venerdì 3 gennaio 2014

Ho conosciuto Stefano quando è stato ricoverato in Istituto a Milano

A Stefano Delli Ponti, a sua moglie, ai suoi familiari, ai suoi figli che non ho conosciuto…
Mi chiamo Gaglio Giuseppe e lavoro come OSS all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. E da anni vivo il dramma, le angosce, la rabbia, le speranze di chi si trova scaricato addosso questo macigno chiamato Tumore e affronta questo “viaggio della speranza”. Una malattia che non conosce confini, ma che per esperienza ho visto colpire in prevalenza operai che hanno lavorato nelle fabbriche della morte – dall’Ilva alla Fibronit, da Fincantieri alla Breda - dove per la loro sete di profitto i padroni ASSASSINI se ne fottono della stessa vita degli operai. E, purtroppo, ho visto e vedo che da questa barbarie non sono esclusi i familiari di questi operai. Sia perché quando il cancro non li colpisce direttamente, subiscono una morte interiore, una lacerazione dei sentimenti, un distacco dai propri affetti non richiesto. Ma la sete di PROFITTO dei padroni è grande, e grande il danno che questi animali elargiscono alla collettività. Così vedo chi in fabbrica non ci è mai entrato, ma per il solo fatto di vivere a ridosso di questi siti, come ai Tamburi, o anche per lavorare nei paraggi, come i cimiteriali di Taranto, si ammalano di tumore. Il lavoro non facile il mio, dove contano tanti fattori. Farlo con umanità, senza scadere nel pietismo (questo me l’hanno insegnato i malati). Non farlo in maniera distaccata, fredda, perché se è vero che non ti devi far travolgere dall’emotività, devi “rimanere umano”. Ma soprattutto sono anchio un proletario come Stefano, un “operaio della sanità”, che ha una coscienza di classe, e sono stanco di versare lacrime per questi miei fratelli. Sono pieno di rabbia per la barbarie e l’ingiustizia di questo sistema e per questo ho aderito e promosso la Rete Nazionale per la Salute e Sicurezza sul Lavoro e Territorio. Perché voglio GIUSTIZIA. 
Quando ho letto il volantino dello Slai Cobas per il sindacato di classe che annunciava la morte di Stefano ho avuto un tuffo al cuore. Mi ronzava in testa il pensiero “questo nome non mi è nuovo” “quest’uomo io lo già visto”. Poi leggendo l’articolo del Corriere e vedendo la sua foto, purtroppo, i dubbi sono diventati certezze. Era il mese di novembre e Stefano, accompagnato dai suoi familiari, viene ricoverato nel Reparto dove lavoro ed è toccato a me spiegargli le solite “banalità”: stanza- letto-orari, mantenendo sempre un atteggiamento leggero e rispettoso verso chi viene pieno di speranze e con la spada di Damocle del “male incurabile”. E tra le “competenze” (non contemplate dal contratto di lavoro) cerchi di entrare in “confidenza” e provare a rendergli più lieve l’impatto con un ospedale oncologico. E Stefano mi dice “sono di Taranto”. La mia risposta spontanea è stata “un altro regalo dell’Ilva”. E lui mi dice “ma io all’Ilva ci lavoro”. E così come se ci conoscessimo da sempre è stato un serrato botta e risposta: “ma tu conosci Taranto e l’Ilva” e io “si, ci ho fatto pure delle manifestazioni, proprio sul problema della salute e sicurezza, come nel 2009 partendo dai Tamburi”. Ecco, come sempre, scattarmi il senso di appartenenza, che non è trattare diversamente i malati, ma appartenenza ad una grande famiglia: la classe operaia. Una “famiglia” che più di altre subisce le ingiustizie di questo sistema: sfuttamento e morte. Ma la cui sete di Giustizia e Lotta non possono cancellare, ne dobbiamo permetterglielo. Non voglio farla tanto lunga, vorrei soltanto che giungesse al cuore e alle menti dei suoi familiari le mie umili condoglianze ed una promessa: il mio piccolo contributo alla battaglia per ottenere GIUSTIZIA. Ma voglio parlare anche ai suoi compagni di lavoro, da chi lo conosceva personalmente a chi ha dato il suo contributo che gli permettesse di curarsi, e agli abitanti dei Tamburi: io sabato 11 gennaio sarò a Taranto, all’Assemblea della Biblioteca di Piazzale Bestat promossa dalle Rete Nazionale per la Salute e Sicurezza sui posti di Lavoro e Territorio, perché penso che questo sia un dovere verso Stefano e tutti gli operai uccisi da questo sistema. Venite – incontriamoci. Uniamo le energie. Solo con la lotta e la determinazione possiamo rendergli più lieve il viaggio senza ritorno che non hanno deciso loro. La solidarietà di classe, si fa e basta. Solo così possiamo guardare negli occhi i nostri figli e le future generazioni, e fargli intravedere un futuro Nuovo che cambi lo stato di cose presenti.
Gaglio Giuseppe ,OSS “Istituto Tumori, Milano”
della Rete nazionale salute e sicurezza sui posti di lavoro e territori nodo Milano
retesicurezzamilano@gmail.com

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