Sono riprese a settembre, dopo la pausa estiva, le udienze del processo ‘Ambiente Svenduto’ sul presunto disastro ambientale provocato dall’Ilva, nell’aula bunker della Procura situata nel quartiere Paolo VI, dinanzi alla Corte d’Assise di Taranto presieduta dal giudice Stefania D’Errico, e del giudice a latere Fulvia Misserini, che vede ben 47 imputati (44 persone fisiche e tre società, Ilva spa, Riva Fire e Riva Forni elettrici).
Dove eravamo rimasti?
Seguire le udienze di un dibattimento così complesso e intricato, con centinaia di teste, migliaia di pagine di intercettazioni, continui scontri in aula tra accusa e difesa su ogni possibile cavillo (anche sull’impostazione di una singola domanda), diversi tentativi di ricusazione dei giudici della Corte d’Assise, assenze, rinvii e soprattutto una non sempre coerenza degli interrogati con le dichiarazioni rese negli anni delle indagini in particolar modo alla Guardia di Finanza, non è impresa affatto semplice. Nonostante questo da anni, sin dall’inizio del dibattimento, proviamo a seguire il processo ambientale più importante della storia della Repubblica italiana, che ahinoi ben presto ha smesso di interessare anche gli stessi tarantini. Riprenderemo dunque dalle udienze della scorsa primavera, sino ad arrivare alla ripresa del dibattimento in quelle del mese di settembre.
Le udienze di aprile e maggio sulla Provincia guidata da Gianni Florido. Il nodo della discarica Mater Gratiae, l’origine dell’inchiesta
Nelle udienze dello scorso aprile la Corte d’Assise aveva acceso i fari sugli anni in cui la Provincia di Taranto era guidata dall’ex presidente Gianni Florido. Sulle presunte pressioni di quest’ultimo e dell’allora ex assessore provinciale all’Ambiente Michele Conserva (che risponde dell’accusa di tentata concussione e concussione consumata ai danni di due dirigenti dell’ente), e del direttore generale della Provincia Vincenzo Specchia,nei confronti di alcuni dirigenti come Luigi Romandini,
per ottenere l’ok in merito ad alcune autorizzazione da concedere all’Ilva in materia di gestione dei rifiuti e discariche (in particolar modo in merito alla discarica Mater Gratiae, vicenda che finì anche al Tar di Lecce).
Anche le udienze della prima metà di maggio hanno riguardato il caso discariche. Su questa vicenda è nato un caso intorno alle trascrizion delle migliaia dii intercettazioni, che ha visto come protagonista anche il perito incaricato, il dott. Antonio Caforio, che ha risposto alle domande sui 21 faldoni depositati presso la cancelleria della Corte d’Assise, contenenti le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche e ambientali effettuate dalla Guardia di Finanza nel corso delle indagini preliminari.
Questo perché il processo ‘Ambiente Svenduto‘, troverebbe il suo nucleo fondativo sul rilascio dell’autorizzazione all’esercizio di una discarica per rifiuti pericolosi all’Ilva da parte della Provincia di Taranto. Secondo le indagini portate avanti dalla Guardia di Finanza, le presunte pressioni dell’ex responsabile delle relazioni esterne del gruppo Ilva Girolamo Archinà nei confronti dell’ex assessore provinciale Conserva, negli anni tra il 2005 e il 2010, erano indotte dal timore dell’azienda che un iter burocratico troppo lungo avrebbe comportato uno stop al procedimento di rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale da parte del ministero dell’Ambiente, che poi arrivò il 4 agosto del 2011.
La presunta concussione ai danni del dirigente Morrone e il giallo sulla frase ‘scomparsa’
Il problema però, è sorto allorquando durante l’udienza del dott. Caforio, ci si è accorti che nella perizia descrittiva che lo stesso ha effettuato per conto della Corte d’Assise, gli avvocati difensori di Florido e Conserva (difesi dagli avvocati Claudio Petrone il primo, Michele Rossetti e Laura Palomba il secondo), non fosse presente la frase incriminata che ha portato gli inquirenti a ritenere gli imputati colpevoli del reato di concussione ai danni di un altro dirigente della Provincia di Taranto, Ignazio Morrone, che subentrò a Luigi Romandini nella direzione del settore Ambiente. Gli inquirenti giunsero alla determinazione del reato, dopo aver preso visione della trascrizione di un’intercettazione in particolare, durante la quale il Morrone dichiarva: “ripeto, non ho problemi a firmare”. Il problema è che di questa frase nella perizia descrittiva del dott. Caforio non c’è traccia alcuna.
Su questa stranezza è stato audito anche tenente colonnello Giuseppe Dinoi, all’epoca dell’inchiesta comandante di sezione del Gruppo di Taranto della Guardia di Finanza. Dinoi ha dichiarato alla Corte di aver stilato la relativa informativa basandosi sulla trascrizione realizzata dai suoi militari.
Nell’ordinanza del gip Patrizia Todisco che il 15 maggio del 2013 portò all’arresto del presidente Gianni Florido, del Pd con un passato da segretario provinciale della Fim Cisl e della Cisl, dell’ex assessore provinciale all’Ambiente, Michele Conserva, e l’ex consulente dell’Ilva, Girolamo Archinà, che nell’ambito della stessa inchiesta era detenuto dal 26 novembre 2012 e dell’ex direttore generale della Provincia di Taranto, Vincenzo Specchia, all’epoca dei fatti segretario generale del Comune di Lecce (che lo sospese dall’incarico), il giudice evidenziava che la poca esperienza nel campo ambientale del dirigente Morrone (visto che lo stesso era di fatto un’ingegnere edile) “probabilmente è stata la ragione per la quale si è proceduto alla sua nomina nell’ovvia considerazione che un dirigente poco esperto sarebbe stato maggiormente malleabile”.
E’ bene però ricordare che l’ente provinciale autorizzò soltanto la costruzione ma non l’esercizio della discarica Mater Gratiae (la cui realizzazione è stata inserita nel piano della gestione dei rifiuti dell’AIA del 2012 e nel Piano Ambientale del 2014) e che fu l‘ordinanza del Tar del 2009, al quale l’Ilva si era appellata, a condannare la Provincia per il mancato funzionamento della stessa.
Dopo il dott. Caforio, le successive udienze hanno visto come protagonista il tenente colonnello Giuseppe Dinoi della Guardia di Finanza, che era a capo del gruppo di militari che condusse l’inchiesta per conto della Procura di Taranto. Il militare Dinoi ha ripercorso in particolar modo l’intera vicenda della discarica Mater Gratiae, evidenziando come in un primo momento l’ex assessore Conserva si fosse mostrato possibilista sul rilascio dell’autorizzazione. Cambiando poi radicalmente atteggiamento (forse perchè fu avvisato dell’inchiesta della Gdf), evento che. mandò su tutte le furie lo stesso Archinà ( che decise poi di interloquire direttamente con il presidente Florido.
Il caso Archinà-Liberti
Nelle udienze che hanno visto protagonista il tenente colonnello Giuseppe Dinoi della Guardia di Finanza, chiamato anche a riferire in relazione all’incontro tra il consulente della procura Lorenzo Liberti e l’allora responsabile delle relazioni esterne dell’Ilva Girolamo Archinà (difeso dall’avvocato Giandomenico Caiazza) in una stazione di servizio sulla A-14 nel tratto Taranto-Bari all’atezza di Acquaviva delle Fonti il 26 marzo 2010, dove, secondo l’accusa sarebbe avvenuta la consegna – da parte di Archinà – di un plico contenente la somma di 10mila euro in contanti che sarebbe servita per ªammorbidire´ le valutazioni tecniche sulla portata inquinante del siderurgico. Un’ipotesi che i legali del gruppo Riva e dello stesso Archinà hanno sempre smentito. L’ufficiale, sottolinea infatti una nota la difesa del gruppo Riva, “ha confermato che l’attività investigativa in relazione ai conti correnti nella disponibilità dell’allora arcivescovo di Taranto si è limitata a solo due rapporti bancari e non a tutti quelli intestati allo stesso vescovo, questo nell’ottica difensiva che quell’importo in contanti fu utilizzato da Archinà come offerta elargita di consuetudine dall’Ilva alla Chiesa tarantina in occasione delle festività pasquali e non a scopo corruttivo”.
“Il controesame del teste Dinoi ha disvelato l’estrema fragilità di un’indagine basata esclusivamente su un ragionamento di tipo induttivo fatto dai militari inquirenti, alimentato dalla esaltazione di circostanze soggettive, ma inficiato dalla mancata considerazione di moltissime altre evidenze che avrebbero dovuto portare gli inquirenti ad escludere che nella famosa busta oggetto di passaggio di consegne tra il signor Archinà e il professor Liberti potesse esserci l’ipotizzata somma di denaro”, hanno sostenuto i legali degli imputati dopo l’udienza del tenente colonnello Giuseppe Dinoi, all’epoca dell’inchiesta comandante di sezione del Gruppo di Taranto della Guardia di Finanza. “Il teste Dinoi, in particolare, ha dovuto prendere atto che nelle voluminose informative prodotte, non sono mai state segnalate evidenze, fattuali e documentali, che avrebbero agevolmente potuto consentire di reputare accertato come, in verità, quell’importo in contanti fu utilizzato da Archinà come offerta elargita di consuetudine dall’Ilva alla Chiesa tarantina in occasione delle festività pasquali e natalizie”.
Le udienze di giugno e luglio: è il turno di Carabinieri e Guardia di Finanza
Nelle udienze del 5, 6 e 8 giugno è stato poi il turno del teste Vittorio Rizzo, maresciallo dei Carabinieri. Con il quale si è proceduto alla ricostruzione delle intercettazioni, dei recapiti telefonici, degl indirizzi email dgli imputati e dei loro contatti. Un elenco lunghissimo che ha portato via ore ed ore di udienze. Successivamente, nelle udienze del 12 e 13 giugno e del 3 luglio, è stato audito Roberto Mariani, in servizio presso la sezione di PG procure pubblica di Taranto sezione aliquota Guardia di Finanza, che è stato ascoltato in merito alla composizione societaria del gruppo Riva, della holding Riva Fire e della sua principale controllata, l’Ilva Spa. Dei vari movimenti e delle informazioni che intercorrevano tra le varie società negli anni in cui si è sviluppata l’indagine. Così come dei componenti dei vari cda delle aziende rientranti nella proprietà del gruppo lombardo, e della famosa scissione dal gruppo Riva con la nascita della Riva Forni Elettrici. E delle tante relazioni che il gruppo Riva aveva con la galassia della società ad esso collegato che erano in rapporti con società presenti in tutto il mondo. Mentre le udienze del 26 e del 29 giugno sono state rinviate per questioni burocratiche.
I conti bancari, le partecipazioni di Ilva Spa e il loro valore economico
Il 6, 10 e 11 luglio infine, è stato il turno del brigadiere Alfredo D’Arco, il cui Comando realizzò degli accertamenti in relazione all’Ilva S.p.a. che riguardavano i conti bancari, l’anagrafe dei conti, poi le eventuali partecipazioni che aveva in altre società e poi sulle possidenze immobiliari, per conto della Procura. Accertamento necessario per un’eventuale richiesta di sequestro preventivo, ex Articolo 53, del Decreto Legislativo 231/2001. In relazione a questa consultazione dell’anagrafe dei conti, il database evidenziò la presenza di 44 rapporti bancari, alcuni dei quali non erano più in essere, e quindi fu riportato nell’annotazione i rapporti che erano attivi alla data del 30 giugno 2012.
Questi i conti bancari del gruppo, in un arco temporale che va dal 17 agosto 1995 al 30 giugno 2012: Banca Carime S.p.a., Banca Nazionale del Lavoro S.p.a., Istituto BNP Paribas, succursale Italia, banca IMI S.p.a., il Banco Bilbao Vizcaya Argentaria S.A.
Queste invece le società partecipate da Ilva: Gas Intensive s.c.a.r.l. , Ilva Commerciale S.r.l. , Ilva Immobiliare S.r.l., Riva Gas , Taranto Energia S.r.l., Immobiliare Siderurgica S.r.l., Consorzio Nazionale per la raccolta e il riciclaggio e recupero di rifiuti imballaggi in acciaio.
Per quanto concerne invece la parte delle immobilizzazioni, come terreni e fabbricati, nel databse è indicato un valore in euro pari a 350.252.065; impianti e macchinari euro 2.199.888.712; attrezzature industriali e commerciali 44.738.440; immobilizzazioni materiale in corso 209.418.075; partecipazioni in imprese controllate euro 787.367.111; crediti verso imprese controllate euro 3.494.165; crediti verso altri euro 2.390.665. PEr un totale immobilizzazioni pari a 3.597.822.233 di euro.
Poi nella parte attivo circolante sono stati rilevati come valori: materie prime sussidiario di consumo euro 940.533.475; prodotti in corso di lavorazione e semilavorati euro 422.348.328; prodotti finiti e merci euro 625.942.194; crediti verso clienti 1.044.148.279; crediti verso imprese controllate 223.147.888; crediti verso imprese controllanti euro 35.338.379; crediti verso altri euro 32.346.129; crediti verso imprese consociate 21.263.029, altri titoli con attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni 46.145.674. Totale attivo circolante 3.391.213.375.
Il totale generale delle due voci dava il risultato quindi di 6.989.035.608 di euro.
Seguire le udienze di un dibattimento così complesso e intricato, con centinaia di teste, migliaia di pagine di intercettazioni, continui scontri in aula tra accusa e difesa su ogni possibile cavillo (anche sull’impostazione di una singola domanda), diversi tentativi di ricusazione dei giudici della Corte d’Assise, assenze, rinvii e soprattutto una non sempre coerenza degli interrogati con le dichiarazioni rese negli anni delle indagini in particolar modo alla Guardia di Finanza, non è impresa affatto semplice. Nonostante questo da anni, sin dall’inizio del dibattimento, proviamo a seguire il processo ambientale più importante della storia della Repubblica italiana, che ahinoi ben presto ha smesso di interessare anche gli stessi tarantini. Riprenderemo dunque dalle udienze della scorsa primavera, sino ad arrivare alla ripresa del dibattimento in quelle del mese di settembre.
Le udienze di aprile e maggio sulla Provincia guidata da Gianni Florido. Il nodo della discarica Mater Gratiae, l’origine dell’inchiesta
Nelle udienze dello scorso aprile la Corte d’Assise aveva acceso i fari sugli anni in cui la Provincia di Taranto era guidata dall’ex presidente Gianni Florido. Sulle presunte pressioni di quest’ultimo e dell’allora ex assessore provinciale all’Ambiente Michele Conserva (che risponde dell’accusa di tentata concussione e concussione consumata ai danni di due dirigenti dell’ente), e del direttore generale della Provincia Vincenzo Specchia,nei confronti di alcuni dirigenti come Luigi Romandini,
per ottenere l’ok in merito ad alcune autorizzazione da concedere all’Ilva in materia di gestione dei rifiuti e discariche (in particolar modo in merito alla discarica Mater Gratiae, vicenda che finì anche al Tar di Lecce).
Anche le udienze della prima metà di maggio hanno riguardato il caso discariche. Su questa vicenda è nato un caso intorno alle trascrizion delle migliaia dii intercettazioni, che ha visto come protagonista anche il perito incaricato, il dott. Antonio Caforio, che ha risposto alle domande sui 21 faldoni depositati presso la cancelleria della Corte d’Assise, contenenti le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche e ambientali effettuate dalla Guardia di Finanza nel corso delle indagini preliminari.
Questo perché il processo ‘Ambiente Svenduto‘, troverebbe il suo nucleo fondativo sul rilascio dell’autorizzazione all’esercizio di una discarica per rifiuti pericolosi all’Ilva da parte della Provincia di Taranto. Secondo le indagini portate avanti dalla Guardia di Finanza, le presunte pressioni dell’ex responsabile delle relazioni esterne del gruppo Ilva Girolamo Archinà nei confronti dell’ex assessore provinciale Conserva, negli anni tra il 2005 e il 2010, erano indotte dal timore dell’azienda che un iter burocratico troppo lungo avrebbe comportato uno stop al procedimento di rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale da parte del ministero dell’Ambiente, che poi arrivò il 4 agosto del 2011.
La presunta concussione ai danni del dirigente Morrone e il giallo sulla frase ‘scomparsa’
Il problema però, è sorto allorquando durante l’udienza del dott. Caforio, ci si è accorti che nella perizia descrittiva che lo stesso ha effettuato per conto della Corte d’Assise, gli avvocati difensori di Florido e Conserva (difesi dagli avvocati Claudio Petrone il primo, Michele Rossetti e Laura Palomba il secondo), non fosse presente la frase incriminata che ha portato gli inquirenti a ritenere gli imputati colpevoli del reato di concussione ai danni di un altro dirigente della Provincia di Taranto, Ignazio Morrone, che subentrò a Luigi Romandini nella direzione del settore Ambiente. Gli inquirenti giunsero alla determinazione del reato, dopo aver preso visione della trascrizione di un’intercettazione in particolare, durante la quale il Morrone dichiarva: “ripeto, non ho problemi a firmare”. Il problema è che di questa frase nella perizia descrittiva del dott. Caforio non c’è traccia alcuna.
Su questa stranezza è stato audito anche tenente colonnello Giuseppe Dinoi, all’epoca dell’inchiesta comandante di sezione del Gruppo di Taranto della Guardia di Finanza. Dinoi ha dichiarato alla Corte di aver stilato la relativa informativa basandosi sulla trascrizione realizzata dai suoi militari.
Nell’ordinanza del gip Patrizia Todisco che il 15 maggio del 2013 portò all’arresto del presidente Gianni Florido, del Pd con un passato da segretario provinciale della Fim Cisl e della Cisl, dell’ex assessore provinciale all’Ambiente, Michele Conserva, e l’ex consulente dell’Ilva, Girolamo Archinà, che nell’ambito della stessa inchiesta era detenuto dal 26 novembre 2012 e dell’ex direttore generale della Provincia di Taranto, Vincenzo Specchia, all’epoca dei fatti segretario generale del Comune di Lecce (che lo sospese dall’incarico), il giudice evidenziava che la poca esperienza nel campo ambientale del dirigente Morrone (visto che lo stesso era di fatto un’ingegnere edile) “probabilmente è stata la ragione per la quale si è proceduto alla sua nomina nell’ovvia considerazione che un dirigente poco esperto sarebbe stato maggiormente malleabile”.
E’ bene però ricordare che l’ente provinciale autorizzò soltanto la costruzione ma non l’esercizio della discarica Mater Gratiae (la cui realizzazione è stata inserita nel piano della gestione dei rifiuti dell’AIA del 2012 e nel Piano Ambientale del 2014) e che fu l‘ordinanza del Tar del 2009, al quale l’Ilva si era appellata, a condannare la Provincia per il mancato funzionamento della stessa.
Dopo il dott. Caforio, le successive udienze hanno visto come protagonista il tenente colonnello Giuseppe Dinoi della Guardia di Finanza, che era a capo del gruppo di militari che condusse l’inchiesta per conto della Procura di Taranto. Il militare Dinoi ha ripercorso in particolar modo l’intera vicenda della discarica Mater Gratiae, evidenziando come in un primo momento l’ex assessore Conserva si fosse mostrato possibilista sul rilascio dell’autorizzazione. Cambiando poi radicalmente atteggiamento (forse perchè fu avvisato dell’inchiesta della Gdf), evento che. mandò su tutte le furie lo stesso Archinà ( che decise poi di interloquire direttamente con il presidente Florido.
Il caso Archinà-Liberti
Nelle udienze che hanno visto protagonista il tenente colonnello Giuseppe Dinoi della Guardia di Finanza, chiamato anche a riferire in relazione all’incontro tra il consulente della procura Lorenzo Liberti e l’allora responsabile delle relazioni esterne dell’Ilva Girolamo Archinà (difeso dall’avvocato Giandomenico Caiazza) in una stazione di servizio sulla A-14 nel tratto Taranto-Bari all’atezza di Acquaviva delle Fonti il 26 marzo 2010, dove, secondo l’accusa sarebbe avvenuta la consegna – da parte di Archinà – di un plico contenente la somma di 10mila euro in contanti che sarebbe servita per ªammorbidire´ le valutazioni tecniche sulla portata inquinante del siderurgico. Un’ipotesi che i legali del gruppo Riva e dello stesso Archinà hanno sempre smentito. L’ufficiale, sottolinea infatti una nota la difesa del gruppo Riva, “ha confermato che l’attività investigativa in relazione ai conti correnti nella disponibilità dell’allora arcivescovo di Taranto si è limitata a solo due rapporti bancari e non a tutti quelli intestati allo stesso vescovo, questo nell’ottica difensiva che quell’importo in contanti fu utilizzato da Archinà come offerta elargita di consuetudine dall’Ilva alla Chiesa tarantina in occasione delle festività pasquali e non a scopo corruttivo”.
“Il controesame del teste Dinoi ha disvelato l’estrema fragilità di un’indagine basata esclusivamente su un ragionamento di tipo induttivo fatto dai militari inquirenti, alimentato dalla esaltazione di circostanze soggettive, ma inficiato dalla mancata considerazione di moltissime altre evidenze che avrebbero dovuto portare gli inquirenti ad escludere che nella famosa busta oggetto di passaggio di consegne tra il signor Archinà e il professor Liberti potesse esserci l’ipotizzata somma di denaro”, hanno sostenuto i legali degli imputati dopo l’udienza del tenente colonnello Giuseppe Dinoi, all’epoca dell’inchiesta comandante di sezione del Gruppo di Taranto della Guardia di Finanza. “Il teste Dinoi, in particolare, ha dovuto prendere atto che nelle voluminose informative prodotte, non sono mai state segnalate evidenze, fattuali e documentali, che avrebbero agevolmente potuto consentire di reputare accertato come, in verità, quell’importo in contanti fu utilizzato da Archinà come offerta elargita di consuetudine dall’Ilva alla Chiesa tarantina in occasione delle festività pasquali e natalizie”.
Le udienze di giugno e luglio: è il turno di Carabinieri e Guardia di Finanza
Nelle udienze del 5, 6 e 8 giugno è stato poi il turno del teste Vittorio Rizzo, maresciallo dei Carabinieri. Con il quale si è proceduto alla ricostruzione delle intercettazioni, dei recapiti telefonici, degl indirizzi email dgli imputati e dei loro contatti. Un elenco lunghissimo che ha portato via ore ed ore di udienze. Successivamente, nelle udienze del 12 e 13 giugno e del 3 luglio, è stato audito Roberto Mariani, in servizio presso la sezione di PG procure pubblica di Taranto sezione aliquota Guardia di Finanza, che è stato ascoltato in merito alla composizione societaria del gruppo Riva, della holding Riva Fire e della sua principale controllata, l’Ilva Spa. Dei vari movimenti e delle informazioni che intercorrevano tra le varie società negli anni in cui si è sviluppata l’indagine. Così come dei componenti dei vari cda delle aziende rientranti nella proprietà del gruppo lombardo, e della famosa scissione dal gruppo Riva con la nascita della Riva Forni Elettrici. E delle tante relazioni che il gruppo Riva aveva con la galassia della società ad esso collegato che erano in rapporti con società presenti in tutto il mondo. Mentre le udienze del 26 e del 29 giugno sono state rinviate per questioni burocratiche.
I conti bancari, le partecipazioni di Ilva Spa e il loro valore economico
Il 6, 10 e 11 luglio infine, è stato il turno del brigadiere Alfredo D’Arco, il cui Comando realizzò degli accertamenti in relazione all’Ilva S.p.a. che riguardavano i conti bancari, l’anagrafe dei conti, poi le eventuali partecipazioni che aveva in altre società e poi sulle possidenze immobiliari, per conto della Procura. Accertamento necessario per un’eventuale richiesta di sequestro preventivo, ex Articolo 53, del Decreto Legislativo 231/2001. In relazione a questa consultazione dell’anagrafe dei conti, il database evidenziò la presenza di 44 rapporti bancari, alcuni dei quali non erano più in essere, e quindi fu riportato nell’annotazione i rapporti che erano attivi alla data del 30 giugno 2012.
Questi i conti bancari del gruppo, in un arco temporale che va dal 17 agosto 1995 al 30 giugno 2012: Banca Carime S.p.a., Banca Nazionale del Lavoro S.p.a., Istituto BNP Paribas, succursale Italia, banca IMI S.p.a., il Banco Bilbao Vizcaya Argentaria S.A.
Queste invece le società partecipate da Ilva: Gas Intensive s.c.a.r.l. , Ilva Commerciale S.r.l. , Ilva Immobiliare S.r.l., Riva Gas , Taranto Energia S.r.l., Immobiliare Siderurgica S.r.l., Consorzio Nazionale per la raccolta e il riciclaggio e recupero di rifiuti imballaggi in acciaio.
Per quanto concerne invece la parte delle immobilizzazioni, come terreni e fabbricati, nel databse è indicato un valore in euro pari a 350.252.065; impianti e macchinari euro 2.199.888.712; attrezzature industriali e commerciali 44.738.440; immobilizzazioni materiale in corso 209.418.075; partecipazioni in imprese controllate euro 787.367.111; crediti verso imprese controllate euro 3.494.165; crediti verso altri euro 2.390.665. PEr un totale immobilizzazioni pari a 3.597.822.233 di euro.
Poi nella parte attivo circolante sono stati rilevati come valori: materie prime sussidiario di consumo euro 940.533.475; prodotti in corso di lavorazione e semilavorati euro 422.348.328; prodotti finiti e merci euro 625.942.194; crediti verso clienti 1.044.148.279; crediti verso imprese controllate 223.147.888; crediti verso imprese controllanti euro 35.338.379; crediti verso altri euro 32.346.129; crediti verso imprese consociate 21.263.029, altri titoli con attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni 46.145.674. Totale attivo circolante 3.391.213.375.
Il totale generale delle due voci dava il risultato quindi di 6.989.035.608 di euro.
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