di Giuseppe Battarino
magistrato collaboratore della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle ecomafie
magistrato collaboratore della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle ecomafie
Gli istituti speciali
introdotti per l’Ilva ancora di fronte alla Corte costituzionale: quanto a
lungo può durare un’emergenza che sospende la giurisdizione?
L’articolata ordinanza con cui il
giudice per le indagini preliminari di Taranto ha rimesso alla Corte
costituzionale la valutazione di legittimità di istituti speciali che
incidono sulla giurisdizione penale, pone sul tappeto la domanda: quanto a
lungo può ragionevolmente
durare una “emergenza” che sospende la giurisdizione?
durare una “emergenza” che sospende la giurisdizione?
Il punto di svolta nella storia
recente delle vicende giudiziarie che riguardano l’impianto industriale di
Taranto è costituito dal decreto di sequestro preventivo 25 luglio 2012 del
giudice per le indagini preliminari [1].
Il provvedimento giurisdizionale
interviene nell’ambito di una complessa vicenda in cui sono centrali i temi
della sicurezza sul lavoro, dell’impatto ambientale degli impianti, della
bonifica (l’Ilva è situata all’interno di un SIN-sito di interesse
nazionale) [2], di prosecuzione della produzione e salvaguardia, per quanto
possibile, dell’occupazione. Si sono dunque, nel corso del tempo, sviluppate le
vicende parallele di indagini e giudizi penali; interventi della Corte
costituzionale e, di recente, della Cedu; e – irrisolto − il tangram del
rapporto tra bonifiche, riconduzione ad accettabilità ambientale e prevenzionistica,
prosecuzione della produzione e salvaguardia dell’occupazione.
Alle vicende oggetto di successivo
intervento dei pubblici ministeri e del giudice remittente sono risultati
applicabili due istituti speciali introdotti ad ILVAM:
- la norma che consente all’Ilva di
Taranto la prosecuzione dell’attività produttiva pur in presenza di sequestro
penale (art. 3, comma 3, decreto legge 207/2012 convertito con modifiche dalla
legge 231/2012, art. 2, comma 5, decreto legge 1/2015 convertito con modifiche
dalla legge 20/2015 e art. 1, comma 8, decreto legge 191/2015 convertito con
modifiche dalla legge 13/2016);
- la norma che esenta
da responsabilità penale i soggetti gestori dell’Ilva di Taranto e i loro
delegati per le condotte poste in essere in attuazione del Piano ambientale
approvato con DPCM 14 marzo 2014, cioè il Piano delle misure e delle attività
di tutela ambientale e sanitaria previsto dal decreto legge 4 giugno 2013, n.
61 sul commissariamento dell'Ilva, ove è riportato anche l'esito dei
procedimenti di riesame e modifiche dell'AIA del 26 ottobre 2012 (art. 2, comma
6, dl 1/2015, convertito dalla legge n. 20/2015, come da ultimo modificato dal
dl n. 244/2016, convertito con modifiche dalla legge 19/2017): «non possono
dare luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario
straordinario, dell’affittuario o acquirente e dei soggetti da questi funzionalmente
delegati, in quanto costituiscono adempimento delle migliori regole preventive
in materia ambientale, di tutela della salute e dell'incolumità pubblica e di
sicurezza sul lavoro».
Si è discusso della natura di
quest’ultimo istituto speciale, definito da taluni “immunità” da
altri inquadrato come scriminante.
La “speciale irragionevolezza”
dell’istituto, laddove di scriminante si tratti, è scolpita in un passaggio
dell’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale: «Se le condotte non punibili
sono quelle in attuazione del Piano ambientale, perché rappresentano ex
lege, con presunzione non superabile da valutazione di segno contrario,
“adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela
della salute e dell’incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro”, perché
prevedere una scriminante ad hoc, quando sarebbe stato sufficiente,
per l’autore del fatto, invocare la esimente comune prevista dall’art. 51 cp
(esercizio del diritto)?».
La violazione del principio costituzionale
di uguaglianza ipotizzata dal remittente è declinata sotto il profilo della
«non ragionevolezza – non razionalità» della disparità di trattamento che la
norma censurata istituisce: il giudice mostra di aderire all’orientamento
evolutivo secondo il quale la ragionevolezza «sembra esigere, più nettamente,
“razionalità” nelle scelte legislative, confondendosi, più propriamente, con la
più generale esigenza di coerenza dell’ordinamento giuridico».
La Corte costituzionale si era
espressa sul «caso Ilva» con la sentenza n. 85 del 9 aprile-9 maggio 2013, il
cui nucleo argomentativo centrale si rifaceva al valore del bilanciamento tra
diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, senza «pretese di
assolutezza» per alcuno di essi (in specie: il diritto alla salute); con
l’avvertenza che «il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non
prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella
statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo –
secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire
un sacrificio del loro nucleo essenziale» [3].
Ma la Corte aveva riconosciuto
espressamente che quella disciplina era stata imposta da una situazione «grave
ed eccezionale» e solo la temporaneità delle misure adottate poteva farle
ritenere compatibili con i principi costituzionali, in quanto circoscritte
entro un orizzonte temporale limitato, di trentasei mesi decorrenti dal 3
dicembre 2012.
Tuttavia una serie di interventi
normativi successivi ha spostato continuamente in avanti quel termine e,
correlativamente, l’esonero da responsabilità per l’attività inquinante
derivante dalla non ancora completata messa a norma degli impianti, fino a
fissarlo al 23 agosto 2023: secondo il remittente «il pregiudizio ai valori
costituzionali tutelati dagli artt. 32, 35 e 41 della Costituzione appare
dunque palese, per l’irragionevole sbilanciamento che quella dilatazione
temporale ha provocato».
Ulteriori parametri costituzionali
vengono individuati negli articoli 24 e 112 della Costituzione, per il
contrasto con il dovere dell’ordinamento di reprimere e prevenire reati
attraverso l’azione dei pubblici ministeri e l’eventuale sollecitazione del
privato leso nei suoi diritti; e la lesione di diritti processuali e, dunque,
del diritto alla tutela giurisdizionale.
Le norme censurate si
porrebbero altresì in contrasto con l’art. 117 della Costituzione, violando gli
obblighi internazionali assunti dall’Italia con l’adesione alla Convenzione
europea sui diritti umani: con particolare riferimento agli artt. 2 («il
diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge»), 8 («ogni persona ha
diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, nel proprio
domicilio») e 13 («ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti
nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso
effettivo davanti a un’istanza nazionale») della Convenzione.
Va ricordato che la Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata
il 24 gennaio 2019, con la sentenza Cordella e altri c. Italia [4],
dichiarando la sussistenza della violazione del diritto dei ricorrenti a un
ambiente salubre (art. 8) in quanto abitanti nelle aree prossime agli impianti
Ilva, soggette a grave inquinamento ambientale: i numerosi ricorrenti
lamentavano l’inerzia dello Stato nell’impedire la lesione dei diritti
fondamentali dei cittadini, a fronte delle immissioni nocive provenienti
dall’impianto e all’impatto di esse sulla salute e sull’ambiente. Ritenendo che
lo Stato italiano non abbia adottato tutte le misure necessarie a tutelare la
salute dei cittadini, la Corte ha riconosciuto un’equa riparazione e
raccomandato che alla necessità di quelle misure si faccia fronte entro breve
termine, anche mediante la definitiva implementazione del piano nazionale
ambientale fino ad ora non compiutamente attuato; la Corte peraltro non ha
fornito raccomandazioni dettagliate a contenuto prescrittivo – richieste dai
ricorrenti – rinviandone la competenza ai sensi dell’articolo 46 della
Convenzione (§ 181 della sentenza).
La stessa sentenza della Cedu, pur
non avendo ad oggetto diretto gli istituti speciali censurati nel
giudizio incidentale di legittimità costituzionale, si esprime con chiarezza
sull’incongruenza di quella che viene definita «un’estrema lentezza» (§ 168):
«Les mesures préconisées à partir de 2012 dans le cadre de l’AIA afin
d’améliorer l’impact environnemental de l’usine n’ont finalement pas été
réalisées; cette défaillance a été du reste à l’origine d’une procédure
d’infraction devant les instances de l’Union européenne. Par ailleurs, la
réalisation du plan environnemental approuvé en 2014 a été reportée au mois
d’août 2023 […] La procédure permettant d’atteindre les objectifs d’assainissement
poursuivis se révèle donc d’une lenteur extrême».
L’ordinanza del giudice per le
indagini preliminari di Taranto risulta coerente con lo sviluppo della
giurisprudenza costituzionale avutosi con la sentenza n. 58 del 7 febbraio-23
marzo 2018 [5], che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3
del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92 (abrogato e riprodotto in maniera
identica dal dl 83 del 2015) che consentiva la prosecuzione dell’attività
dell’Ilva nonostante il provvedimento di sequestro preventivo dell’autorità
giudiziaria.
La Corte ha rilevato che nella
disciplina censurata mancava del tutto la richiesta di misure immediate e
tempestive atte a rimuovere prontamente la situazione di pericolo per
l’incolumità dei lavoratori; che durante la pendenza del termine era consentita
la prosecuzione dell’attività d’impresa senza soluzione di continuità, sicché
anche gli impianti sottoposti a sequestro preventivo potevano continuare ad
operare senza modifiche in attesa della predisposizione del piano; che nella
formazione del piano non era prevista alcuna partecipazione di autorità
pubbliche, informate solo successivamente nella forma di una mera
comunicazione-notizia.
Ha affermato quindi la Corte che
«considerate queste caratteristiche della norma censurata, appare chiaro che, a
differenza di quanto avvenuto nel 2012, il legislatore ha finito col
privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività
produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili
legati alla tutela della salute e della vita stessa (artt. 2 e 32 Cost.), cui
deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente
sicuro e non pericoloso (art. 4 e 35 Cost.)».
In attesa di sapere se la nuova
decisione della Corte costituzionale si porrà in linea di continuità con
l’evoluzione già segnata dalla sentenza n. 58/2018, è possibile dare una
lettura sistematica – e critica − degli interventi legislativi sul caso Ilva.
Se si vuole attribuire una logica
comune alla legislazione Ilva, essa è stata sinora quella del
«consentire la prosecuzione dell’attività» riducendo i vincoli esterni che
avrebbero potuto rendere più complessa la gestione in corso e problematica la
vendita del complesso aziendale [6].
La legislazione ha agito su tre
fronti: l’introduzione di norme speciali per l’amministrazione straordinaria di
Ilva S.p.a. e di altre società del gruppo, rispetto alla disciplina contenuta
nel dl n. 347/2003 (convertito in legge n. 39/2004), già derogatoria della
procedura ordinaria di cui al d.lgs n. 270/1999; la concessione di
finanziamenti e interventi di sostegno (che la Commissione europea ha ritenuto
in parte produttivi per Ilva di vantaggio indebito in violazione delle norme UE
sugli aiuti di Stato) e l’utilizzo − disciplinato dal dl n. 91/2017 − di somme
sottoposte a sequestro o oggetto di confisca nell'ambito o all'esito dei
procedimenti penali pendenti nei confronti di soggetti coinvolti a vario titolo
nell'amministrazione e gestione dello stabilimento Ilva di Taranto; la
definizione del rapporto con la giurisdizione che si è tradotta, come si è
visto, negli istituti speciali sulla prosecuzione
dell’attività nonostante il sequestro e sull’esclusione della responsabilità
penale o amministrativa dei gestori.
Mentre il primo istituto
speciale è direttamente connotato dalla sua natura di strumento per
rendere inefficace un provvedimento giurisdizionale, la formulazione dell’art.
2, comma 6, del decreto legge n. 1/2015 ha dato luogo, come si è detto, a varie
ipotesi di inquadramento dottrinale.
Appare coerente con il complesso
delle norme sopra sinteticamente citate, e con la mens legislatoris che
ne emerge, che si tratti – lo stesso giudice remittente dedica un passaggio
esplicito a questa ipotesi − di una vera e propria «presunzione iuris
et de iure di conformità a legge e liceità» delle condotte dei
soggetti menzionati nel testo della norma, che secondo un giudizio ex
ante del legislatore, costituirebbero adempimento delle «migliori
regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e
dell’incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro».
Una presunzione assoluta che produce
un effetto non differente da quello che si voleva con la norma sulla
prosecuzione delle attività in pendenza di sequestro: l’effetto, cioè, di una
vera e propria sospensione della giurisdizione, al cui vaglio si sottrae un
oggetto centrale quale la valutazione della liceità delle condotte dei gestori
degli impianti Ilva [7].
Si tratta di un approccio in
definitiva meramente “difensivo”, rispetto all’ordinario esercizio dei compiti
di ciascun potere, declinato sotto forma di una “emergenza perenne”: un
ossimoro che la Corte costituzionale è chiamata a sciogliere.
Ma, a prescindere alla decisione
della Corte, sembra necessario rovesciare le priorità: dalla logica politica
del difendersi dalla complessità a quella dell’accettare la
sfida della sostenibilità, partendo, come sarebbe necessario, dal recupero
dei ritardi nell’attuazione delle bonifiche [8].
Sono la credibilità e trasparenza
dell’azione amministrativa che consentono di evitare l’intervento penale, non
la riduzione della funzione legislativa alla produzione di leggi-provvedimento;
e, per altro verso, la capacità del legislatore e dei decisori politici di
supportare le loro decisioni con la necessaria competenza: la complessità di
vicende come quella di Ilva non può essere affrontata da «un legislatore
frettoloso e sciatto» [9] né da una funzione di governo perplessa la cui
navigazione sia affidata all’effetto sbandante del social network
sentiment.
Della vicenda Ilva, Questione
Giustizia trimestrale si è occupata nel numero 2/2014 Il diritto alla
salute alla prova del caso Ilva (B. Deidda e A. Natale, Introduzione:
il diritto alla salute alla prova del caso Ilva. Uno sguardo di insieme; S.
Palmisano, Del «diritto tiranno». Epitome parziale di un’indagine su
cittadini già al di sopra di ogni sospetto; A. Ciervo, Esercizi di
neo-liberismo: in margine alla sentenza della Corte costituzionale sul caso
Ilva; L. Masera, Dal caso Eternit al caso Ilva: nuovi scenari in
ordine al ruolo dell’evidenza epidemiologica nel diritto penale; S. Barone
e G. Venturi, Ilva Taranto: una sfida da vincere; G.
Assennato, Il caso «Taranto» e il rapporto ambiente-salute nelle
autorizzazioni ambientali, P. Bricco, Le logiche della magistratura
e del diritto, le ragioni dell’impresa e del lavoro; una serie di altri
articoli sul tema sono apparsi sulla su questa Rivista on-line:
M. Buffa, Il disastro ambientale provocato dall’Ilva http://www.questionegiustizia.it/articolo/il-disastro-ambientale-provocato-dall-ilva_12-02-2013.php; Ilva,
l’intervento del procuratore Vignola “Vicenda ci ha portato indietro di mezzo
secolo” http://www.questionegiustizia.it/articolo/ilva-l-intervento-del-procuratore-vignola-vicenda-ci-ha-portato-indietro-di-mezzo-secolo_31-01-2013.php ;
R. De Vito, La salute, il lavoro, i giudici http://www.questionegiustizia.it/articolo/la-salute-il-lavoro-i-giudici_24-03-2018.php ;
G. Amendola, Ilva e il diritto alla salute. La Corte costituzionale ci
ripensa? http://www.questionegiustizia.it/articolo/ilva-e-il-diritto-alla-salute-la-corte-costituzionale-ci-ripensa-_10-04-2018.php ;
E. Rizzato, Casi Amanda Knox e Ilva, dalla Cedu doppia condanna per
l’Italia; http://www.questionegiustizia.it/articolo/casi-amanda-knox-e-ilva-dalla-cedu-doppia-condanna-per-l-italia_24-01-2019.php.
[2] Il SIN di Taranto è stato perimetrato con decreto del
Ministero dell’ambiente del 10 gennaio 2000 e si estende per un’area pari a
4383 ettari a terra e 7000 ettari a mare, all’interno della quale ricadono sia
aree di proprietà pubblica che di proprietà privata; all’interno dell’area
perimetrata a terra è compreso un polo industriale che comprende l’industria
siderurgica Ilva, la raffineria Eni, le industrie Cementir e Italcave S.p.A.),
oltre a impianti produttivi medio-piccoli, cave, aree di discarica e di
smaltimento abusivo di rifiuti di varia provenienza; fa parte del SIN lo
specchio di mare antistante l’area industriale comprensiva dell’area portuale
(Mar Grande ed area ad ovest di Punta Rondinella, nel golfo di Taranto; lo
specchio di mare del Mar Piccolo e della Salina Grande).
[3] «La ratio della disciplina censurata
consiste nella realizzazione di un ragionevole bilanciamento tra diritti
fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute (art. 32
Cost.), da cui deriva il diritto all’ambiente salubre, e al lavoro (art. 4
Cost.), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento
dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare
ogni sforzo in tal senso. Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione
si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto
individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela
deve essere sempre “sistemica e non frazionata in una serie di norme non
coordinate ed in potenziale conflitto tra loro” (sentenza n. 264 del 2012). Se
così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti,
che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche
costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro
insieme, espressione della dignità della persona. Per le ragioni esposte, non
si può condividere l’assunto del rimettente giudice per le indagini
preliminari, secondo cui l’aggettivo “fondamentale”, contenuto nell’art. 32 Cost.,
sarebbe rivelatore di un “carattere preminente” del diritto alla salute
rispetto a tutti i diritti della persona. Né la definizione data da questa
Corte dell’ambiente e della salute come “valori primari” (sentenza n. 365 del
1993, citata dal rimettente) implica una “rigida” gerarchia tra diritti
fondamentali. La Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche
e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento
tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno
di essi. La qualificazione come “primari” dei valori dell’ambiente e della
salute significa pertanto che gli stessi non possono essere sacrificati ad
altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi
siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di
equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere
valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle
leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di
ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo
essenziale».
[6] Il 28 giugno 2017 è stato stipulato il contratto di
trasferimento dei complessi aziendali del gruppo Ilva; il 7 maggio 2018 la
Commissione europea ha approvato, ai sensi del regolamento UE sulle
concentrazioni, l'acquisizione di Ilva da parte di ArcelorMittal.
[7] In un ambito penalistico assai problematico in punto di
definizione dei parametri di liceità delle condotte derivanti da norme
primarie, secondarie e da provvedimenti amministrativi, di grado di
anticipazione della tutela, di legalità costituzionale e ragionevolezza delle
norme incriminatrici, di coerenza delle imputazioni, di natura e misura della
colpevolezza (si veda: M. Bosi, Le best available techniques
nella definizione del fatto tipico e nel giudizio di colpevolezza, in
Rivista Trimestrale di Diritto Penale Contemporaneo, 2018, fasc.
1, pp. 196 ss.)
[8] Sui quali nella XVII Legislatura si è espressa
criticamente la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite
connesse al ciclo dei rifiuti e illeciti ambientali, con la Relazione
sulle bonifiche nei siti di interesse nazionale, approvata all’unanimità il
28 febbraio 2018 (http://documenti.camera.it); la situazione del SIN di
Taranto è esaminata alle pp. 1047 e ss.; la Commissione ha fornito indicazioni
su come affrontare questi diffusi ritardi, tra le quali: «Razionalizzazione,
omogeneizzazione e conoscenza pubblica delle informazioni sui siti di interesse
nazionale; organizzazione di dati puntuali sulle aree ancora da bonificare e
sull’efficacia di metodi tecnologicamente innovativi per giungere a una reale
bonifica dei siti […] definizione chiara, mediante protocolli e linee guida, di
criteri valutativi, nonché di funzioni e competenze dei soggetti pubblici
(Ministero dell’ambiente, ISPRA-SNPA, Avvocatura dello Stato), in materia di
quantificazione del danno ambientale, in una logica di praticabile sviluppo
giuridico, in ambito provvedimentale, negoziale, transattivo, contenzioso
(operando per ridurre quest’ultimo), evitando valutazioni astratte, non
supportabili probatoriamente e, di conseguenza, inidonee a far valere le
ragioni creditorie avanzate dal Ministero dell’ambiente; attivazione effettiva
degli strumenti giuridici finalizzati al raggiungimento di accordi di programma
e transazioni in materia di bonifiche; attuazione piena e rapida della legge n.
132 del 2016, sia per i profili in cui è strettamente necessaria una normazione
secondaria attuativa, sia per i profili in cui è necessaria e sufficiente la
rapida riorganizzazione di ISPRA e delle Agenzie regionali, al fine di
attribuire al Sistema nazionale di protezione ambientale un ruolo attivo e
riconoscibile sul tema delle bonifiche; coordinamento tra il Sistema, le
polizie giudiziarie e le autorità giudiziarie, per l’accertamento dei reati di
omessa bonifica […] coinvolgimento, nei monitoraggi e nelle scelte sulle
bonifiche e sulle prospettive produttive, dei cittadini e dei loro enti
esponenziali, con una completa trasparenza su tutti gli aspetti, non ultimi
quelli epidemiologici; rilettura della funzione svolta in concreto dalla
conferenze di servizi, da ridurre in numero e tempi complessivi di svolgimento,
anche mediante lo studio della loro pregressa gestione, la destinazione ad esse
di risorse strumentali e organizzative, nonché di risorse umane adeguate sotto
i profili giuridico, tecnico, economico, relazionale; sospensione degli
interventi normativi primari e secondari randomizzati, a favore di un impegno
per la produzione di una normativa europea sul suolo che tenga nel dovuto conto
il problema continentale dei siti contaminati e di un coordinamento delle norme
nazionali esistenti; individuazione dei percorsi pratici per collegare
tematicamente la questione delle bonifiche con la questione del consumo di
suolo, semplificando, nell’attività amministrativa, la progettazione di
soluzioni estese che risolvano il problema della contaminazione in uno con le
prospettive di riuso delle aree».
[9] Così H. Simonetti, Il drafting legislativo e la
riforma del codice civile, in questa Rivista on-line, 13
febbraio 2019, http://www.questionegiustizia.it/articolo/il-drafting-legislativo-e-la-riforma-del-codice-civile_13-02-2019.php.
5 marzo 2019
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