SLAI COBAS per il
sindacato di classe
Sede legale v. Rintone, 22 Taranto – T/F 0994792086 – 3475301704 – cobasta@libero.it
TA.
6.2.2012
Alla
PROCURA DELLA REPUBBLICA – TARANTO
Al
PREFETTO, DR. SAMMARTINO – TARANTO
AL
MINISTERO DEL LAVORO – ROMA
ALLA
DIREZIONE TERRITORIALE DEL LAVORO –TARANTO
ALLA
DIREZIONE INPS - TARANTO
OGGETTO:
ESPOSTO c/ ILVA
SPA (P.I. 11435690158) con sede in Milano v.le Certosa 241) e
stabilimento in SS Appia Km 648 74123 Taranto, nella persona del suo
legale rappresentante
e
c/ le OO.SS FIM, FIOM, UIL nella persona dei rispettivi segretari.
La
sottoscritta, Calderazzi Margherita, coordinatrice prov.le dello Slai
cobas per il sindacato di classe, a nome di centinaia di lavoratori
dipendenti dell’ILVA SPA, impugna e denuncia, per violazioni della
normativa sull’orario di lavoro, della normativa contrattuale,
l’accordo sottoscritto in data 15.12.2011 tra Direzione Ilva spa e
segreterie territoriali di Fim-Fiom-Uilm.
PREMESSA:
Dopo
una vertenza durata mesi, che ha visto anche una iniziativa di
sciopero dei lavoratori Ilva Spa, in merito al riconoscimento del
tempo “cambio tuta” come orario di lavoro effettivo e pertanto
retribuito come tale, in data 15.12. 2011, l’Ilva e le OO.SS citate
hanno sottoscritto un accordo che prevede:
“con
efficacia dal 1 gennaio 2012 e per il personale in forza a e da tale
data, al Premio di produttività (PRO) e di efficienza (PRE),
previsti dall’accordo del 20.5.89, viene aggiunto un premio
di presenza
pari a euro 1,95 lordi per giornata di presenza in stabilimento. Da
questo incentivo viene escluso il personale per il quale viene
escluso dalla legislazione in vigore l’uso dei DPI, in particolare
delle tute da lavoro”, allegando su questo un lungo elenco di
personale escluso.
Tale
premio viene dato “alla luce del tempo trascorso dal detto accordo
(del 20.5.89) e dell’opportunità di rafforzare tale incentivo…
considerando, peraltro ancora fortemente attuali le esigenze di
efficienza e di produttività connesse ai punti in questione così
come regolati dal testo pattizio del 20.5.89…”
L’accordo
del 15.12.11 poi prosegue: “alla platea dei lavoratori di cui al
presente accordo, con anzianità aziendale minima di cinque anni, pro
quota per anzianità inferiori, condizionalmente
alla adesione individuale all’accordo mediante sottoscrizione di
verbale di transazione in sede sindacale
(allegato b) avente ad oggetto rivendicazioni inerenti la
problematica regolamentata dalle intese richiamate, viene
riconosciuta una una tantum forfettaria di euro 1.750 lordi che verrà
corrisposta in 2 tranches: euro 1000 al 31.12.2011, euro 750 al
30.9.2012”.
Infine,
l’accordo si conclude con la precisazione: “resta inteso che
l’intero
accordo sarà applicato ai singoli lavoratori previa adesione
individuale all’accordo stesso”.
All’accordo,
quindi, viene allegato un “verbale di transazione ex art. 2113 cc
in esecuzione dell’Accordo sindacale del 15.12.2011”, che
riprendendo la parte iniziale dello stesso accordo specifica che:
“nelle
more della sottoscrizione di detto ultimo accordo è insorto
contenzioso in ordine all’omnicomprensività delle pattuite
erogazioni, con riferimento alla rivendicata computabilità
nell’orario di lavoro della presenza e delle attività, a monte e a
valle della effettiva prestazione lavorativa;
“l’accordo
del 15.12.2011, applicabile in favore della platea dei lavoratori…
svolgenti
mansioni per la cui esecuzione è prescritto l’uso di DPI,
ha ribadito… l’onnicomprensività del trattamento normativo ed
economico in essere, ed attribuito – nei casi specificati –
ulteriore erogazione economica, condizionata
all’adesione individuale dell’intesa sindacale
del dipendente interessato mediante sottoscrizione del verbale di
transazione individuale con assistenza delle parti stipulanti
l’intesa collettiva;
“le
somme erogate a titolo transattivo… non saranno computati ai fini
del ricalcolo di istituti retributivi diretti e/o indiretti, ivi
compreso il T.F.R.”;
“… i
lavoratori dichiarano di non aver null’altro a pretendere da ILVA
SPA per i titoli e le causali oggetto del presente accordo
transattivo e per ogni controversia attuale o anche solo potenziale
avente ad oggetto istituti di legge e contrattuali oggetto
dell’Accordo sindacale del 15.12.2011…”.
Successivamente
tale accordo, viene indetto un referendum tra i lavoratori Ilva nei
giorni 9-10-11 gennaio.
La
Direzione Ilva in data 9.1.2012 affigge un “Avviso” che parla di
“ipotesi di accordo
relativa al miglioramento dell’efficienza e della produttività
dello Stabilimento”
e scrive che “in caso di esito positivo del referendum sarà
disponibile un modulo attraverso il quale aderire individualmente al
contenuto dell’accordo 15.12.2011 che verrà allegato al cedolino
paga. Tale modulo debitamente compilato in tutte le sue parti, dovrà
essere consegnato entro e non oltre mercoledì 25 gennaio 2012 al
reparto di appartenenza unitamente alla copia fotostatica di un
documento di riconoscimento in corso di validità”.
Nel
modulo è scritto: “il sottoscritto… ritenendo di avere i
requisiti previsti dall’accordo sindacale del 15.12.2011, dichiara
di aderire individualmente allo stesso accettando la proposta
transattiva formulata da ILVA Spa attraverso la sottoscrizione del
verbale di transazione ex art. 2113 c.c. previsto in esecuzione
dell’intesa”.
RAGIONI
DELL’ESPOSTO:
Il
merito dell’accordo.
L’accordo
del 15 dicembre 2011, pur essendo partito e trovando le sue ragioni
nella questione della mancata retribuzione del ‘tempo cambio tuta’
all’Ilva, si conclude non riconoscendo tale retribuzione - e
pertanto non riconoscendo come tempo di lavoro a tutti gli effetti,
retribuito a titolo di compenso di orario ordinario, il tempo che i
lavoratori trascorrono nel passare dalla prima timbratura fatta
all’ingresso nello stabilimento alla seconda timbratura effettuata
sul reparto, dopo essere arrivati con bus interni all’Ilva allo
spogliatoio vicino al proprio reparto ed aver già indossato al tuta
di lavoro; così come, in uscita, il tempo tra la timbratura sul
reparto, il cambio della tuta nello spogliatoio, il viaggio in bus
nell’area dello stabilimento , e la timbratura vicino alle
portinerie dell’Ilva.
L’accordo
si conclude come se avesse avuto un altro oggetto: l’erogazione di
un incentivo legato alla questione dell’efficienza e produttività;
l’accordo, infatti, riconosce solo un
“premio di presenza”, un
“incentivo” dato dall’azienda sulla base dell’intesa del
20.5.1989, in cui le parti avevano regolamentato tutta la “materia
afferente i temi della produttività dello stabilimento di Taranto…”
e in cui veniva scritto che “le pattuizioni di carattere economico
ivi concordate sono direttamente finalizzate a retribuire ed
incentivare (pur in assenza di obblighi specifici) l’implementazione
delle citate disposizioni…”.
Quanto
sopra viene confermato dallo stesso “Avviso” del 9.1.2012 esposto
dalla Direzione Ilva che parla di “ipotesi di accordo
relativa al miglioramento dell’efficienza e della produttività
dello Stabilimento”.
La
conseguenza di questa sorta di ‘cambio di oggetto della vertenza
sindacale’, oltre che un danno economico ai lavoratori
(successivamente lo vedremo nel merito), è anche un inganno verso
gli stessi, che si aspettavano un riconoscimento retributivo certo
di tempo di lavoro e invece si ritrovano una
“concessione” dell’azienda,
un “premio” che come dice l’accordo, richiamando quello del
20.5.1989, è dato in “assenza di obblighi specifici” per
l’azienda, la quale, quindi, come lo corrispondere lo può togliere
in condizioni di calo produttivo.
Va
comunque rilevato che lo stesso testo dell’accordo è palesemente
contraddittorio: da un lato parla di premio di presenza (che, come
tale, dovrebbe essere condizionato solo alla “presenza” e quindi
dato a tutti), dall’altro esclude da detto “premio” parte
consistente del personale con la motivazione che “ è escluso l’uso
dei DPI, in particolare delle tute da lavoro” (quindi la
“condizione” è la “tuta da lavoro”. Quindi da un lato è un
accordo che non parla di tempo cambio tuta, dall’altro però il
cambio tuta diventa discriminante per avere o non avere il premio.
Un’evidente contraddizione che può avere come unico fine quello di
non riconoscere il cambio tuta come tempo da retribuire a tutti gli
effetti come parte dell’orario di lavoro.
L’accordo
ha di fatto operato un aggiramento, elusione di normative – come
precisiamo in seguito.
Un’altra
grave conseguenza da sottolineare è l’evasione contributiva nei
confronti dell’INPS che questo tipo di “aggiramento”
dell’accordo comporta. Non riconoscendo, infatti, il tempo a monte
e a valle della prestazione lavorativa, compreso il ‘cambio tuta’,
come orario di lavoro a tutti gli effetti, l’azienda omette
volutamente di versare all’Inps i contributi dovuti sulla
retribuzione relativa a quell’orario di lavoro.
Entrando
nel merito del quantum dell’accordo, pur volendo per un momento
ritenere che lo stesso avrebbe inteso sanare per il passato e per il
futuro la vertenza ‘cambio tuta’ benché chiamata con tutt’altra
denominazione, l’importo stabilito risulta nettamente inferiore a
quanto spetterebbe per diritto a lavoratori.
Infatti,
si riconosce un importo di 1,95 euro lorde al giorno, là dove,
considerando che la retribuzione oraria lorda dei lavoratori al 3°
liv. è di euro 8,54 e di quelli al 4° liv. è di euro 8,90 e
considerando che mediamente il tempo ‘cambio tuta’ trascorso
dalla prima timbratura alla seconda sommando entrata e uscita, è
mediamente di mezz’ora/venti minuti al giorno, l’importo doveva
essere rispettivamente di 4,27 e di 4,45 al giorno (o di circa 3
euro, nel caso di un tempo inferiore alla mezz’ora).
Va
poi considerato che l’importo di 1,95 euro va tassato del 10%.
Stesso
discorso chiaramente va fatto per l’una tantum forfettaria di euro
1.750 lordi – su cui verranno applicate le ritenute ordinarie di
legge - corrisposta in due tranches, là dove gli operai, per i 5
anni indietro dovevano ricevere mediamente – facendo un calcolo
medio molto al ribasso - dai 4mila ai 5mila euro.
Un
altro danno economico è dato dal fatto che l’accordo stabilisce
che le
somme erogate a titolo transattivo non sono computate ai fini del
ricalcolo di istituti retributivi diretti e/o indiretti, ivi compreso
il T.F.R.
Sottoscrizione
del Verbale di Transazione
Ma
a parte il merito dell’accordo, vogliamo portare all’attenzione
di codeste Autorità, l’illegittimità, della imposizione ad ogni
lavoratore della firma di una “liberatoria”, del Verbale di
transazione allegato all’accordo, e del conseguente condizionamento
a tale firma della corresponsione delle somme.
E’
la prima volta, a nostra memoria, che un accordo siglato tra
sindacati e azienda per conto di tutti i lavoratori di una data
realtà lavorativa debba avere la firma di transazione ai sensi
dell’ex art. 2113 c.c. di ogni lavoratore, e non, invece, essere
valido automaticamente per tutti i lavoratori.
E’
come se a fronte di un accordo di rinnovo di contratto nazionale, le
associazioni datoriali e le associazioni sindacali per riconoscere
gli aumenti contrattuali imponessero a tutti le centinaia, migliaia
di lavoratori a livello nazionale di sottoscrivere un Verbale di
transazione, e tali aumenti venissero dati solo agli operai che
firmano la “liberatoria” e agli altri No. E’ evidente
l’assurdità! E l’illegale discriminazione che si produrrebbe tra
gli operai.
Un
accordo sindacale che riguarda l’insieme dei lavoratori di quella
fabbrica, riguarda tutti i lavoratori. Nel
caso in esame invece si vuole rendere un accordo che è a tutti gli
effetti collettivo, accordo individuale, con una operazione
truffaldina verso i lavoratori che si vedono costretti a firmare una
transazione mai da loro richiesta, e di stravolgimento delle norme.
L’art.
2113 parla di “rinunce e transazioni che hanno per oggetto diritti
del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della
legge e dei contratti e accordi collettivi”.
Per
un solo momento, potremmo anche considerare che tale sottoscrizione
avrebbe avuto se mai un senso solo se richiesta ai lavoratori che
avevano già avviato ricorso – ma, anche in questo caso, questi
lavoratori avevano fatto il ricorso per il “riconoscimento
retributivo del tempo cambio tuta”; mentre l’accordo del 15.12.11
parla di “premio di presenza” – quindi l’accordo chiederebbe,
paradossalmente, anche ai ricorrenti una transazione su un oggetto
mai rivendicato dagli stessi.
L’unica
ratio, pertanto, della imposizione della sottoscrizione del “Verbale
di transazione” è
data dal fatto che l’azienda vuole impedire che i lavoratori
possano rivendicare in sede legale, per il passato e per il futuro,
il riconoscimento del diritto retributivo sul ‘cambio tuta’.
Quindi, di fatto l’imposizione di questa “liberatoria” è una
implicita ammissione che l’accordo sta
violando “diritti
del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della
legge e dei contratti e accordi collettivi”.
La
sottoscrizione del “verbale di transazione” contenuta
nell’accordo del 15.12.11, ha un senso esplicitamente ricattatorio
verso gli operai (esistono denunce da parte di operai che alcuni capi
hanno sostenuto che chi non firma, oltre a non avere il “premio di
presenza” e l’una tantum, potrà essere oggetto di ritorsioni
aziendali), discriminatorio, dato che coloro che non firmeranno la
transazione non riceveranno nulla, usando un diritto come strumento
di intimidazione tra gli operai e di forzata accettazione.
Tornando
sull’elemento discriminatorio, poiché la “liberatoria” viene
chiesta non solo per l’una tantum ma anche per l’importo
giornaliero, vuol dire che dal 1 gennaio 2012, due lavoratori
dell’Ilva Spa nelle stessime condizioni di lavoro, e di presenza
lavorativa, uno potrà ricevere il “premio di presenza” (perché
ha firmato), l’altro no (perché non ha firmato). Ma può essere
una firma di transazione condizione per rientrare o meno nei
requisiti oggettivi indicati in un accordo collettivo?
E’ chiaro d’altra parte che questa liberatoria individuale è anche di fatto una sconfessione della rappresentanza sindacale. E’ come se l’azienda avesse fatto un accordo con ognuno degli operai dell’Ilva. A cosa servirebbe, quindi, un accordo con le rappresentanze sindacali?
Per
tutto questo, la sottoscrizione di questa “liberatoria”
costituisce anche un pericoloso precedente che può agire in altre
realtà lavorative, e pertanto potrebbe danneggiare non solo gli
operai dell’Ilva, ma potenzialmente la certezza del diritto per
l’insieme dei lavoratori.
Va
inoltre sottolineato l'anomalia del clima che accompagna questo
accordo. Mentre Fim, Fiom , Uilm lasciano nell’incertezza sui vari
punti dell’accordo gli operai, è l’azienda, che, sostituendosi
alle OO.SS., informa gli operai del percorso che dovranno fare per
poter ricevere l’una tantum e il ‘premio di presenza’.
La
stessa non attende neanche l’esito del referendum per far trovare
nel ‘cedolino paga’ consegnato il 10 gennaio il modulo di
adesione all’accordo; così
come prima del referendum, e prima di verificarne l’esito,
nell’Avviso esposto del 9.1.2012, la direzione aziendale scrive che
tale modulo deve essere compilato e consegnato entro il 25 gennaio
2012, con un’evidente azione di pressione psicologica, e con un
esautoramento, non considerazione di fatto dell’esito del
referendum stesso.
Non
solo, il referendum si svolge all’interno di un clima di pressione
aziendale, di timori dei lavoratori di ritorsioni (cambio reparto,
cambio turno lavorativo, ecc.), e soprattutto di assenza di
assistenza sindacale, nonché di vere e proprie irregolarità: non
c'è nessun rappresentante del NO al referendum né nella commissione
elettorale né nei seggi in cui si tiene il voto, in tutte le fasi
di esso – consegna scheda, votazione, conteggio dei voti, risultati
finali; siamo inoltre in grado, se necessario, di produrre
testimonianze su firme sostitutive, impedimenti di recarsi a votare,
e soprattutto la non presenza durante il voto di circa un terzo degli
operai aventi diritto al voto.
(CONTINUA)
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