lunedì 16 settembre 2013

Sequestri Riva, cento in ansia alla Sanac - Vado Ligure

Ore di ansia, attesa, rabbia. E tensione alle stelle. È questa l’atmosfera che si respirava ieri allo stabilimento Sanac di Vado, appartenente al gruppo Riva Acciaio. Il giorno dopo il sequestro dei beni mobili e immobili dei Riva e il blocco di sette impianti Ilva, la preoccupazione nello stabilimento vadese, che produce refrattari, è altissima con dubbi e incertezze sul futuro di un centinaio di lavoratori. Anche se una comunicazione di sequestro, per ora, non è stata notificata, che cosa accadrà all’azienda savonese del gruppo Riva non è chiaro a nessuno: ai lavoratori, che non nascondono la rabbia per una situazione difficile da sopportare, che si trascina ormai da tempo, sin dall’esplosione del caso Taranto. Ai rappresentanti dell’Rsu, che cercano di carpire notizie dalla dirigenza, ma che vanno avanti a tentoni, con notizie rubate a fatica. E alla dirigenza stessa che, a detta degli operai, vivrebbe alla giornata ricevendo informazioni variabili e indicazioni su come procedere con scadenza quotidiana o, al massimo, settimanale. Ieri, nonostante i numerosi tentativi nell’arco dell’intera giornata, è stato impossibile incontrare o parlare telefonicamente con il direttore, Mauro Parodi, e persino con il centralino che, a un tratto, non ha nemmeno più risposto alle chiamate telefoniche.
Una situazione delicata sucui nessuno, com’è evidente, si sente di esprimersi, sperando che i giorni trascorrano e che la paura del sequestro si allontani. Non è questa, però, l’unica preoccupazione. La Sanac, infatti, lavora quasi all’80 per cento per un indotto interno, producendo cioè mattoni refrattari per i forni Ilva. Se la produzione si bloccasse in modo completo e si giungesse a una paralisi, gli effetti sarebbero rovinosi anche per Vado. Sono sempre gli operai a parlare di due commesse estere
importanti, una turca e una algerina, che tuttavia trainerebbero l’azienda sino a fine anno. Gli esuberi successivi sarebbero inevitabili e soprattutto pesantissimi.

Lo sanno bene i lavoratori che hanno poca voglia di parlare, ma tanta amarezza. C’è chi, come Giuseppe Albanese, è ancora dipendente dell’Ilva di Genova, ma è stato mandato a lavorare alla Sanac di Vado e trema per il futuro. «Sono stanco – dice – di vivere nell’incertezza. Dal 1989 lavoro all’Ilva di Genova, poi mi hanno inviato in modo forzato qui dal 2000. Come andrà a finire non si sa. Siamo tutti molto arrabbiati e stufi». «Nel Vadese ha chiuso quasi tutto – commenta Fabio Desiglioli, Rsu Cgil. – Non lo nego: ieri, quando ho sentito la notizia, ero terrorizzato, sono qui da ventisette anni. Oggi aspetto: misembra di capire che siano nell’occhio del ciclone i reparti elettrici, non noi. La dirigenza non dice nulla. Attendiamo l’evolversi dei fatti cercando di mantenere la calma».
Stessi concetti ribaditi da Marco Giavina, Femca Cisl. «Le uniche informazioni le apprendiamo dai giornali– dice. – Non gioverebbe a nessuno porre sotto sequestro questa azienda: il lavoro qui non manca. E la preoccupazione non c’è da oggi, ma da parecchi mesi. Ci abbiamo fatto il callo».
C’è anche chi non nasconde un forte disagio per la scarsa informazione dalla dirigenza.
 «La sensazione – dice Giuseppe Fasino – è che cerchino di convincerci che le comunicazioni dall’Ilva arrivano giorno per giorno e che quindi non ci è dato né di sapere né di chiedere di più. Non è possibile. La dirigenza tace e i sindacati latitano. Sappiamo, ad esempio, che l’Rsu ha chiesto un incontro ai capi già la scorsa settimana, ma non c’è stataalcuna risposta». Tante le voci di corridoio. «Sembra anche che proprio ieri ci sia stato un incontro tra i dirigenti nazionali del gruppo Sanac – continua Fasino – ma nemmeno di questo siamo stati informati. Lacrisi si inizia a sentire. Ad agosto abbiamo dovuto prendere ferie forzate, ma chi andrà sotto, pare che non se le vedrà pagare».

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