mercoledì 11 settembre 2013

prese di posizioni sul presidio sui tetti direzione ilva

ILVA: SABATINI (USB), RACCAPRICCIANTE IL SILENZIO DI FIM FIOM UILM
Dal tetto dell’ILVA arriva un grido sui veri problemi di questo Paese

“È raccapricciante il silenzio di FIM FIOM UILM su quanto sta avvenendo all’Ilva di Taranto, dove operai minacciano di buttarsi già dal tetto e sindacalisti vengono licenziati per aver svolto la loro funzione in difesa dei diritti dei lavoratori”, afferma Paolo Sabatini, dell’Esecutivo nazionale USB.
“Come si possono ignorare le ingiustizie denunciate da chi sta scioperando e continua a protestare sul tetto della Direzione aziendale dello stabilimento tarantino, battendosi per il lavoro, la sicurezza la salute degli operai dell’acciaieria e degli abitanti della città di Taranto?”, domanda il dirigente dell’USB.
Osserva Sabatini: “Viene da pensare che la volontà di FIM FIOM UILM di non partecipare al rinnovo delle RSU, ormai scadute da mesi ed indette dall’USB, sia indicativa di quanto quelle organizzazioni temano il confronto con i veri problemi dello stabilimento e dei lavoratori”.
“Il protrarsi di questo silenzio potrà solo significare connivenza con il “sistema ILVA”, con i suoi meccanismi di sfruttamento ed illegalità, con i suoi “apparati ombra”, aggiunge l’esponente dell’USB nazionale.
“Ai rappresentanti di FIM FIOM UILM, alle istituzioni, alle forze politiche e parlamentari chiediamo un sussulto di dignità – conclude Sabatini – perché dal tetto dell’ILVA arriva un grido sui veri problemi di questo Paese, che non può più essere ignorato da nessuno”.


LA BATTAGLIA DELL’ILVA
di ADRIANO SOFRI

SI STA come d’autunno sui tetti gli operai, per esempio all’Ilva di Taranto, sul tetto della Direzione. Uno si chiama Marco Zanframundo, 33 anni, moglie e bambino di 3. Lavora da 11 anni e mezzo allo stesso reparto, Mof, il movimento ferroviario. È delegato sindacale dell’Usb. Nel 2010 entrò in vigore una norma per cui alla guida dei locomotori e alla manovra sarebbe andato un operaio solo invece di due. Fim Uilm e Fiom firmarono, poi la Fiom ritirò la firma. Gli operai protestarono: i treni compiono percorsi lunghi e accidentati, un malore o un incidente lasciano senza soccorso. Nell’ottobre 2012 Claudio Marsella, 29 anni, morì schiacciato, agganciando due vagoni. I suoi compagni scioperarono a lungo. Zanframundo era suo amico fraterno, non riusciva più a lavorare e vivere come prima. Momenti di panico, febbre improvvisa, pressione alta, si rifugiava in infermeria. Chiedeva, con gli altri, di rivedere quella norma, mise in rete un filmato che documentava l’insicurezza. E chiedeva di cambiare lavorazione. Intanto il suo caporeparto, indagato per la morte di Marsella, era promosso capoarea. In 11 anni Zanframundo non aveva ricevuto un rapporto: ora, in 50 giorni, ne ha ricevuti 8. Il terzo con lo stesso addebito gli è valso il licenziamento, venerdì. Di quei 50 giorni ne aveva lavorati 20, per il resto era in malattia. Nell’ultima visita era scoppiato in lacrime, e vedere un uomo come lui piangere impressionò il medico: ti conosco da una vita, gli disse, riposati, curati, e quando tornerai ti aiuterò a cambiare reparto. Si è curato, di farmaci e di assistenza psicologica, ed è rientrato: in tempo per il licenziamento. Non rispettava le norme di sicurezza. Lo stesso giorno in cui Procura e Gip hanno ordinato i primi cinque arresti dei “fiduciari”: i lettori ricorderanno questa strampalata denominazione della rete “ombra” di dirigenti e capi che i Riva avevano messo a comandare l’Ilva, veterani di Brescia o di Bergamo, una gerarchia coloniale che esercitava il potere senza esistere ufficialmente. “Associazione a delinquere”. Un esposto contro quella struttura “clandestina” e prepotente, già indagata, era stato presentato dal segretario dell’Usb, Rizzo, e i suoi compagni della Mof. Perfino il nuovo direttore dell’Ilva, Lupoli, deve aver parlato chiaro sulla gerarchia occulta, umiliante anche per i dirigenti che hanno nome e cognome – e con i loro nomi vanno in galera. Ora gli operai sono lì, sul tetto, e con loro gli edili della Emmerre, una ditta prestigiosa per il lavoro più brutto e qualificato, rimontare a mano i refrattari in batteria: mansione decisiva per ridurre le emissioni, e per l’Autorizzazione integrata ambientale che attende. Era un loro compagno un altro morto sul lavoro, Ciro Moccia. Nella causa per lui la Emmerre ha nominato un avvocato di fiducia. E ora è fuori, in 50.
I lavoratori “liberi e pensanti” hanno solidarizzato con lo sciopero, come i Cobas. I sindacati confederali no. La Fiom è sull’orlo di una crisi di nervi. Dal centro si tirano le briglie, i delegati mordono il freno. Bondi dice che il problema è di passare dalla quantità alla qualità: vuol dire il tonnellaggio, forse, gli operai fanno presto a capire la quantità di posti di lavoro. “Tagli drastici”, si dice a bassa voce nei sindacati, 4, 5 mila: intanto quel Zanframundo. Si aspetta il piano, a novembre. Come sugli alberi le foglie, sui tetti gli operai.

Nessun commento:

Posta un commento