparto, a Capodanno la mezzanotte la aspetti con loro.
Quando uno di essi viene strappato alla vita, ti lascia tramortito.
Con Alessandro parlavamo di questo: lui
era cresciuto senza padre e voleva essere per questo un bravo papà. Io
lo diventerò a breve ma non sono sicuro che sto facendo la cosa giusta.
Spesso ho sentito anche quella sensazione di tradimento verso la mia
città, un fardello pesante. Per questo quando esco dalla fabbrica dedico
la mia vita a fare qualcosa per gli altri, per i giovani. Per
sdebitarmi. Chiedo allo Stato di non far svanire il sacrificio di
Alessandro, ricordandolo in nome della sicurezza sul posto di lavoro. Di
non vedere l’Ilva solo come una opportunità politica per fare slogan,
per il Pil nazionale, lì dentro c’è gente in carne e ossa e alcune volte
quella carne e quelle ossa vanno in fumo. La speranza è finita, servono
i fatti altrimenti meglio chiudere che piangere altri morti”.
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