In questo 2° capitolo Marx fa una descrizione precisa della
piccola borghesia, che chiarisce molte cose dell'oggi.
Nel secondo capitolo de “Le lotte di classe in Francia” si affrontano gli avvenimenti dal giugno ‘48 al giugno ‘49. Marx li sintetizza in questa maniera:
“Il 25 febbraio 48 aveva dato alla Francia la Repubblica, il 25 giugno le impose la rivoluzione. E rivoluzione significava dopo giugno, rovesciamento della società borghese, mentre prima di febbraio aveva significato rovesciamento della forma dello Stato”.
Quindi, il potere veniva preso dalla frazione repubblicana della borghesia e gli sconfitti nella sostanza erano la frazione dei repubblicani democratici, in sostanza i rappresentanti della piccola borghesia.
Questa frazione aveva giocato il suo ruolo perché contava sulla forza rivoluzionaria degli operai che erano scesi in campo, ma nella sostanza la frazione democratica della piccola borghesia si era schierata con la frazione della borghesia per fermare la forza rivoluzionaria degli operai; ma così facendo aveva segato l’albero su cui era seduta.
E qui Marx trae una legge generale, valida per la lotta di classe di ieri e di oggi:
“La piccola borghesia non può avere una posizione rivoluzionaria contro la borghesia se non in
quanto abbia dietro di sé il proletariato”.
Gli avvenimenti politici delle società capitalistiche odierne presentano spesso un quadro simile. La piccola borghesia e le sue forze svolgono una funzione di opposizione che attrae il proletariato o parte di esso e che scende in campo per appoggiare il cambiamento, ma finché questo cambiamento è funzionale o compatibile con gli interessi della borghesia, questo appoggio viene voluto ed ostentato, non appena però appaiono gli interessi differenti e quindi autonomi del proletariato anche la frazione più radicale della piccola borghesia si unisce alla borghesia nel suo insieme per respingere, soffocare le rivendicazioni del proletariato. Il passaggio successivo è proprio quello per cui la borghesia non ha più bisogno delle forze della piccola borghesia e anche esse non hanno più la forza dietro che le aveva sostenuto. E’ in questo quadro che si afferma la dittatura aperta, qualunque siano le sue forme politiche, della borghesia, verso cui l’unica alternativa è appunto il generarsi, formarsi ed esprimersi della forza autonoma del proletariato.
Marx prosegue nell’analisi della dinamica delle frazioni di classe e dei loro interessi politici, delineatesi dopo gli eventi di giugno e tratteggia le contraddizioni tra le varie frazioni sia negli aspetti che le uniscono, sia negli aspetti che le dividono, e in particolare la dinamica del loro movimento reale. E anche da questa descrizione trae un altro elemento che va considerato una legge generale. Scrive Marx: “Quando si trattava di difendere la forma della repubblica borghese (la frazione repubblicana borghese) essa disponeva dei voti dei repubblicani democratici, ma se si trattava di difendere il contenuto neppure il modo di esprimersi la separava più dalle frazioni della borghesia monarchiche, poiché gli interessi della borghesia, le condizioni materiali del suo dominio e del suo sfruttamento di classe costituiscono appunto il contenuto della repubblica borghese” .
L’esistenza di una frazione comunque più a destra della frazione dominante nel panorama politico del potere borghese è funzionale al dominio della borghesia perché permette alla sua frazione dominante di agitare lo spauracchio della frazione più reazionaria per attirare a sé l’opposizione democratica piccolo borghese; salvo che poi, in un momento successivo a questa “unità nazionale”, la frazione dominante assume una veste, un linguaggio e un’azione pressoché identica a quella della frazione più reazionaria.
Per questo il proletariato non può farsi trascinare nelle dinamiche delle forze politiche della borghesia, neanche nella sua frazione piccolo borghese dell’opposizione, ma deve, come dice Marx: “Guardare alle condizioni materiali del dominio e dello sfruttamento” che sono l’unico vero contenuto della repubblica borghese, diremmo oggi della repubblica democratico parlamentare.
Cosa avviene, quindi, nella descrizione che Marx fa.
Il pieno ristabilimento del potere borghese porta la frazione dominante, i repubblicani borghesi a fare i conti con la frazione repubblicana democratica, espressione della piccola borghesia, per cancellarla come forza di opposizione. E per fare questo, chiama in servizio i vecchi arnesi della frazione più reazionaria che rifanno la storia degli eventi in termini apertamente criminogeni e controrivoluzionari, per cancellare ogni traccia di quegli eventi che, non dimentichiamo, avevano visto protagonista la forza rivoluzionaria del proletariato, e processare i rappresentanti della piccola borghesia e anche della sue espressioni “socialiste”, addebitando a loro gli aspetti di quegli eventi che avevano minato il potere borghese.
Carcere e repressione, quindi, anche per gli esponenti della piccola borghesia che pur sedeva nello stesso parlamento. Parlamento che in realtà non conta più nulla, che è un simulacro di quella democrazia che viene cancellata.
Sul piano sociale ciò che succede ai rappresentanti politici della piccola borghesia succede ai piccolo borghesi nella società. “Così – dice Marx – caffettieri, trattori, piccoli negozianti, merciaioli, artigiani” che erano scesi in piazza al fine di salvaguardare i loro interessi, che pensavano sarebbero tornati a fiorire, dice Marx, “quando le barricate furono abbattute e gli operai schiacciati, i negozianti ebbri di vittoria tornarono precipitosamente alle proprie botteghe e ne trovarono barricato l’ingresso da un salvatore della proprietà, da un agente ufficiale del credito che agitava loro in faccia… cambiale scaduta! Fiotto scaduto!… Bottega fallita! Bottegaio fallito!”.
La piccola borghesia aveva partecipato alla “rivoluzione” in nome della salvaguardia della proprietà e si ritrovava alla fine del gioco di fronte alla dura realtà che nulla era di loro proprietà, “né la casa, né la bottega, né le merci, né il negozio, né il piatto in cui mangiavano, né il letto in cui dormivano”.
Così come erano scesi in piazza per il ristabilimento del credito e trovavano questa divinità che in nome del credito “cacciava dalle sue quattro mura il debitore insolvente con la sua donna e i suoi figli, dava in preda al capitale i suoi effimeri beni e gettava lui stesso in prigione per debito”.
Anche qui Marx segnala una legge generale del movimento delle classi: “i piccolo borghesi riconobbero con terrore che schiacciando i proletari si erano consegnati senza resistenza nelle mani dei loro creditori… La loro proprietà nominale era stata lasciata in pace fino a che si era trattato di spingerli sul campo di battaglia in nome della proprietà, ora che si era regolato il grande affare col proletariato si poteva tornare a regolare anche il piccolo affare con il droghiere”.
E’ fondamentale qui che i proletari comprendano bene questa dinamica per capire due questioni di fondo:
primo, che quella borghesia che li chiama a scendere in lotta, ad appoggiarla nella sua ascesa al potere, “andare al governo con il loro voto” da un lato lo fa per i suoi esclusivi interessi ed è pronta un momento dopo che è andata al potere a servire e aiutare la borghesia nello schiacciare i proletari, nel tradire i loro interessi e le promesse su cui ha ottenuto i voti, salvo poi, dopo aver fatto questo servizio, trovarsi essa stessa fuori dal governo e sotto i colpi della borghesia effettivamente dominante.
Secondo, che la borghesia è l’unica classe che domina realmente nella società del capitale e che il rovesciamento della borghesia è l’unica battaglia realmente da fare e che essa deve essere fatta con la forza autonoma del proletariato.
(CONTINUA)
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