info da Corriere di Taranto - Gianmario Leone
Comune e Provincia rispondono ad appello sindacati. Cig, loppa, calata IV e bonifiche nodi da sciogliere
Il futuro del sito ex Cementir, ora Cemitaly dopo l’acquisizione da parte della tedesca Italcementi
dei siti italiani del gruppo Caltagirone, si fa sempre più nebuloso.
Delle alterne vicende del cementificio tarantino ce ne occupiamo da anni
(dalle colonne del ‘TarantoOggi‘ a quelle attuali del corriereditaranto.it) in totale solitudine.
All’ennesimo allarme lanciato dalle organizzazioni sindacali di categoria Fillea Cgil, Filca Cisl e
Feneal Uil lo scorso 15 settembre, che in una nota congiunta rivolgendosi alle istituzioni (Comune, Provincia, Regione e comitato SEPAC la Task Force Regionale per l’occupazione, e ai parlamentari ionici del Movimento5Stelle) chiedevano un incontro urgente, per discutere dei temi che da anni sono al centro della vertenza (finanziamenti per la messa in sicurezza, lo stato di attuazione del progetto di bonifica delle aree e della falda e il rilancio industriale dello stabilimento tarantino), hanno risposto soltanto il presidente della Provincia Martino Tamburrano e il Comune di Taranto. Silenzio assoluto invece da parte della Regione Puglia e dei parlamentari ionici del Movimento5Stelle.
Vista la situazione di assoluto stallo, nei giorni scorsi l’azienda Cemitaly (a firma del Direttore delle Risorse Umane Giuseppe Agate) e Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil, hanno inviato ai ministeri dello Sviluppo economico e del Lavoro, alla Regione Puglia e alla Task Force Regionale per l’occupazione, e per finire alla Federmaco (la Federazione Italiana dei Materiali di Base per le Costruzioni) un documento congiunto nel quale chiedono con forza un incontro urgente per affrontare tutte le questioni ancora in sospeso nella vertenza in atto.
Il documento congiunto di Cemitaly e sindacati
“CEMITALY S.p.A. (già CEMENTIR ITALIA S.p.A.) è una società attiva nel settore della produzione di cementi ed è integralmente controllata da ITALCEMENTI S.p.A.. Come è noto la grave recessione si è rivelata particolarmente negativa nel settore dell’edilizia il quale ha registrato, negli ultimi anni, una significativa contrazione della domanda di materiali da costruzione e quindi anche della domanda di cementi. Il consumo complessivo di cementi in Italia nel 2008 è stato complessivamente pari ad oltre 40 milioni di tonnellate, mentre nel 2017 si è attestato a poco più di 18 milioni di tonnellate. In relazione a quanto precede nel nostro Paese sussiste tuttora una sovraccapacità produttiva non sostenibile e tutte le aziende del settore stanno hanno avviato una fase di riassetto che evidenzia una riduzione strutturale complessiva conseguente al disallineamento fra domanda ed offerta. Al pari di tutte le altre aziende del settore la scrivente si è da anni vista costretta ad adeguare l’offerta alla domanda, programmando una riduzione deile produzioni ed attuando una pluralità di azioni mirate al contenimento dei costi ed ai recuperi di efficienza, adeguando e razionalizzando progressivamente l‘apparato organizzativo, amministrativo ed industriale ai mutati volumi di produzione e vendita” si legge nell’introduzione del documento.
Nello specifico, presso lo stabilimento di Taranto “tale situazione ha già da tempo costretto la società ad un significativo ridimensionamento delle attività. Nel dicembre 2013 è stata chiusa l’area di produzione “a caldo”, con la conseguente ridefinizione degli organici concretamente necessari alla conduzione di un ciclo industriale ampiamente ridotto (trasformazione da impianto a ciclo completo a centro di macinazione), il quale si limita appunto alla sola macinazione del semilavorato denominato clinker acquisito da produttori terzi – prosegue la nota -. Nel corso degli anni sono stati adottati tutti i possibili strumenti di gestione non traumatica della crisi, nel quadro di un percorso costantemente condiviso con le Organizzazioni Sindacali e con le Istituzioni locali. Poiché non è possibile beneficiare dei trattamenti di cassa integrazione straordinaria stante l’oggettiva assenza dei criteri di autorizzazione richiesti per le singole fattispecie previste dal D.Lgs, n.148/2015 e relative disposizioni di attuazione, del 22 dicembre 2016 il personale dello stabilimento fruisce del trattamento straordinario di integrazione salariale concesso alle imprese operanti in un’area di crisi industriale complessa. In considerazione della circostanza che il trattamento di CIGS avrà inderogabilmente termine il 21 dicembre p.v., di concerto con le Segreterie Nazionali delle OO.SS. di categoria, siamo a chiedere a codesto Spettabile Ministero un incontro per verificare congiuntamente la possibilità di individuare ulteriori ammortizzatori sociali conservativi finalizzati al definitivo completamento degli avviati piani di reimpiego del personale in esubero strutturale” si conclude il documento.
L’incontro odierno in Comune: SOS lanciato a Regione, Autorità Portuale e ministeri dello Sviluppo economico e del Lavoro
La scadenza degli ammortizzatori sociali
Questo pomeriggio c’è stato un incontro in Comune tra le organizzazioni sindacali e l’assessore alle Risorse Umane e Affari Generali Pietro Paolo Castronuovi. Durante il quale le organizzazioni sindacali hanno fatto presente all’assessore quali sono le criticità della vertenza. In primis c’è il problema riguardante gli ammortizzatori sociali: i 68 lavoratori del cementificio sino al prossimo 21 dicembre usufruiranno della cassa integrazione prevista per i dipendenti di aziende situate nelle aree di crisi industriali complessa, tra le quali è inserita la Provincia di Taranto. Dopo averne usufruito per gli anni 2017 e 2018, qualora il governo non rinnovasse i fondi (decisione che spetta al ministro del MiSe e del Lavoro Luigi Di Maio), i 68 lavoratori non avrebbero più alcuna copertura economica, avendo usufruito negli anni di tutti gli ammortizzatori sociali previsti dalla legge. Dunque c’è da sciogliere innanzitutto il nodo economico. La scadenza è fissata al 22 dicembre 2018.
I nodi da sciogliere sulla loppa d’altoforno dell’Ilva
Dopo di che, c’è un problema di tipo strutturale che riguarda la loppa da utilizzare, materiale fondamentale per la produzione del cemento. Attualmente, le attività sono del tutto sospese, dopo che sono state terminate le scorte di magazzino della loppa lo scorso 19 marzo. Dopo il dissequestro ordinato dalla Procura di Lecce che lo scorso 2 agosto ha revocato integralmente il sequestro della Cementir Italia di Taranto (ora Cemitaly), parte dell’Ilva e della centrale Enel di Brindisi, il problema sull’utilizzo della loppa dell’Ilva non è stato ancora risolto.
Italcementi ha infatti assunto una posizione di attesa: da un lato si attende un segnale dalla nuova proprietà dell’Ilva, gli indiani di ArcelorMittal. Difatti, servirà un nuovo rapporto commerciale e quindi un nuovo contratto di utilizzo della loppa di altoforno, che per anni è giunta dall’Ilva della gestione Riva al cementificio del gruppo Caltagirone tramite apposito nastro trasportatore. Secondo, Italcementi vuole capire in via definitiva la qualità della loppa dell’Ilva e come in caso dovrà essere trattata per poi essere utilizzata nel ciclo produttivo, onde evitare un nuovo sequestro ed un nuovo fermo delle attività industriali. Questi sono due nodi imprescindibili per l’eventuale ripresa dell’attività produttiva del sito di Taranto.
La questione irrisolta della Calata IV del porto
C’è poi da fare i conti con l’annosa questione che riguarda la calata IV del porto di Taranto (che abbiamo seguito negli anni). Dall’accordo raggiunto nel dicembre 2016 con cui si salvarono i posti di lavoro, restò soltanto come ‘concessione come impresa portuale‘ la possibilità per la Cementir di utilizzare il lato di ponente della calata IV del porto di Taranto, che oramai, dopo anni in cui è stata concessa all’azienda di Caltagirone che si è ben guardata dal fare tutti i lavori a lei spettanti, è diventata di fatto una banchina pubblica: è infatti proprio la calata IV, dal lato di ponente visto che quello opposto è in concessione all’Ilva, che negli ultimi due anni diverse società l’hanno utilizzata per il trasporto merci di navi ro-ro.
Proprio il 22 marzo 2016, la Cementir spa presentò una nuova istanza di concessione demaniale – ex articolo 18 della legge n. 84 del 1994 – per 20 anni nel porto di Taranto della zona demaniale marittima di complessivi 21.120, costituito dalla radice lato levante del IV sporgente e della banchina di riva tra il III e il IV sporgente ed area retrostante sulla quale insistono attrezzature ed impianti per l’imbarco del cemento alla rinfusa e in sacchi, delle materie prime e dei semilavorati del proprio stabilimento di Taranto. Ricordiamo che la suddetta area è stata in concessione alla Cementir, con una prima concessione per trenta anni a decorrere dal 29 maggio del 1976: alla scadenza della stessa concessione il 30 maggio 2006, la stessa non fu rinnovata immediatamente ma il rinnovo avvenne il 12 luglio 2011 con l’atto n.11 del registro concessioni, per il periodo 30 maggio 2006 – 31 dicembre 2012, con un canone complessivo provvisorio di 426.709,88 euro.
La richiesta della Cementir venne rifiutata dall’Autorità Portuale, come già avvenne nel 2014. Visto che, motivò l’ADSP “la diminuzione del volume dei traffici registrati con particolare riferimento alla Calata 4, non giustifica l’utilizzo esclusivo del sito per la durata della richiesta ed inoltre a causa del mancato sviluppo del progetto «Nuova Taranto» di Cementir che prevedeva investimenti sull’assetto impiantistico, mai realizzati“.
La realtà è che, come abbiamo sempre scritto negli anni, “la Cementir non ha mai effettuato la manutenzione dell’area in gestione, non ha rispettato le norme in materia ambientale e di tutela dei lavoratori“. Inoltre l’area in oggetto «necessita di lavori di manutenzione ordinaria, straordinaria e ripristino strutturale dell’impalcato di calata IV», come dimostrato dalla sopraccitata «Perizia della stabilità dell’impalcato banchina e piazzale della Calata IV» affidata allo Studio Vecchi & Associati.
Ci chiediamo: la calata IV del porto di Taranto, per anni in concessione alla Cementir, attende ancora i lavori di bonifica e ristrutturazione che l’azienda, come denunciato anche tempo addietro dalla stessa Autorità Portuale di Taranto, non ha mai realizzato: chi li realizzerà adesso? Siamo proprio sicuri che la Italcementi si vorrà accollare tutto questo? Il dubbio è senz’altro legittimo.
La bonifica in sospeso del sito
Stesso discorso per quanto concerne le attività di bonifica all’interno del sito. Il 17 luglio 2014 si svolse una conferenza dei servizi decisoria presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, dove vennero presi in esame i «Risultati del piano di caratterizzazione e analisi di rischio relativi alla banchina in concessione Cementir – Porto mercantile di Taranto». Dal rapporto emerse che «vi è rischio per la falda per i seguenti contaminanti: Ferro, Manganese, Boro, Solfati, Benzo(a)pirene, Benzo(k)fiuorantene, Benzo(a)antracene». Durante la conferenza dei servizi la società dichiarò che l’intervento di messa in sicurezza/bonifica della stessa sarebbe stato oggetto di apposita attività «prevista nel Protocollo di Intesa firmato il 05/11/2009 tra Ministero dell’ambiente, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero dello sviluppo economico, Regione Puglia, Provincia di Taranto, Comune di Taranto, Autorità Portuale di Taranto e Sogesid S.p.A», il quale prevede «la Progettazione preliminare dell’intervento di messa in sicurezza e bonifica della falda acquifera e dei suoli demaniali nell’intero SIN, previa elaborazione di uno studio di fattibilità e caratterizzazione delle acque di falda lungo la fascia costiera».
La conferenza di servizi decisoria deliberò di ritenere «approvabile l’analisi di rischio presentata e chiede che qualsiasi modifica ai parametri (es. altezza degli edifici) e/o allo scenario di esposizione, dovrà prevedere una rielaborazione dell’analisi di rischio. Delle limitazioni d’uso previste dall’analisi di rischio si dovrà tenere traccia all’interno degli strumenti di pianificazione urbanistica. Considerata la natura dei contaminanti riscontrati in falda e l’estensione della banchina che ricade in una più vasta area in cui è presente analoga contaminazione, la bonifica della falda dovrà essere affrontata in un complessivo intervento da parte del soggetto competente».
Sull’argomento, forniamo una piccola pillola storica a futura memoria. Durante l’audizione in Commissione Ambiente al Comune di Taranto del 19 giugno 2013, l’ex assessore all’Ambiente Vincenzo Baio, chiese conto dell’attività di bonifica della falda profonda: “Iniziammo questo discorso 2-3 anni fa, ma poi non ho più avuto alcuna notizia in merito: a che punto sono i lavori?”. Quella fu una vera cantonata, anche se non fu di certo l’unica che i nostri politici collezzionarono quel giorno, visto che il direttore di Cementir Italia, Mario De Gennaro, informò il buon Baio e tutti i presenti che i lavori per la bonifica della falda, la Cementir li aveva già finiti. Sull’argomento erano tutti impreparati e del tutto ignari di cosa si stesse parlando. Dunque fu impossibile accertare la veridicità della tesi dell’azienda. Anzi, l’azienda affermò di aver chiesto di poter effettuare un ulteriore intervento. All’epoca di fatti fermo, perché ARPA Puglia aveva chiesto all’azienda di effettuare nuovi campionamenti, nell’ambito del lavoro che l’ente regionale stava svolgendo per la Cabina di regia sulle bonifiche del SIN di Taranto (i cui risultati ottenuti dovrebbero essere quelli presentati nell’Analisi di Rischio lo scorso 17 luglio a Roma). Inoltre, il direttore della Cementir Italia, informò i distratti presenti all’audizione di una notizia molto interessante: diversi inquinanti trovati nella falda che scorre sotto la Cementir, non sarebbero stati di provenienza dell’attività del cementificio (il riferimento all’Ilva era implicito, ma non è dato sapere se i nostri prodi l’abbiano mai colto o meno).
Il progetto ‘di bonifica della falda della Cementir’ fu approvato dal ministero dell’Ambiente il 7 settembre del 2012. La domanda è dunque lecita: che ne è stato del progetto TAF afferente la falda (attraverso un piano di trattamento delle acque), per il quale la società presentò un progetto attraverso un lavoro di concertazione con ARPA Puglia, di cui però non sappiamo se la fase sperimentale sia finita o meno? E se abbia dato gli esiti sperati?
Infine, ricordiamo che nell’incontro dello scorso 20 giugno a Bari sulla vertenza, i rappresentanti della Cementir resero noto alle parti di aver fornito all’ARPA Puglia uteriori specificazioni e integrazioni dell’istanza di modifica non sostanziale dell’A.l.A. da essa richieste e che il relativo procedimento autorizzativo fosse in via di definizione.
Come si può facilmente evincere, i temi in sospeso sono tanti, troppi, per essere lasciati in balia del tempo che scorre inesorabile. Le istituzioni devono dare risposte, devono assumersi la responsabilità di prendere in mano le redini di una vertenza che si trascina da tanti, troppi anni. Qui c’è in ballo il futuro di 68 lavoratori, di una parte del porto di Taranto, della bonifica di uno dei siti industriali più longevi del nostro territorio. La Provincia e il Comune sono stati sin qui gli unici due enti a rispondere all’appello lanciato dai sindacati. Davvero troppo poco. Staremo a vedere.
All’ennesimo allarme lanciato dalle organizzazioni sindacali di categoria Fillea Cgil, Filca Cisl e
Feneal Uil lo scorso 15 settembre, che in una nota congiunta rivolgendosi alle istituzioni (Comune, Provincia, Regione e comitato SEPAC la Task Force Regionale per l’occupazione, e ai parlamentari ionici del Movimento5Stelle) chiedevano un incontro urgente, per discutere dei temi che da anni sono al centro della vertenza (finanziamenti per la messa in sicurezza, lo stato di attuazione del progetto di bonifica delle aree e della falda e il rilancio industriale dello stabilimento tarantino), hanno risposto soltanto il presidente della Provincia Martino Tamburrano e il Comune di Taranto. Silenzio assoluto invece da parte della Regione Puglia e dei parlamentari ionici del Movimento5Stelle.
Vista la situazione di assoluto stallo, nei giorni scorsi l’azienda Cemitaly (a firma del Direttore delle Risorse Umane Giuseppe Agate) e Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil, hanno inviato ai ministeri dello Sviluppo economico e del Lavoro, alla Regione Puglia e alla Task Force Regionale per l’occupazione, e per finire alla Federmaco (la Federazione Italiana dei Materiali di Base per le Costruzioni) un documento congiunto nel quale chiedono con forza un incontro urgente per affrontare tutte le questioni ancora in sospeso nella vertenza in atto.
Il documento congiunto di Cemitaly e sindacati
“CEMITALY S.p.A. (già CEMENTIR ITALIA S.p.A.) è una società attiva nel settore della produzione di cementi ed è integralmente controllata da ITALCEMENTI S.p.A.. Come è noto la grave recessione si è rivelata particolarmente negativa nel settore dell’edilizia il quale ha registrato, negli ultimi anni, una significativa contrazione della domanda di materiali da costruzione e quindi anche della domanda di cementi. Il consumo complessivo di cementi in Italia nel 2008 è stato complessivamente pari ad oltre 40 milioni di tonnellate, mentre nel 2017 si è attestato a poco più di 18 milioni di tonnellate. In relazione a quanto precede nel nostro Paese sussiste tuttora una sovraccapacità produttiva non sostenibile e tutte le aziende del settore stanno hanno avviato una fase di riassetto che evidenzia una riduzione strutturale complessiva conseguente al disallineamento fra domanda ed offerta. Al pari di tutte le altre aziende del settore la scrivente si è da anni vista costretta ad adeguare l’offerta alla domanda, programmando una riduzione deile produzioni ed attuando una pluralità di azioni mirate al contenimento dei costi ed ai recuperi di efficienza, adeguando e razionalizzando progressivamente l‘apparato organizzativo, amministrativo ed industriale ai mutati volumi di produzione e vendita” si legge nell’introduzione del documento.
Nello specifico, presso lo stabilimento di Taranto “tale situazione ha già da tempo costretto la società ad un significativo ridimensionamento delle attività. Nel dicembre 2013 è stata chiusa l’area di produzione “a caldo”, con la conseguente ridefinizione degli organici concretamente necessari alla conduzione di un ciclo industriale ampiamente ridotto (trasformazione da impianto a ciclo completo a centro di macinazione), il quale si limita appunto alla sola macinazione del semilavorato denominato clinker acquisito da produttori terzi – prosegue la nota -. Nel corso degli anni sono stati adottati tutti i possibili strumenti di gestione non traumatica della crisi, nel quadro di un percorso costantemente condiviso con le Organizzazioni Sindacali e con le Istituzioni locali. Poiché non è possibile beneficiare dei trattamenti di cassa integrazione straordinaria stante l’oggettiva assenza dei criteri di autorizzazione richiesti per le singole fattispecie previste dal D.Lgs, n.148/2015 e relative disposizioni di attuazione, del 22 dicembre 2016 il personale dello stabilimento fruisce del trattamento straordinario di integrazione salariale concesso alle imprese operanti in un’area di crisi industriale complessa. In considerazione della circostanza che il trattamento di CIGS avrà inderogabilmente termine il 21 dicembre p.v., di concerto con le Segreterie Nazionali delle OO.SS. di categoria, siamo a chiedere a codesto Spettabile Ministero un incontro per verificare congiuntamente la possibilità di individuare ulteriori ammortizzatori sociali conservativi finalizzati al definitivo completamento degli avviati piani di reimpiego del personale in esubero strutturale” si conclude il documento.
L’incontro odierno in Comune: SOS lanciato a Regione, Autorità Portuale e ministeri dello Sviluppo economico e del Lavoro
La scadenza degli ammortizzatori sociali
Questo pomeriggio c’è stato un incontro in Comune tra le organizzazioni sindacali e l’assessore alle Risorse Umane e Affari Generali Pietro Paolo Castronuovi. Durante il quale le organizzazioni sindacali hanno fatto presente all’assessore quali sono le criticità della vertenza. In primis c’è il problema riguardante gli ammortizzatori sociali: i 68 lavoratori del cementificio sino al prossimo 21 dicembre usufruiranno della cassa integrazione prevista per i dipendenti di aziende situate nelle aree di crisi industriali complessa, tra le quali è inserita la Provincia di Taranto. Dopo averne usufruito per gli anni 2017 e 2018, qualora il governo non rinnovasse i fondi (decisione che spetta al ministro del MiSe e del Lavoro Luigi Di Maio), i 68 lavoratori non avrebbero più alcuna copertura economica, avendo usufruito negli anni di tutti gli ammortizzatori sociali previsti dalla legge. Dunque c’è da sciogliere innanzitutto il nodo economico. La scadenza è fissata al 22 dicembre 2018.
I nodi da sciogliere sulla loppa d’altoforno dell’Ilva
Dopo di che, c’è un problema di tipo strutturale che riguarda la loppa da utilizzare, materiale fondamentale per la produzione del cemento. Attualmente, le attività sono del tutto sospese, dopo che sono state terminate le scorte di magazzino della loppa lo scorso 19 marzo. Dopo il dissequestro ordinato dalla Procura di Lecce che lo scorso 2 agosto ha revocato integralmente il sequestro della Cementir Italia di Taranto (ora Cemitaly), parte dell’Ilva e della centrale Enel di Brindisi, il problema sull’utilizzo della loppa dell’Ilva non è stato ancora risolto.
Italcementi ha infatti assunto una posizione di attesa: da un lato si attende un segnale dalla nuova proprietà dell’Ilva, gli indiani di ArcelorMittal. Difatti, servirà un nuovo rapporto commerciale e quindi un nuovo contratto di utilizzo della loppa di altoforno, che per anni è giunta dall’Ilva della gestione Riva al cementificio del gruppo Caltagirone tramite apposito nastro trasportatore. Secondo, Italcementi vuole capire in via definitiva la qualità della loppa dell’Ilva e come in caso dovrà essere trattata per poi essere utilizzata nel ciclo produttivo, onde evitare un nuovo sequestro ed un nuovo fermo delle attività industriali. Questi sono due nodi imprescindibili per l’eventuale ripresa dell’attività produttiva del sito di Taranto.
La questione irrisolta della Calata IV del porto
C’è poi da fare i conti con l’annosa questione che riguarda la calata IV del porto di Taranto (che abbiamo seguito negli anni). Dall’accordo raggiunto nel dicembre 2016 con cui si salvarono i posti di lavoro, restò soltanto come ‘concessione come impresa portuale‘ la possibilità per la Cementir di utilizzare il lato di ponente della calata IV del porto di Taranto, che oramai, dopo anni in cui è stata concessa all’azienda di Caltagirone che si è ben guardata dal fare tutti i lavori a lei spettanti, è diventata di fatto una banchina pubblica: è infatti proprio la calata IV, dal lato di ponente visto che quello opposto è in concessione all’Ilva, che negli ultimi due anni diverse società l’hanno utilizzata per il trasporto merci di navi ro-ro.
Proprio il 22 marzo 2016, la Cementir spa presentò una nuova istanza di concessione demaniale – ex articolo 18 della legge n. 84 del 1994 – per 20 anni nel porto di Taranto della zona demaniale marittima di complessivi 21.120, costituito dalla radice lato levante del IV sporgente e della banchina di riva tra il III e il IV sporgente ed area retrostante sulla quale insistono attrezzature ed impianti per l’imbarco del cemento alla rinfusa e in sacchi, delle materie prime e dei semilavorati del proprio stabilimento di Taranto. Ricordiamo che la suddetta area è stata in concessione alla Cementir, con una prima concessione per trenta anni a decorrere dal 29 maggio del 1976: alla scadenza della stessa concessione il 30 maggio 2006, la stessa non fu rinnovata immediatamente ma il rinnovo avvenne il 12 luglio 2011 con l’atto n.11 del registro concessioni, per il periodo 30 maggio 2006 – 31 dicembre 2012, con un canone complessivo provvisorio di 426.709,88 euro.
La richiesta della Cementir venne rifiutata dall’Autorità Portuale, come già avvenne nel 2014. Visto che, motivò l’ADSP “la diminuzione del volume dei traffici registrati con particolare riferimento alla Calata 4, non giustifica l’utilizzo esclusivo del sito per la durata della richiesta ed inoltre a causa del mancato sviluppo del progetto «Nuova Taranto» di Cementir che prevedeva investimenti sull’assetto impiantistico, mai realizzati“.
La realtà è che, come abbiamo sempre scritto negli anni, “la Cementir non ha mai effettuato la manutenzione dell’area in gestione, non ha rispettato le norme in materia ambientale e di tutela dei lavoratori“. Inoltre l’area in oggetto «necessita di lavori di manutenzione ordinaria, straordinaria e ripristino strutturale dell’impalcato di calata IV», come dimostrato dalla sopraccitata «Perizia della stabilità dell’impalcato banchina e piazzale della Calata IV» affidata allo Studio Vecchi & Associati.
Ci chiediamo: la calata IV del porto di Taranto, per anni in concessione alla Cementir, attende ancora i lavori di bonifica e ristrutturazione che l’azienda, come denunciato anche tempo addietro dalla stessa Autorità Portuale di Taranto, non ha mai realizzato: chi li realizzerà adesso? Siamo proprio sicuri che la Italcementi si vorrà accollare tutto questo? Il dubbio è senz’altro legittimo.
La bonifica in sospeso del sito
Stesso discorso per quanto concerne le attività di bonifica all’interno del sito. Il 17 luglio 2014 si svolse una conferenza dei servizi decisoria presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, dove vennero presi in esame i «Risultati del piano di caratterizzazione e analisi di rischio relativi alla banchina in concessione Cementir – Porto mercantile di Taranto». Dal rapporto emerse che «vi è rischio per la falda per i seguenti contaminanti: Ferro, Manganese, Boro, Solfati, Benzo(a)pirene, Benzo(k)fiuorantene, Benzo(a)antracene». Durante la conferenza dei servizi la società dichiarò che l’intervento di messa in sicurezza/bonifica della stessa sarebbe stato oggetto di apposita attività «prevista nel Protocollo di Intesa firmato il 05/11/2009 tra Ministero dell’ambiente, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero dello sviluppo economico, Regione Puglia, Provincia di Taranto, Comune di Taranto, Autorità Portuale di Taranto e Sogesid S.p.A», il quale prevede «la Progettazione preliminare dell’intervento di messa in sicurezza e bonifica della falda acquifera e dei suoli demaniali nell’intero SIN, previa elaborazione di uno studio di fattibilità e caratterizzazione delle acque di falda lungo la fascia costiera».
La conferenza di servizi decisoria deliberò di ritenere «approvabile l’analisi di rischio presentata e chiede che qualsiasi modifica ai parametri (es. altezza degli edifici) e/o allo scenario di esposizione, dovrà prevedere una rielaborazione dell’analisi di rischio. Delle limitazioni d’uso previste dall’analisi di rischio si dovrà tenere traccia all’interno degli strumenti di pianificazione urbanistica. Considerata la natura dei contaminanti riscontrati in falda e l’estensione della banchina che ricade in una più vasta area in cui è presente analoga contaminazione, la bonifica della falda dovrà essere affrontata in un complessivo intervento da parte del soggetto competente».
Sull’argomento, forniamo una piccola pillola storica a futura memoria. Durante l’audizione in Commissione Ambiente al Comune di Taranto del 19 giugno 2013, l’ex assessore all’Ambiente Vincenzo Baio, chiese conto dell’attività di bonifica della falda profonda: “Iniziammo questo discorso 2-3 anni fa, ma poi non ho più avuto alcuna notizia in merito: a che punto sono i lavori?”. Quella fu una vera cantonata, anche se non fu di certo l’unica che i nostri politici collezzionarono quel giorno, visto che il direttore di Cementir Italia, Mario De Gennaro, informò il buon Baio e tutti i presenti che i lavori per la bonifica della falda, la Cementir li aveva già finiti. Sull’argomento erano tutti impreparati e del tutto ignari di cosa si stesse parlando. Dunque fu impossibile accertare la veridicità della tesi dell’azienda. Anzi, l’azienda affermò di aver chiesto di poter effettuare un ulteriore intervento. All’epoca di fatti fermo, perché ARPA Puglia aveva chiesto all’azienda di effettuare nuovi campionamenti, nell’ambito del lavoro che l’ente regionale stava svolgendo per la Cabina di regia sulle bonifiche del SIN di Taranto (i cui risultati ottenuti dovrebbero essere quelli presentati nell’Analisi di Rischio lo scorso 17 luglio a Roma). Inoltre, il direttore della Cementir Italia, informò i distratti presenti all’audizione di una notizia molto interessante: diversi inquinanti trovati nella falda che scorre sotto la Cementir, non sarebbero stati di provenienza dell’attività del cementificio (il riferimento all’Ilva era implicito, ma non è dato sapere se i nostri prodi l’abbiano mai colto o meno).
Il progetto ‘di bonifica della falda della Cementir’ fu approvato dal ministero dell’Ambiente il 7 settembre del 2012. La domanda è dunque lecita: che ne è stato del progetto TAF afferente la falda (attraverso un piano di trattamento delle acque), per il quale la società presentò un progetto attraverso un lavoro di concertazione con ARPA Puglia, di cui però non sappiamo se la fase sperimentale sia finita o meno? E se abbia dato gli esiti sperati?
Infine, ricordiamo che nell’incontro dello scorso 20 giugno a Bari sulla vertenza, i rappresentanti della Cementir resero noto alle parti di aver fornito all’ARPA Puglia uteriori specificazioni e integrazioni dell’istanza di modifica non sostanziale dell’A.l.A. da essa richieste e che il relativo procedimento autorizzativo fosse in via di definizione.
Come si può facilmente evincere, i temi in sospeso sono tanti, troppi, per essere lasciati in balia del tempo che scorre inesorabile. Le istituzioni devono dare risposte, devono assumersi la responsabilità di prendere in mano le redini di una vertenza che si trascina da tanti, troppi anni. Qui c’è in ballo il futuro di 68 lavoratori, di una parte del porto di Taranto, della bonifica di uno dei siti industriali più longevi del nostro territorio. La Provincia e il Comune sono stati sin qui gli unici due enti a rispondere all’appello lanciato dai sindacati. Davvero troppo poco. Staremo a vedere.
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