Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro
Alla luce di una importante sentenza della
Corte di Cassazione civile (n. 1037 del 2015) che, da un lato ha dato per
acquisite alcune modalità per il riconoscimento del mobbing (anche sotto il profilo
risarcitorio) e, dall’altro, ha stabilito che la responsabilità del datore di
lavoro non viene meno quando a mettere in atto le azioni mobbizzanti siano
stati colleghi di lavoro del mobbizzato.
Ma andiamo per gradi e rileggiamo cosa
dice il 2087 c.c. (Tutela delle condizioni di lavoro): “ L'imprenditore è
tenuto ad adottare
nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del
lavoro,
l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica
e la personalità morale dei prestatori di
lavoro”. ".
Visto il quadro generale di riferimento,
vediamo ora cosa prevede nello specifico la
sentenza della Cassazione civile, sez. lav., 15 maggio 2015, n. 10037.
La Cassazione civile è intervenuta con la propria
decisione sulla legittimità della sentenza emessa dalla Corte di Appello dell’Aquila che
condannava in solido il Comune di Colonnella e C.E.G. a risarcire il danno alla
salute e professionale in favore della dipendente D.M.A. quale conseguenza di
un comportamento mobbizzante.
Le risultanze istruttorie confermavano: “ la sottrazione delle mansioni,
la conseguente emarginazione, lo spostamento senza plausibili ragioni da un
ufficio all’altro, l’umiliazione di essere subordinati a quello che prima era
un proprio sottoposto, l’assegnazione ad un ufficio aperto al pubblico senza
possibilità di poter lavorare, così rendendo ancor più cocente la propria
umiliazione”.
Prosegue ancora la sentenza nel sottolineare che "Nel caso di specie si era riscontrata
la presenza contestuale di tutti e sette
i parametri tassativi di riconoscimento del mobbing, per cui la Cassazione
ha respinto il ricorso presentato dal Comune contro il risarcimento richiesto. "
Sette i parametri per l'accertamento del mobbing individuati nel metodo per la valutazione e la
quantificazione dello specifico danno secondo il metodo inventato dallo
psicopatologo Harald Ege che consente sia il riconoscimento (o meno) della
presenza del mobbing, sia il calcolo del grado di lesione risarcibile riportata
dal soggetto mobbizzato. (H. Ege, La valutazione peritale del danno da mobbing,
Ed. Giuffrè, Milano, 2002).
1. L’ambiente lavorativo: il conflitto deve
svolgersi sul posto di lavoro (meglio sarebbe parlare di occasione di lavoro
ndr);
2. la frequenza (le azioni ostili devono
accadere almeno alcune volte al mese);
3. la durata (i conflitti devono essere in
corso da almeno 6 mesi);
4. il tipo di azioni (le azioni devono
appartenere ad almeno 2 delle categorie del Lipt Hege, questionario elaborato
del 1950 da H. Ege);
5.
il dislivello tra antagonisti (la vittima
deve trovarsi in posizione costante di
inferiorità);
6. l’andamento secondo fasi successive (la
vicenda ha raggiunto almeno la II° fase del modello H. Ege);
7. l’intento persecutorio (nella vicenda deve
essere riscontrabile un disegno vessatorio coerente e finalizzato… un obiettivo
conflittuale… una carica emotiva e soggettiva…).
Con la stessa sentenza la Corte di Cassazione ha affermato che "la circostanza che la condotta di mobbing provenga da altro
dipendente in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, non
vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro su cui incombono gli
obblighi di cui all'art. 2049 cc, ove questo sia rimasto colpevolmente inerte
alla rimozione del fatto lesivo".
Né secondo la Corte del merito "il Comune poteva essere scriminato dal danno arrecato alla
lavoratrice giacché la circostanza che la condotta di mobbing provenga da altro
dipendente in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, non
vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro su cui incombono gli
obblighi di cui all'art. 2049 c.c., ove questo sia rimasto colpevolmente inerte
alla rimozione del fatto lesivo".
(Art. 2049 c.c.: “I padroni e i committenti sono responsabili per i
danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio
delle incombenze a cui sono adibiti”.).
Per questi motivi la Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi presentati con la conferma delle condanne inflitte dal giudice di merito e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
Per questi motivi la Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi presentati con la conferma delle condanne inflitte dal giudice di merito e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
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