TARANTO – La Procura della Repubblica di Taranto ha chiesto all’ufficio del gip il rinvio a giudizio per 50 persone e tre società nell’inchiesta sul disastro ambientale che sarebbe stato causato dall’Ilva. Tra coloro che rischiano il processo, oltre alla famiglia Riva, c'è il governatore della Puglia, Nichi Vendola, accusato di concussione aggravata.
La richiesta di rinvio a giudizio, firmata dal procuratore, Franco Sebastio, dal procuratore aggiunto, Pietro Argentino, e dai sostituti procuratori Mariano Buccoliero, Giovanna Cannarile, Remo Epifani e Raffaele Graziano, riguarda tutti i 53 indagati ai quali il 30 ottobre scorso era stato notificato dalla Guardia di finanza di Taranto l'avviso di conclusione delle indagini preliminari.
Oltre ad Emilio, Fabio e Nicola Riva e a Vendola, la richiesta riguarda vertici vecchi e nuovi dell’Ilva prima del commissariamento, un assessore regionale (Lorenzo Nicastro), un deputato ed ex assessore della Puglia (Nicola Fratoianni), consiglieri regionali, l’ex presidente della Provincia di Taranto Giovanni Florido, il sindaco del capoluogo ionico, Ippazio Stefàno, dirigenti e funzionari ministeriali e della Regione Puglia, un poliziotto, un carabiniere, un sacerdote, nonchè uno stuolo di dirigenti ed ex dirigenti del Siderurgico tarantino. Tra questi figurano i cosiddetti 'fiduciarì, cioè un gruppo di persone non alle dipendenze dirette dell’Ilva che però in fabbrica, secondo l’accusa, avrebbe costituito un 'governo-ombrà che prendeva ordini dalla famiglia Riva.
Ad 11 indagati la Procura contesta il reato di associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale e a reati contro la pubblica amministrazione, nonchè l’avvelenamento di acque e sostanze alimentari. Tra le imputazioni, anche quella di omicidio colposo per due 'morti bianchè all’Ilva.
Ecco tutti i nomi degli indagati
TARANTO - Ecco la lista di tutti gli imputati: Emilio Riva (1926), Nicola Riva (1958), Fabio Arturo Riva (1954); Luigi Capogrosso (1955), Marco Andelmi (1971), Angelo Cavallo (1968), Ivan Dimaggio (1969), Salvatore De Felice (1964), Salvatore D'Alò (1959), Girolamo Archinà (1946), Francesco Pervi (1954), Bruno Ferrante (1947), Adolfo Buffo (1956), Antonio Colucci (1959), Cosimo Giovinazzi (1974), Giuseppe Dinoi (1984), Giovanni Raffaelli (1963), Sergio Palmisano (1973), Vincenzo Dimastromatteo (1970), Lanfranco Legnani (1939), Alfredo Cerinani (1944), Giovanni Rebaioli (1948), Agostino Pastorino (1953), Enrico Bessone (1968), Giuseppe Casartelli (1943), Cesare Cotti (1953), Giovanni Florido (1952), Michele Conserva (1960), Vincenzo Specchia (1953), Lorenzo Liberti (1942), Roberto Primerano (1974), Marco Gerardo (1975), Angelo Veste (1938), Giovanni Bardaro (1962), Donato Perrini (1958), Cataldo De Michele (1959), Nicola Vendola (1958), Ippazio Stefàno (1945), Donato Pentassuglia (1967), Antonello Antonicelli (1974), Francesco Manna (1974), Nicola Fratoianni (1972), Davide Filippo Pellegrino (1961), Massimo Blonda (1957), Giorgio Assennato (1948), Lorenzo Nicastro (1955), Luigi Pelaggi (1954), Dario Ticali (1975), Caterina Vittoria Romeo (1951), Pierfrancesco Palmisano (1953), Ilva spa (in persona del commissario straordinario Enrico Bondi), Riva Fire spa (in persona del consigliere delegato e legale rappresentante Angelo Massimo Riva ), Riva Forni Elettrici spa (in persona del presidente legale e rappresentante Cesare Federico Riva).
Telefonata con Archinà, Vendola chiede 100mila euro al Fatto
Nella domanda di conciliazione, con la quale i difensori del leader di Sel chiedono ai giornalisti del Fatto un risarcimento attraverso una procedura di mediazione di 100mila euro, spiegano che “la telefonata ha un contenuto distensivo e una parentesi conviviale e scherzosa legata alla scena, francamente singolare, della sottrazione del microfono, ma certamente non alla gravità del tema introdotto con la domanda del giornalista della prima intervista”. Non solo. Secondo i legali “le risate si riferiscono alla scena del microfono in cui l’ing. Archina compie un gesto curioso e insolito, del tutto slegato dal tema della domanda introdotta dall’intervistatore”. Eppure Archinà (che non è ingegnere) strappa il microfono dalle mani del giornalista proprio per la domanda sui morti per tumore.
Ancora. Per i legali “è a tutti evidente come la singolare appropriazione del microfono avvenga in maniera fulminea e indifferente al tipo di domanda formulata, sulla quale non vi è alcuna ilarita dell’on. Vendola, semmai il successivo disappunto per una riflessione alla quale ha dedicate molte sue energie nel corso di una lunga contesa per la salubrità dell’ambiente, alla quale ancora, e proprio in quel periodo, la Regione Puglia stava lavorando per la prima volta in anni di assoluta complicità culturale”. Basta riascoltare la conversazione per comprendere che Vendola afferma chiaramente di ridere per lo “scatto felino” e sull’operato del giornalista, al quale ha poi pubblicamente chiesto scusa, parla di “faccia da provocatore”. (FQ)
Tutti i livelli dello Stato: Vendola, Stefano, Florido, Conserva, Nicastro, Fratoianni, Pelaggi, Assennato... E pure il prete!
Per avere un quadro più ricco, pubblichiamo alcuni articoli che
riferiscono del rinvio a giudizio di 53 persone nell'inchiesta Ambiente
Svenduto: il grande affaire Ilva!
I governatore Vendola è imputato di accusato di concussione aggravata in
concorso con Girolamo Archinà, ex dirigente dei rapporti istituzionali
del siderurgico, Fabio Arturo Riva, ex vicepresidente del gruppo, Luigi
Capogrosso, ex direttore dello stabilimento tarantino e Francesco Perli,
legale dell’azienda.
GLI ALTRI NOMI DELL'INCHIESTA - Nell'inchiesta risultano coinvolti anche il sindaco Ippazio Stefàno, il parlamentare di Sel, Nicola Fratoianni (all'epoca assessore regionale), l'attuale assessore regionale all'Ambiente Lorenzo Nicastro, il consigliere regionale del Pd Donato Pontassuglia. Gli altri avvisi di garanzia sono in corso di notifica al patron Emilio Riva e ai suoi figli Nicola e Fabio. Sono ancora coinvolti il consigliere regionale Donato Pentassuglia i dirigenti della Regione Antonicelli, Manna, Pellegrino ed anche il direttore dell'Arpa Giorgio Assennato, il direttore scientifico dell'Arpa Massimo Blonda. Ecco la lista di tutti gli indagati: Emilio Riva (1926), Nicola Riva (1958), Fabio Arturo Riva (1954); Luigi Capogrosso (1955), Marco Andelmi (1971), Angelo Cavallo (1968), Ivan Dimaggio (1969), Salvatore De Felice (1964), Salvatore D'Alò (1959), Girolamo Archinà (1946), Francesco Pervi (1954), Bruno Ferrante (1947), Adolfo Buffo (1956), Antonio Colucci (1959), Cosimo Giovinazzi (1974), Giuseppe Dinoi (1984), Giovanni Raffaelli (1963), Sergio Palmisano (1973), Vincenzo Dimastromatteo (1970), Lanfranco Legnani (1939), Alfredo Cerinani (1944), Giovanni Rebaioli (1948), Agostino Pastorino (1953), Enrico Bessone (1968), Giuseppe Casartelli (1943), Cesare Cotti (1953), Giovanni Florido (1952), Michele Conserva (1960), Vincenzo Specchia (1953), Lorenzo Liberti (1942), Roberto Primerano (1974), Marco Gerardo (1975), Angelo Veste (1938), Giovanni Bardaro (1962), Donato Perrini (1958), Cataldo De Michele (1959), Nicola Vendola (1958), Ippazio Stefàno (1945), Donato Pentassuglia (1967), Antonello Antonicelli (1974), Francesco Manna (1974), Nicola Fratoianni (1972), davide filippo Pellegrino (1961), Massimo Blonda (1957), Giorgio Assennato (1948), Lorenzo Nicastro (1955), Luigi Pelaggi (1954), Dario Ticali (1975), caterina Vittoria Romeo (1951), Pierfrancesco Palmisano (1953), Ilva spa (in persona del commissario straordinario Enrico Bondi), Riva Fire spa (in persona del consigliere delegato e legale rappresentante Angelo Massimo Riva ), Riva Forni Elettrici spa (in persona del presidente legale e rappresentante Cesare Federico Riva). (CdM)
Ilva, un sistema infetto: concussione, corruzione e disastro ambientale. 50 richieste di rinvio a giudizio
Ci sono impresentabili di serie A e impresentabili di serie Z. Campagne mediatiche per chiedere la testa di Tizio, mentre i Caio e i Sempronio rimangono al loro posto, nascondendosi dietro il dito della "presunzione d'innocenza", in Italia valida solo per i politici.
Non sono bastate oltre sette ore di interrogatorio per convincere la Procura di Taranto dell’innocenza del governatore di Puglia Nichi Vendola, accusato di concussione al termine dell’inchiesta “ambiente svenduto” sull’Ilva di Taranto. Un interrogatorio caratterizzato da “troppi non ricordo”, che secondo fonti investigative oggi si sono tradotti per il leader di Sinistra ecologia e libertà nella richiesta di rinvio a giudizio che gli inquirenti hanno depositato poche ore fa. Per il pool di magistrati guidati dal procuratore Franco Sebastio, infatti, Vendola in accordo con Fabio Riva, proprietario della fabbrica, e l’ex potente responsabile delle relazioni istituzionali Girolamo Archinà ha abusato “della sua qualita di Presidente della Regione Puglia” e “mediante minaccia implicita della mancata riconferma nell’incarico” di direttore dell’Arpa Puglia, ha costretto Giorgio Assennato ad “ammorbidire” la posizione della’agenzia regionale di protezione ambientale “nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall’impianto siderurgico dell’Ilva s.p.a. ed a dare quindi utilità a quest’ultima, consistente nella possibilità di proseguire l’attività produttiva ai massimi livelli, come sino ad allora avvenuto, senza perciò dover subire le auspicate riduzioni o rimodulazioni”.
Proprio Assennato, infatti, con una nota del 21 giugno 2010 aveva suggerito “sulla scorta dei risultati dei campionamenti della qualità dell’aria eseguiti dall’Arpa nell’anno 2009 che avevano evidenziato valori estremamente elevati di benzo(a)pirene, l’esigenza di procedere ad una riduzione e rimodulazione del ciclo produttivo dello stabilimento siderurgico di Taranto”. Un’ipotesi che aveva mandato su tutte le furie i Riva e lo stesso Vendola che il giorno dopo, il 22 giugno 2010, in un incontro con gli assessori Nicola Fratoianni e Michele Losappio, aveva “fortemente criticato” l’operato dell’Arpa e sostenuto che ‘cosi com’è Arpa Puglia può andare a casa perché hanno rotto…’” ribadendo che “in nessun caso l’attività produttiva dell’Ilva avrebbe dovuto subire ripercussioni”. Non solo. I pm scrivono che dopo sole 24 ore Vendola ha convocato il direttore scientifico dell’agenzia, Massimo Blonda, “per ribadirgli i concetti espressi nell’incontro” del giorno precedente. Infine, il 15 luglio successivo, aveva indetto una riunione informale alla quale hanno partecipato anche i Riva, Archinà e l’allora direttore dell’Ilva Luigi Capogrosso, mentre Giorgio Assennato, “che pure era stato convocato” era stato lasciato fuori dalla stanza e “ammonito dal dirigente Antonicelli, su incarico del Vendola, a non utilizzare i dati tecnici sul benzo(a)pirene come ‘bombe carta che poi si trasformano in bombe a mano’”. Accuse gravi, insomma, per le quali Nichi Vendola rischia di finire sotto processo.
La stessa richiesta è stata formulata per gli altri 49 indagati e per le tre società (Ilva, Riva Fire e Riva Forni Elettrici) finite nell’inchiesta all’atto di chiusura delle indagini. La Procura di Taranto, infatti, ha chiesto il rinvio a giudizio anche per Emilio, Nicola e Fabio Riva accusati di associazione a delinquere insieme ad Archinà, al direttore Capogrosso, al consulente legale dell’azienda Francesco Perli e a cinque fiduciari, finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari e all’omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Non solo. Fabio Riva e Archinà dovranno rispondere anche di corruzione in atti giudiziari per aver versato secondo i pm una tangente da 10mila euro a Lorenzo Liberti, docente universitario e all’epoca dei fatti consulente della procura che indagava sulle emissioni della fabbrica.
Rischiano il processo anche il sindaco di Taranto Ippazio Stefàno e l’ex presidente della Provincia, Gianni Florido. Stefàno è accusato di omissioni in atti d’ufficio, perché in qualità di primo cittadino e quindi di autorità locale avrebbe omesso di adottare provvedimenti per “prevenire e di eliminare i gravi pericoli” derivanti dall’allarmante situazione di emergenza dovuta ai veleni dell’Ilva di cui era a conoscenza. Un atteggiamento omissivo, che secondo i magistrati, avrebbe procurato alla famiglia riva e all’Ilva un vantaggio economico visto che non sono stati abbassati i livelli produttivi. Florido, finito in carcere il 15 maggio 2013 è accusato insieme all’ex assessore all’Ambiente, Michele Conserva, e ad Archinà, di tentata concussione: secondo le dichiarazioni del dirigente Luigi Romandini, Florido a Conserva avrebbero fatto pressioni perché il dirigente rilasciasse l’autorizzazione alla discarica Ilva per permettere all’azienda di smaltire i rifuti all’interno risparmiando così milioni di euro.
Richiesta di rinvio a giudizio anche per Luigi Pelaggi, ex capo della segreteria tecnica del ministro Stefania Prestigiacomo e membro della commissione che nel 2011 rilasciò l’autorizzazione a produrre all’Ilva. (FQ)
“Ambiente svenduto”: cinquantatré rinvii a giudizio per l’ILVA di Taranto
La
procura della Repubblica di Taranto ha chiesto il rinvio a giudizio di
cinquantatré indagati, cinquanta persone e tre società, nell’ambito
dell’inchiesta “Ambiente svenduto”. Tra gli altri, il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola e per Emilio, Nicola e Fabio Riva, proprietari dell’ILVA di Taranto.
Per i Riva, inoltre, (Fabio rifugiato in Inghilterra è in attesa di essere estradato) insieme con Capogrosso, per le morti per amianto di
operai dello stabilimento è stata chiesta una pena di quattro anni e
sei mesi a testa. Tra le accuse contestate in un altro processo, l’omicidio colposo e l’omessa cautela di precauzioni necessarie per tutelare l’integrità fisica dei lavoratori.
Secondo gli inquirenti, nel 2010 il presidente Vendola avrebbe fatto pressioni sul direttore generale dell’ARPA Puglia, l’Agenzia Regionale per la Protezione e Prevenzione dell’Ambiente Giorgio Assennato per “ammorbidire” la posizione dell’agenzia sulle emissioni nocive dell’ILVA; rinviati a giudizio, quindi, per favoreggiamento personale Giorgio Assennato e, fra gli altri, il suo direttore scientifico Massimo Blonda, Donato Pentassuglia, presidente della commissione Ambiente alla Regione e l’assessore regionale all’Ambiente Lorenzo Nicastro.
La richiesta di rinvio a giudizio è stata formalizzata per concussione anche per l’ex presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido del Pd, arrestato a maggio 2013 insieme con l’ex assessore provinciale all’ambiente Michele Conserva per aver fatto pressioni insieme ad Archinà su due suoi dirigenti per facilitare il rilascio dell’autorizzazione di una discarica per rifiuti speciali all’interno dell’ILVA; e per il sindaco di Taranto, Ezio Stefàno, accusato di abuso d’ufficio per non aver tutelato la salute dei suoi concittadini. A processo anche un ispettore di polizia, un sottufficiale dei carabinieri, un avvocato e un parroco, coinvolti a vario titolo nelle indagini sui rapporti fra ILVA e società civile. (Ambienteambienti)
Secondo gli inquirenti, nel 2010 il presidente Vendola avrebbe fatto pressioni sul direttore generale dell’ARPA Puglia, l’Agenzia Regionale per la Protezione e Prevenzione dell’Ambiente Giorgio Assennato per “ammorbidire” la posizione dell’agenzia sulle emissioni nocive dell’ILVA; rinviati a giudizio, quindi, per favoreggiamento personale Giorgio Assennato e, fra gli altri, il suo direttore scientifico Massimo Blonda, Donato Pentassuglia, presidente della commissione Ambiente alla Regione e l’assessore regionale all’Ambiente Lorenzo Nicastro.
La richiesta di rinvio a giudizio è stata formalizzata per concussione anche per l’ex presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido del Pd, arrestato a maggio 2013 insieme con l’ex assessore provinciale all’ambiente Michele Conserva per aver fatto pressioni insieme ad Archinà su due suoi dirigenti per facilitare il rilascio dell’autorizzazione di una discarica per rifiuti speciali all’interno dell’ILVA; e per il sindaco di Taranto, Ezio Stefàno, accusato di abuso d’ufficio per non aver tutelato la salute dei suoi concittadini. A processo anche un ispettore di polizia, un sottufficiale dei carabinieri, un avvocato e un parroco, coinvolti a vario titolo nelle indagini sui rapporti fra ILVA e società civile. (Ambienteambienti)
GLI ALTRI NOMI DELL'INCHIESTA - Nell'inchiesta risultano coinvolti anche il sindaco Ippazio Stefàno, il parlamentare di Sel, Nicola Fratoianni (all'epoca assessore regionale), l'attuale assessore regionale all'Ambiente Lorenzo Nicastro, il consigliere regionale del Pd Donato Pontassuglia. Gli altri avvisi di garanzia sono in corso di notifica al patron Emilio Riva e ai suoi figli Nicola e Fabio. Sono ancora coinvolti il consigliere regionale Donato Pentassuglia i dirigenti della Regione Antonicelli, Manna, Pellegrino ed anche il direttore dell'Arpa Giorgio Assennato, il direttore scientifico dell'Arpa Massimo Blonda. Ecco la lista di tutti gli indagati: Emilio Riva (1926), Nicola Riva (1958), Fabio Arturo Riva (1954); Luigi Capogrosso (1955), Marco Andelmi (1971), Angelo Cavallo (1968), Ivan Dimaggio (1969), Salvatore De Felice (1964), Salvatore D'Alò (1959), Girolamo Archinà (1946), Francesco Pervi (1954), Bruno Ferrante (1947), Adolfo Buffo (1956), Antonio Colucci (1959), Cosimo Giovinazzi (1974), Giuseppe Dinoi (1984), Giovanni Raffaelli (1963), Sergio Palmisano (1973), Vincenzo Dimastromatteo (1970), Lanfranco Legnani (1939), Alfredo Cerinani (1944), Giovanni Rebaioli (1948), Agostino Pastorino (1953), Enrico Bessone (1968), Giuseppe Casartelli (1943), Cesare Cotti (1953), Giovanni Florido (1952), Michele Conserva (1960), Vincenzo Specchia (1953), Lorenzo Liberti (1942), Roberto Primerano (1974), Marco Gerardo (1975), Angelo Veste (1938), Giovanni Bardaro (1962), Donato Perrini (1958), Cataldo De Michele (1959), Nicola Vendola (1958), Ippazio Stefàno (1945), Donato Pentassuglia (1967), Antonello Antonicelli (1974), Francesco Manna (1974), Nicola Fratoianni (1972), davide filippo Pellegrino (1961), Massimo Blonda (1957), Giorgio Assennato (1948), Lorenzo Nicastro (1955), Luigi Pelaggi (1954), Dario Ticali (1975), caterina Vittoria Romeo (1951), Pierfrancesco Palmisano (1953), Ilva spa (in persona del commissario straordinario Enrico Bondi), Riva Fire spa (in persona del consigliere delegato e legale rappresentante Angelo Massimo Riva ), Riva Forni Elettrici spa (in persona del presidente legale e rappresentante Cesare Federico Riva). (CdM)
Ilva, un sistema infetto: concussione, corruzione e disastro ambientale. 50 richieste di rinvio a giudizio
Ci sono impresentabili di serie A e impresentabili di serie Z. Campagne mediatiche per chiedere la testa di Tizio, mentre i Caio e i Sempronio rimangono al loro posto, nascondendosi dietro il dito della "presunzione d'innocenza", in Italia valida solo per i politici.
Ieri il ministro Boschi (Riforme)
ha spiegato ai pochi deputati presenti in Aula che il governo, proprio
per la presunzione d'innocenza, non ha alcuna intenzione di chiedere le
dimissioni dei sottosegretari indagati o imputati (Barraciu, De Caro, De
Filippo, Bubbico) figuriamoci del ministro Lupi (concorso in abuso
d'ufficio). Resta da capire perchè Renzi abbia sostenuto che la Baracciu
non andava bene come indagata candidata governatrice della Sardegna, ma
è perfetta come sottosegretario alla Cultura. Dopo pressioni di stampa e opinione pubblica, il sottosegretario Gentile (NCD) si è dimesso. Nessuno
ha fiatato (e la notizia è rapidamente scomparsa dai principali
quotidiani) per il rinvio a giudizio del compagno di partito Roberto
Formigoni, ex governatore della Lombardia, presidente della
Commissione Agricoltura. Sul suo capo accuse di corruzione e
associazione a delinquere nell'inchiesta Maugeri sulla Sanità.
Bazzeccole.
Oggi
giunge notizia della richiesta di rinvio a giudizio per Nichi Vendola,
accusato di concussione aggravata nell'ambito dell'inchiesta sull'Ilva
di Taranto, altra indagine che rischia di venire archiviata dai media
con troppa fretta. Secondo gli inquirenti il governatore della Puglia
avrebbe abusato del suo ruolo e, assieme al patron Fabio Riva e all'ex
responsabile delle comunicazioni dell'azienda Girolamo Archinà (quello
della famigerata intercettazione pubblicata dal Fatto alcuni mesi fa),
avrebbe "implicitamente minacciato" con la "mancata riconferma
nell'incarico" Giorgio Assennato, direttore dell'ARPA (Agenzia
Regionale per la Protezione Ambientale), allo scopo di renderlo più
'morbido' nei confronti dell'azienda, in particolare sulle
"emissioni nocive prodotte dall'impianto siderurgico dell'Ilva s.p.a. ed
a dare quindi utilità a quest'ultima, consistente nella possibilità di
proseguire l'attività produttiva ai massimi livelli, come sino ad allora
avvenuto, senza perciò dover subire le auspicate riduzioni o
rimodulazioni". E' un'accusa gravissima di un'inchiesta che, non a caso, si chiama "ambiente svenduto".
Oltre
a quella di Vendola, ci sono altre 50 richieste di rinvio a giudizio:
per i Riva (Fabio, Emilio, Nicola), Archinà, il direttore dello
stabilimento Luigi Capogrosso l'accusa è di associazione
a delinquere finalizzata al disastro ambientale, all'avvelenamento di
sostanze alimentari e all'omissione dolosa di cautele sui luoghi di
lavoro. Fabio Riva assieme ad Archinà deve rispondere anche del reato di
corruzione
in atti giudiziari: avrebbero versato una tangente di 10mila euro ad un
professore universitario (Lorenzo Liberti) che collaborava con la
Procura proprio sulle emissioni dell'Ilva. Tra i neo imputati anche
Luigi Pelaggi,
che nel 2011, quando venne rilasciata l'autorizzazione ambientale
all'Ilva, faceva parte della commissione incaricata a decidere. Pelaggi
era anche alla guida della segreteria tecnica dell'allora ministro
dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo.
Imputati
anche il sindaco di Taranto Ippazio Stefàno (omissioni
in atti d'ufficio, non avrebbe adottato provvedimenti per "prevenire ed
eliminare i pericoli" causati dall'Ilva di cui era a conoscenza) e l'ex
presidente della Provincia, Gianni Florido (tentata concussione,
pressioni per far ottenere l'autorizzazione alla discarica ILVA).
L'inchiesta
è partita nel 2009, ma il caso è deflagrato negli ultimi
due anni, con il lungo braccio di ferro relativo alla chiusura degli
impianti, fino al "sequestro per equivalente di beni, quote societarie e
denaro fino alla concorrenza di 8.1 miliardi di euro nei
confronti di Riva Fire e Ilva". Decisione poi annullata senza rinvio
dalla Cassazione. Ma la questione Ilva si trascina da oltre un decennio.
Il patriarca Emilio Riva ha già collezionato due condanne (nel 2002 e
nel 2007) per l'inquinamento prodotto dall'azienda, senza che i vertici
avessero messo in atto delle contromisure a tutela dell'ambiente.
Un caso anche politico, che ha visto i governi e i vari ministri
dell'Ambiente che si sono succeduti (Monti-Clini, Letta-Orlando)
incapaci di fornire risposte convincenti. E con un evidente
conflitto d'interessi: Enrico Bondi è stato nominato dal governo Letta
commissario governativo del gruppo Ilva, un mese dopo aver lasciato il
precedente incarico: amministratore delegato della stessa azienda. (IBT)
Per
la Procura di Taranto Emilio Riva e i suoi figli Nicola e Fabio
(rifugiato in Inghilterra in attesa di giudizio di appello
sull’estradizione), proprietari dell’Ilva, insieme all’ex direttore
dello stabilimento Luigi Capogrosso, devono essere processati. I Pm
hanno infatti oggi richiesto il rinvio a giudizio per 50 persone e tre
società.
L’inchiesta era stata già
avviata nel 2009, ma di fatto la svolta era avvenuta nel 2012, grazie a
due perizie che evidenziavano il pesante impatto dell’Ilva sull’ambiente
e soprattutto sulla salute dei cittadini di Taranto. Da li partì il
sequestro degli impianti e successivamente i primi arresti.
Le accuse depositate oggi
dalla Procura sono decisamente gravissime e riguardano non solo i
proprietari dell’Ilva, ma anche i loro ‘fiduciari’ (il cosiddetto
governo ombra della fabbrica). Vanno dall’associazione a delinquere,
disastro ambientale, inquinamento, avvelenamento di sostanze alimentari,
fino all’omissione dolosa di cautele contro gli infortuni, corruzione,
concussione, falso e infine abuso d`ufficio. Fra le accuse c’è anche
quella di aver fatto pressioni su politici e amministratori, mass media,
organizzazioni sindacali, forze dell’ordine e clero, per ridimensionare
i problemi ambientali e consentire allo stabilimento di proseguire
l’attività produttiva “senza il minimo rispetto anzi in totale
violazione e spregio della normativa vigente”. Ma non solo. Rinviato a
giudizio per concussione aggravata anche il presidente della Regione
Puglia, Nichi Vendola, leader di Sel. Vendola è imputato dalla Procura
per le pressioni sui vertici dell’Arpa Puglia, affinché ‘ammorbidisse’
l’azione di controllo sull’Ilva, in particolare in relazione alle
emissioni nocive prodotte dall'impianto siderurgico, dando così la
possibilità a quest’ultimo di proseguire indisturbato l’attività
produttiva, senza dover subire riduzioni o rimodulazioni.
Riguardo al presidente
dell'Ilva, Bruno Ferrante, ecco quanto dichiara la Procura nel
fascicolo: “In concorso tra loro nella gestione dell'Ilva di Taranto
operavano e non impedivano con continuità e piena consapevolezza una
massiva attività di sversamento nell'aria-ambiente di sostanze nocive
per la salute umana, animale e vegetale, diffondendo tali sostanze nelle
aree interne allo
stabilimento, nonché rurali ed urbane circostanti lo stesso, in
particolare Ipa, benzoapirene, diossine, metalli ed altre polveri
nocive, determinando gravissimo pericolo per la salute pubblica e
cagionando eventi di malattia e morte nella popolazione residente nei
quartieri vicino al siderurgico e ciò anche in epoca successiva al
provvedimento di sequestro preventivo di tutta l'area a caldo”, avvenuta
il 26 luglio del 2012.
L’ex direttore Adolfo Buffo è
invece accusato di aver omesso le misure di sicurezza necessarie alla
protezione dei lavoratori, e di aver quindi causato la morte di due
operai a ottobre e novembre del 2012, Claudio Marsella e Francesco
Zaccaria.
Diverse, infine, le accuse,
che vanno dall'associazione a delinquere alla concussione, che
coinvolgono Girolamo Archinà, l'ex consulente dell'Ilva, licenziato ad
agosto 2012 e poi arrestato a novembre 2012. Archinà è stato uno dei
personaggi chiave dell'indagine, colui che manteneva infatti i rapporti
con i personaggi delle istituzioni, della politica e del sindacato. Era
lui quindi il cosidetto ‘maestro degli insabbiamenti’.
La Procura ha chiesto il
processo anche per il sindaco di Taranto, per omissione di atti
d’ufficio e per Gianni Florido, l’ex presidente della Provincia di
Taranto (Pd), dimessosi a maggio in seguito all’arresto. Florido in
particolare è accusato per le pressioni esercitate nei confronti
dell’assessorato all’Ambiente affinché assumesse un atteggiamento di
favore nei confronti dell’Ilva e facilitasse le autorizzazioni in
materia ambientale. Oggetto di indagine anche la discarica Mater
Gratiae, nell'area di Statte (Taranto) e di proprietà Ilva, che ad
ottobre scorso il Parlamento ha poi definitivamente autorizzato con una
legge.
A questo punto sarà compito
del Gup fissare la data dell’udienza per il rinvio o meno a giudizio
delle persone per le quali la Procura ha chiesto il processo. (Dazebao)
Vendola, chiesto il rinvio a giudizio sul caso Ilva: “Concussione aggravata”
Non sono bastate oltre sette ore di interrogatorio per convincere la Procura di Taranto dell’innocenza del governatore di Puglia Nichi Vendola, accusato di concussione al termine dell’inchiesta “ambiente svenduto” sull’Ilva di Taranto. Un interrogatorio caratterizzato da “troppi non ricordo”, che secondo fonti investigative oggi si sono tradotti per il leader di Sinistra ecologia e libertà nella richiesta di rinvio a giudizio che gli inquirenti hanno depositato poche ore fa. Per il pool di magistrati guidati dal procuratore Franco Sebastio, infatti, Vendola in accordo con Fabio Riva, proprietario della fabbrica, e l’ex potente responsabile delle relazioni istituzionali Girolamo Archinà ha abusato “della sua qualita di Presidente della Regione Puglia” e “mediante minaccia implicita della mancata riconferma nell’incarico” di direttore dell’Arpa Puglia, ha costretto Giorgio Assennato ad “ammorbidire” la posizione della’agenzia regionale di protezione ambientale “nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall’impianto siderurgico dell’Ilva s.p.a. ed a dare quindi utilità a quest’ultima, consistente nella possibilità di proseguire l’attività produttiva ai massimi livelli, come sino ad allora avvenuto, senza perciò dover subire le auspicate riduzioni o rimodulazioni”.
Proprio Assennato, infatti, con una nota del 21 giugno 2010 aveva suggerito “sulla scorta dei risultati dei campionamenti della qualità dell’aria eseguiti dall’Arpa nell’anno 2009 che avevano evidenziato valori estremamente elevati di benzo(a)pirene, l’esigenza di procedere ad una riduzione e rimodulazione del ciclo produttivo dello stabilimento siderurgico di Taranto”. Un’ipotesi che aveva mandato su tutte le furie i Riva e lo stesso Vendola che il giorno dopo, il 22 giugno 2010, in un incontro con gli assessori Nicola Fratoianni e Michele Losappio, aveva “fortemente criticato” l’operato dell’Arpa e sostenuto che ‘cosi com’è Arpa Puglia può andare a casa perché hanno rotto…’” ribadendo che “in nessun caso l’attività produttiva dell’Ilva avrebbe dovuto subire ripercussioni”. Non solo. I pm scrivono che dopo sole 24 ore Vendola ha convocato il direttore scientifico dell’agenzia, Massimo Blonda, “per ribadirgli i concetti espressi nell’incontro” del giorno precedente. Infine, il 15 luglio successivo, aveva indetto una riunione informale alla quale hanno partecipato anche i Riva, Archinà e l’allora direttore dell’Ilva Luigi Capogrosso, mentre Giorgio Assennato, “che pure era stato convocato” era stato lasciato fuori dalla stanza e “ammonito dal dirigente Antonicelli, su incarico del Vendola, a non utilizzare i dati tecnici sul benzo(a)pirene come ‘bombe carta che poi si trasformano in bombe a mano’”. Accuse gravi, insomma, per le quali Nichi Vendola rischia di finire sotto processo.
La stessa richiesta è stata formulata per gli altri 49 indagati e per le tre società (Ilva, Riva Fire e Riva Forni Elettrici) finite nell’inchiesta all’atto di chiusura delle indagini. La Procura di Taranto, infatti, ha chiesto il rinvio a giudizio anche per Emilio, Nicola e Fabio Riva accusati di associazione a delinquere insieme ad Archinà, al direttore Capogrosso, al consulente legale dell’azienda Francesco Perli e a cinque fiduciari, finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari e all’omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Non solo. Fabio Riva e Archinà dovranno rispondere anche di corruzione in atti giudiziari per aver versato secondo i pm una tangente da 10mila euro a Lorenzo Liberti, docente universitario e all’epoca dei fatti consulente della procura che indagava sulle emissioni della fabbrica.
Rischiano il processo anche il sindaco di Taranto Ippazio Stefàno e l’ex presidente della Provincia, Gianni Florido. Stefàno è accusato di omissioni in atti d’ufficio, perché in qualità di primo cittadino e quindi di autorità locale avrebbe omesso di adottare provvedimenti per “prevenire e di eliminare i gravi pericoli” derivanti dall’allarmante situazione di emergenza dovuta ai veleni dell’Ilva di cui era a conoscenza. Un atteggiamento omissivo, che secondo i magistrati, avrebbe procurato alla famiglia riva e all’Ilva un vantaggio economico visto che non sono stati abbassati i livelli produttivi. Florido, finito in carcere il 15 maggio 2013 è accusato insieme all’ex assessore all’Ambiente, Michele Conserva, e ad Archinà, di tentata concussione: secondo le dichiarazioni del dirigente Luigi Romandini, Florido a Conserva avrebbero fatto pressioni perché il dirigente rilasciasse l’autorizzazione alla discarica Ilva per permettere all’azienda di smaltire i rifuti all’interno risparmiando così milioni di euro.
Richiesta di rinvio a giudizio anche per Luigi Pelaggi, ex capo della segreteria tecnica del ministro Stefania Prestigiacomo e membro della commissione che nel 2011 rilasciò l’autorizzazione a produrre all’Ilva. (FQ)
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