e le bonifiche e i risarcimenti ? su questo non sarà la magistratura
a risolvere ma solo la rivolta operaia e popola che ancora non c'è
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TARANTO - Soldi
sottratti alle casse dell'Ilva, un miliardo e duecento milioni nascosti
in paradisi fiscali e poi rientrati in Italia attraverso lo scudo
fiscale, anzichè essere investiti per la bonifica e lo sviluppo del più
grande stabilimento siderurgico europeo. Dopo
quella di Taranto, anche la procura di Milano indaga sui padroni
dell'acciaio, quei Riva che nel 1995 (rpt, 1995) acquistarono dallo
Stato l'ex Italsider. Ma stavolta ad esser presa di mira non è l'azienda
e i suoi guai ma i "vecchi" della famiglia, Adriano ed Emilio Riva -
quest'ultimo agli arresti domiciliari nell'ambito dell'inchiesta
tarantina - ai quali viene contestato il reato di truffa ai danni dello
Stato e trasferimento fittizio di beni.
La Guardia di Finanza si è presentata questa mattina
nelle abitazioni e negli uffici della famiglia, per notificare un
provvedimento di sequestro preventivo emesso dal gip del tribunale di
Milano: partite dagli accertamenti patrimoniali su Emilio e Fabio Riva,
le indagini ipotizzavano che il Trust Orion Ltd - con una consistenza
patrimoniale attorno ai 60 milioni - schermasse in realtà appartenenti
alla famiglia Riva. I successivi accertamenti hanno consentito però di
accertare che in realtà l'ordine di grandezza dei fondi all'estero, che i
proprietari dell'Ilva avrebbero sottratto dalle casse dell'azienda, era
ben maggiore e ammontava a circa un miliardo e duecento milioni.
Soldi e strumenti finanziari che, si legge nel provvedimento di
sequestro, sarebbero «provento di appropriazione indebita aggravata e
continuata, dichiarazione fraudolenta, false comunicazioni sociali e
infedeltà patrimoniale»: in sostanza denaro che sarebbe stato «drenato
dalla società Fire Finanziaria (quindi trasformatasi in Riva Acciaio e
infine in Riva Fire)» e trasferiti a società di partecipazione estere e
società veicolo offshore «a seguito di tre operazioni di cessioni di
partecipazioni industriali tutte conseguenti all'acquisizione dell'Iri
dell'Ilva».
La prima risalirebbe al 1995, la seconda nel 1997 e la terza al
2003-2006. Nel decreto viene anche spiegato il meccanismo utilizzato
dalla famiglia: «tutte le cessioni si consumavano fra ricorrenti
controparti. Da un lato, la holding italiana (prima Fire Finanziaria,
poi Riva Acciaio e infine Riva Fire); dall'altro, società di diritto
estero dietro le quali si nascondevano sempre i fratelli Riva». Ma non
solo: «i prezzi delle cessioni erano artificiosi e funzionali a frodare,
spostando liquidità dalla holding alle persone fisiche, dall'Italia
all'estero».
Per curare l'intera operazione, i Riva si sarebbero avvalsi di
due commercialisti milanesi, Franco Pozzi e Emilio Ettore Gnech,
indagati per riciclaggio: sarebbero loro che avrebbero messo in piedi
gli otto trust gestiti da una fiduciaria (la Ubs Trustee) nel paradiso
fiscale dell'isola di Jersey in cui è confluito il denaro, dopo esser
passato per il Lussemburgo. L'operazione ha anche consentito di
nascondere i reali titolari delle disponibilità finanziarie, permettendo
ai Riva di far rientrare in Italia il patrimonio attraverso la Ubs
Fiduciaria (per i trust Orio, Sirius, Venus e Antares) e Carini
Fiduciaria (per gli altri quattro) usufruendo nel 2009 dello scudo
fiscale. Operazione che non sarebbe stata possibile in quando il
disponente di tutti e otto i trust, benchè «all'origine della formazione
dei fondi tramite i reati evidenziati vi fossero disponibilità
economiche riconducibili tanto a Emilio quanto ad Adriano Riva», era il
solo Adriano, «cittadino canadese residente all'estero che mai avrebbe
potuto usufruire dello scudo».
Per risolvere questo problema i Riva, con l'ausilio dei
commercialisti, avrebbero firmato due dichiarazioni congiunte nelle
quali si sosteneva che il disponente dei trust era il solo Emilio Riva e
così facendo «inducevano in errore l'amministrazione finanziaria sulla
ricorrenza dei presupposti per operare il rimpatrio giuridico dei
capitali detenuti all'estero». In sostanza, scrive ancora il Gip, gli
elementi acquisiti permettono di appurare «l'illecita provenienza delle
provviste nonchè l'utilizzo fittizio dei trusts, finalizzato da un lato
alla frode fiscale e dall'altro ad agevolare il reimpiego dei
capitali».
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