A Stefano
Delli Ponti, a sua moglie, ai suoi familiari, ai suoi figli che non
ho conosciuto…
Mi chiamo
Gaglio Giuseppe e lavoro come OSS all’Istituto Nazionale dei Tumori
di Milano. E da anni vivo il dramma, le angosce, la rabbia, le
speranze di chi si trova scaricato addosso questo macigno chiamato
Tumore e affronta questo “viaggio della speranza”. Una malattia
che non conosce confini, ma che per esperienza ho visto colpire in
prevalenza operai che hanno lavorato nelle fabbriche della morte
– dall’Ilva alla Fibronit, da Fincantieri alla Breda - dove per la
loro sete di profitto i padroni ASSASSINI se ne fottono della stessa
vita degli operai. E, purtroppo, ho visto e vedo che da questa
barbarie non sono esclusi i familiari di questi operai. Sia perché
quando il cancro non li colpisce direttamente, subiscono una morte
interiore, una lacerazione dei sentimenti, un distacco dai propri
affetti non richiesto. Ma la sete di PROFITTO dei padroni è grande,
e grande il danno che questi animali elargiscono alla collettività.
Così vedo chi in fabbrica non ci è mai entrato, ma per il solo
fatto di vivere a ridosso di questi siti, come ai Tamburi, o anche
per lavorare nei paraggi, come i cimiteriali di Taranto, si ammalano
di tumore. Il lavoro non facile il mio, dove contano tanti fattori.
Farlo con umanità, senza scadere nel pietismo (questo me l’hanno
insegnato i malati). Non farlo in maniera distaccata, fredda, perché
se è vero che non ti devi far travolgere dall’emotività, devi
“rimanere umano”. Ma soprattutto sono anchio un proletario come
Stefano, un “operaio della sanità”, che ha una coscienza di
classe, e sono stanco di versare lacrime per questi miei fratelli.
Sono pieno di rabbia per la barbarie e l’ingiustizia di questo
sistema e per questo ho aderito e promosso la Rete Nazionale per la
Salute e Sicurezza sul Lavoro e Territorio. Perché voglio GIUSTIZIA.
Quando ho letto il volantino dello Slai Cobas per il sindacato di
classe che annunciava la morte di Stefano ho avuto un tuffo al cuore.
Mi ronzava in testa il pensiero “questo nome non mi è nuovo”
“quest’uomo io lo già visto”. Poi leggendo l’articolo del
Corriere e vedendo la sua foto, purtroppo, i dubbi sono diventati
certezze. Era il mese di novembre e Stefano, accompagnato dai suoi
familiari, viene ricoverato nel Reparto dove lavoro ed è toccato a
me spiegargli le solite “banalità”: stanza- letto-orari,
mantenendo sempre un atteggiamento leggero e rispettoso verso chi
viene pieno di speranze e con la spada di Damocle del “male
incurabile”. E tra le “competenze” (non contemplate dal
contratto di lavoro) cerchi di entrare in “confidenza” e provare
a rendergli più lieve l’impatto con un ospedale oncologico. E
Stefano mi dice “sono di Taranto”. La mia risposta spontanea è
stata “un altro regalo dell’Ilva”. E lui mi dice “ma io
all’Ilva ci lavoro”. E così come se ci conoscessimo da sempre è
stato un serrato botta e risposta: “ma tu conosci Taranto e l’Ilva”
e io “si, ci ho fatto pure delle manifestazioni, proprio sul
problema della salute e sicurezza, come nel 2009 partendo dai
Tamburi”. Ecco, come sempre, scattarmi il senso
di appartenenza, che non è trattare diversamente i malati, ma
appartenenza ad una grande famiglia: la classe operaia. Una
“famiglia” che più di altre subisce le ingiustizie di questo
sistema: sfuttamento e morte. Ma la cui sete di Giustizia e Lotta non
possono cancellare, ne dobbiamo permetterglielo. Non voglio farla
tanto lunga, vorrei soltanto che giungesse al cuore e alle menti dei
suoi familiari le mie umili condoglianze ed una promessa: il mio
piccolo contributo alla battaglia per ottenere GIUSTIZIA. Ma voglio
parlare anche ai suoi compagni di lavoro, da chi lo conosceva
personalmente a chi ha dato il suo contributo che gli permettesse di
curarsi, e agli abitanti dei Tamburi: io sabato 11 gennaio sarò a
Taranto, all’Assemblea della Biblioteca di Piazzale Bestat promossa
dalle Rete Nazionale per la Salute e Sicurezza sui posti di Lavoro e
Territorio, perché penso che questo sia un dovere verso Stefano e
tutti gli operai uccisi da questo sistema. Venite – incontriamoci.
Uniamo le energie. Solo con la lotta e la determinazione possiamo
rendergli più lieve il viaggio senza ritorno che non hanno deciso
loro. La solidarietà di classe, si fa e basta. Solo così possiamo
guardare negli occhi i nostri figli e le future generazioni, e fargli
intravedere un futuro Nuovo che cambi lo stato di cose presenti.
Gaglio
Giuseppe ,OSS “Istituto Tumori, Milano”
della Rete
nazionale salute e sicurezza sui posti di lavoro e territori nodo
Milano
retesicurezzamilano@gmail.com
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