sabato 20 marzo 2021

Incredibili e indecenti condanne contro gli attivisti NOTAP - massima solidarietà e piena condivisione di tutte le iniziative di ogni genere che siano decise a livello locale e nazionale

No Tap, disordini contro gasdotto: 67 condanne e 25 assoluzioni. E in 3 mesi iniettati 1 miliardo metri cubi

25 imputati assolti. Il processo è iniziato dopo le proteste del 2017-2019

Disordini e proteste in Salento contro il gasdotto Tap: 67 condanne

LECCE - Sessantasette condanne (a pene comprese tra i 6 mesi e i 3 anni 2 mesi e 15 giorni di reclusione) e 25 assoluzioni: si è concluso così il processo davanti al giudice monocratico di Lecce Pietro Baffa a 92 persone, molte delle quali aderenti al Movimento No Tap imputate in tre procedimenti per i disordini compiuti tra il 2017 e il 2019 in occasione dell’avvio dei lavori per la realizzazione del gasdotto Tap a Melendugno, in Salento. Tra gli imputati anche gli attivisti che arrivarono in Salento da ogni parte d’Italia per appoggiare la protesta del Movimento.

Le accuse, contestate a vario titolo, sono di violenza privata, interruzione pubblico servizio, accensione pericolosa di ordigni, deturpamento, danneggiamento, manifestazione non autorizzata, resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, violazione del divieto di ritornare a Melendugno. La condanna alla pena

più alta, invece, è stata inflitta a Giacomo Montefusco, ritenuto uno dei capi della sommossa. Per 25 imputati il giudice ha disposto l'assoluzione perché attraverso le foto e le riprese video non si è potuti arrivare ad una identificazione certa.

L’accusa è stata sostenuta dal procuratore aggiunto Guglielmo Cataldi e dai sostituti Francesca Miglietta e Maria Consolata Moschettini. La società Tap (Trans Adriatic Pipeline), che si è costituita parte civile in due dei procedimenti, sarà risarcita in sede civile. A presidiare l’area esterna dell’aula bunker in attesa della lettura della sentenza c'erano molti mezzi delle forze dell’ordine.

Si sono chiusi con 77 anni di reclusione inferti ad 88 dei 126 imputati i tre processi sulle contestazioni ritenute violente o non autorizzate contro la costruzione del gasdotto Tap di Melendugno in contrada San Basilio. Per la Trans Adriatic Pipeline è stato disposto il risarcimento dei danni nel processo sugli assalti al cantiere ed alla sede di Lecce.

GLI EPISODI CONTESTATI

Fra gli episodi che i processi hanno condannato, anche quello delle scritte con la vernice a spray lasciate sui muri del centro storico di Lecce durante la manifestazione del 16 marzo del 2018. Le proteste contro il segretario della Lega, Matteo Salvini, nel corso della visita a Martano del 15 febbraio 2018, le aggressioni al cantiere di San Basilio contro le strutture, i mezzi e le forze dell’ordine, nonché i lanci di uova piene di vernice colorata nei cortei anti Tap tenuti in città. Il giudice della seconda sezione penale del Tribunale di Lecce, Pietro Baffa, ha ritenuto gran parte degli imputati responsabili delle accuse contestate nelle indagini condotte dalla Procura di Lecce con i poliziotti della Digos.

DELUSIONE E PROTESTE IN AULA

Delusione e qualche protesta di una parte degli imputati e degli attivisti del movimento No Tap al termine della lettura dei dispositivi delle sentenze nell’aula bunker del carcere di Borgo San Nicola.

LE CONDANNE

Le condanne sono andate in gran parte oltre le richieste del pubblico ministero Maria Consolata Moschettini. Ed hanno riguardato i processi distinti in tre blocchi: il primo sulla violazione della zona rossa attorno al cantiere in costruzione durante la manifestazione del 9 dicembre del 2017. Il secondo le proteste dell’8 dicembre del 2018, con danneggiamenti delle recinzioni metalliche del cantiere fissate sui new jersey, i gesti offensivi alle forze dell’ordine, le scritte “morirete della stessa malattia che ci date”, “Odio Tap” e “Tap politica massoneria stessa porcheria” ed infine l’accensione di fumogeni. Il terzo filone quello più significativo perché si è occupato di 78 episodi rilevati in 15 manifestazioni, anche quelle non autorizzate. Le manifestazioni del 24 novembre e dell’8 dicembre 2017; del 18 gennaio; 7, 9 e 15 febbraio (quest’ultima in occasione della presenza a Martano del segretario della Lega, Matteo Salvini) 2018; del 2, 8, 16 (a Lecce i muri imbrattati di scritte con la vernice spray), 17 marzo; del 4, 11, 14, 19 aprile; del 10 maggio e del 19 giugno. Nel dettaglio la manifestazione non autorizzata a Lecce del 24 novembre 2017 con lanci di uova piene di vernice contro la sede di via Templari della Tap e contro le forze dell’ordine. La manifestazione dell’8 dicembre 2017 con lanci di uova, l’aggressione alle forze di polizia scagliando e ciclamini presi da una fioriera di via Templari, colpi di bastone, il lancio di una bottiglia ed di un oggetto voluminoso non meglio indicato e con un manifestante che cercò di sottrarre la fotocamera ad un fotografo. Ed ancora: la manifestazione del 18 gennaio 2018 a San Basilio con i tentativi di bloccare l’ingresso agli operai nel cantiere con le pietre messe al centro della strada ed i furgoni riempiti di calci e di pugni. Vengono contestate anche offese alle forze di polizia, danneggiamenti ai mezzi di lavoro (due furgoni ed uno escavatore) ed altro. Nessun assoluzione in questo troncone del processo. Condanne anche per le manifestazioni di dissenso alla campagna elettorale di Salvini il 15 febbraio del 2018 a Martano nell’oleificio Alea: lanci di uova, offese, fumogeni, lancio di sassi, blocco del traffico e di alcune persone interessate alla manifestazione elettorale, muretti a secco danneggiati ed offese alle forze dell’ordine. Stesso orientamento per le scritte con la vernice spray lasciate il 16 marzo 2018 in viale Oronzo Quarta, viale Gallipoli, via Cairoli, via Duca degli Abruzzi, via Cavallotti angolo via 47esimo Reggimento Fanteria e sul palazzo delle Poste di piazza Libertini. Quindici giorni il termine indicato dal giudice per depositare le motivazioni delle sentenze. E da quel momento guarderà al processo d’appello il collegio difensivo formato, fra gli altri, dagli avvocati Giuseppe Milli, Francesco Calabro, Alessandro Calò e Giampaolo Potì.

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Movimento No Tap sulle condanne: “Giudizio dall’evidente indirizzo politico, si va avanti nonostante tutto”

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“Non sarà questa sentenza a farci indietreggiare, non sarà questo chiaro messaggio intimidatorio a farci desistere dal continuare a credere che siamo la parte migliore di questa brutta storia, che siamo dalla parte giusta”. Queste le parole degli attivisti No Tap a 24 ore dalla decisione con cui il giudice monocratico del tribunale di Lecce, Pietro Baffa, ha inferto condanne dai 6 mesi ai 3 anni e 2 mesi di reclusione per 67 delle 92 persone finite a vario titolo sul banco degli imputati dopo i disordini occasionati dall’avvio del gasdotto Tap.

È affidata a un lungo post sui canali social la replica alla sentenza – definita “di evidente indirizzo politico” – degli attivisti del movimento, in un primo tempo orientati a non replicare a caldo l’esito del processo di primo grado. “Avremmo tanto da dire su quanto accaduto ieri nell’aula bunker del carcere di Lecce, cercheremo di farlo, rimanendo lucidi davanti ad un giudizio che, a nostro avviso, ha avuto un evidente indirizzo politico“, affermano. “Ci troviamo qui a dover commentare ancora una volta la criminalizzazione messa in atto da un apparato repressivo che coinvolge lo Stato a diversi livelli, con la complicità di una certa stampa che, senza essere presente a nessuna delle udienze, è stata pronta a giudicare, arrivando a definire ‘esito finale’ quello che è solo il primo grado di giudizio”.

Tra i reati contestati quello di violenza privata, deturpamento, danneggiamento e manifestazione non autorizzata. Capi d’accusa contro i quali i legali degli attivisti hanno promesso ricorso in appello, in attesa delle motivazioni della sentenza di primo grado attese entro 15 giorni. Nel frattempo, gli attivisti contestano le scelte del giudice monocratico, ribadendo, d’altra parte, la contrarietà a un’opera considerata inutile e dannosa. “Tutto questo – affermano dal movimento – sembra un accanimento contro il diritto al legittimo dissenso nei confronti di un’opera inutile, dannosa e imposta, presentata come strategica, che invece di strategico ha solo il raschiare il barile dei fondi europei”.

“È un’opera climalterante che va contro ogni sana logica di cambiamento, lontana anni luce da quella transizione energetica di cui in nostri politici si vantano tanto. Pare sempre più evidente che questo accanimento è rivolto a chi protesta contro quel sistema in cui il tap è inserito, un sistema di sviluppo che strizza l’occhio al potere economico, abbandonando intere popolazioni alla propria sorte. Un sistema che alletta con le sue sirene ma che lascia intorno a sè distruzione, povertà e un sempre maggiore divario tra classi sociali”.

Amaro in bocca anche per il lasso di tempo ridotto deciso dal giudice per il deposito delle motivazioni della sentenza. Scelta criticata al termine del processo anche dall’avvocato difensore, Francesco Calabro, che ha avanzato il sospetto della inutilità della sua discussione risalente a tre giorni antecedenti alla pronuncia.

A rincarare la dose gli attivisti No Tap: “Ciò che fa più pensare, e lo hanno ribadito anche i nostri legali, sono i soli 15 giorni valutati da Giudice come sufficienti per depositare le motivazioni delle sentenze. Il numero elevatissimo di attivisti imputati e la complessità dei contesti e dei fatti, ci aprono ad un interrogativo: ci chiediamo se il Giudice dovrà spendere giorni e nottate per fornire motivazioni soddisfacenti o se, in realtà, il tutto non lo abbia già elaborato. Ai 15 giorni ne seguiranno 30 affinché i nostri legali possano elaborare e depositare gli appelli”.

Tempi eccessivamente stretti, come ribadito anche dai legali al termine del processo, che, secondo il movimento, “non solo limitano la possibilità di imbastire una difesa serena e priva di pressioni, ma che impongono ancora una volta un tour de force ai nostri legali. La regia che si cela dietro all’imposizione di questo sistema – continuano gli attivisti – ha da sempre avuto bisogno di criminalizzare chi lotta per le giustizie sociali ed ambientali, così come ha la necessità di incutere timore nelle popolazioni istituendo zone rosse e limitazioni, mostrando i muscoli e schiacciando la ragione ma, malgrado tutto questo, ci sentiamo di ribadirlo ancora più forte. Nonostante tutto – concludono – ci troverete ancora qui: noi l’effetto voi la causa del nostro malcontento”.

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