Intervista ad alcuni operai in presidio all’Om Carrelli elevatori
“Siamo stati letteralmente abbandonati al nostro destino, bastonati,
raggirati, offesi, umiliati, dimenticati. Però abbiamo imparato più in
questi due anni che nel resto della nostra vita. E quel che abbiamo
appreso sulla nostra pelle vogliamo denunciarlo”.
Gli operai al presidio dell’Om Carrelli elevatori di Modugno (Ba)
aprono un solco netto tra prima e dopo il 5 luglio 2011, il giorno in
cui la multinazionale tedesca Kion annunciò in maniera irrevocabile la
chiusura della fabbrica barese. Un prima fatto di apparente tranquillità
sociale, un dopo che ha fatto esplodere tutte le contraddizioni già
presenti dentro e fuori la fabbrica.
Alla notizia della chiusura dello stabilimento come avete reagito?
Antonio: Siamo stati presi alla sprovvista. Eravamo
impreparati. Non sapevamo che cosa fare. Sentivamo che dovevamo reagire
in qualche modo, ma eravamo ignoranti e incerti su tutto. I
sindacalisti, tutti, ci hanno detto di stare buoni, di non agitarci,
avrebbero visto loro il da farsi. Con molta fatica abbiamo messo su, i
più decisi, un piccolo presidio esterno alla fabbrica.
Il primo presidio è durato due mesi, luglio e agosto del 2011, poi
l’avete interrotto. Il secondo presidio l’avete messo su a fine aprile
2013. Che cosa è accaduto fra l’uno e l’altro?
Tommaso: Il primo presidio è stato spontaneo. Almeno ad alcuni
di noi è parso naturale ritrovarci fuori dalla fabbrica e discutere su
quanto stava accadendo e su che cosa fare. Non sapevamo come muoverci,
non avevamo una strategia, non eravamo organizzati né capaci di
organizzarci. Abbiamo chiesto alle Rsu interne, che però avevano appreso
insieme con noi della volontà della Kion di chiudere lo stabilimento e
non sapevano che fare come noialtri. Siamo rimasti fuori, abbiamo preso
un piccolo tendone, quattro sedie, un tavolo, una radio e aspettato. A
fine agosto la prima vittoria, così ce l’hanno presentata, in realtà la
prima illusione, il primo inganno: la cassa integrazione speciale fino a
giugno 2013. Poi la seconda vittoria, sempre così ce l’hanno fatta
vedere: il ritorno al lavoro, per tutti, anche se non in modo continuo,
ciascuno 5-10 giorni, una-due settimane al mese, a seconda, ci hanno
detto, delle esigenze della produzione, cioè della Kion, che aveva
ancora commesse da sbrigare.
Claudio: Intanto sono cominciati le ipotesi di acquisto della
fabbrica da parte di vari soggetti, italiani ed esteri. E noi a sperare,
a illuderci. Siamo sempre stati alla coda delle decisioni altrui, ora
ce ne siamo accorti, abbiamo sbagliato tutto. A febbraio del 2012,
quando nessuna ipotesi di acquisto reggeva, abbiamo ceduto, sotto la
pressione e le minacce dei sindacati Cgil, Cisl e Uil, a fare uscire
tutti i carrelli prodotti fino allora. Forse pensavamo, facendo i buoni,
di rabbonire la Kion. Invece poco dopo la multinazionale tedesca ha
ribadito la volontà di chiudere la fabbrica.
Giovanni: La Kion ha giocato sporco perché sapeva e sa che ha
tutti dalla sua parte, tranne gli operai. Lavorandoci ai fianchi con i
sindacalisti, ci ha divisi, persino messi gli uni contro gli altri. Ha
incentivato l’esodo degli operai e degli impiegati con alcune migliaia
di euro. Eravamo 320, siamo rimasti in poco più di 200, quasi tutti
operai. Intanto coloro che erano rimasti hanno continuato a lavorare,
quando sì e quando no. Lo scorso gennaio, alla notizia dell’accordo
Kion-Frazer Nash per costruire i taxi elettrici londinesi, i
sindacalisti hanno stappato lo spumante in fabbrica! E allora tutti
sotto a lavorare, per terminare le ultime commesse della Kion. Eravamo
positivi, ma sotto sotto dubbiosi. I sindacati ci dicevano di muoverci,
di lavorare a tutto spiano. Eppure qualcosa non andava. Ad aprile, man
mano che montavamo gli ultimi carrelli, la Kion smontava i suoi
macchinari e li disponeva sul piazzale, pronti per la partenza. Il
giorno dopo che abbiamo completato l’ultimo carrello e che l’ultimo
macchinario è stato smontato è scoppiata la notizia che l’accordo
Kion-Frazer Nash era saltato. Che coincidenza di tempi! I sindacati
sapevano tutto e ce l’avevano nascosto complottando con la direzione
della fabbrica. È stato spontaneo, anche se tardivo, riprendere il
presidio.
Alla notizia nel 2011 della chiusura della fabbrica e dopo le Rsu
hanno cercato di prendere in mano la situazione o si sono defilate?
Marcello: I sindacalisti nostri rappresentanti si sono
comportati da vigliacchi e opportunisti. Uno ha strepitato per 5-6
giorni, ha addirittura minacciato di incatenarsi al recinto esterno alla
fabbrica e attuare lo sciopero della fame, poi una settimana dopo
l’annuncio della chiusura della fabbrica ha rassegnato le dimissioni e
si è licenziato! Non l’abbiamo più visto, avrà trovato qualche altra
opportunità! Secondo me si è venduto per soldi. Gli altri sono rimasti
senza fare granché, accodandosi al presidio, poi hanno approfittato
degli incentivi all’autolicenziamento disposti dalla Kion, poco più di
40.000 euro, per andarsene anche essi.
E i sindacati provinciali che posizioni hanno preso in questi due anni?
Claudio: Ci hanno venduti. Letteralmente! Saverio Gramegna
della Fiom-Cgil, Franco Busto della Uilm-Uil e Gianfranco Michetti della
Fim-Cisl se ne sono strafottuti di noi. Ci hanno sempre tenuti in
disparte, hanno voluto sempre decidere loro per noi, ci hanno sempre
raccomandato di mantenere la calma e stare zitti. Chi fra loro è venuto,
raramente, al presidio ci ha esortato a stare buoni e ci ha buttato
20-30 euro per il caffè o la birra. Un’elemosina, mentre noi sganciamo
fior di quattrini con le tessere sindacali. Anzi, sganciavamo, perché
noi operai in gran parte abbiamo stracciato la tessera sindacale.
Antonio: I sindacalisti provinciali, sulla falsariga di quelli
regionali e nazionali, pensano esclusivamente a mantenere il loro posto
e il loro comodo stipendio. Se li pressiamo a darci risposte ci
guardano scocciati, come se dovessero farci chissà che favore e non
attendere a un loro preciso dovere nei nostri confronti. Oppure ci
rispondono a muso duro che hanno tante vertenze a cui badare e che non
possono pensare solo a noi della Om! Ma come si comportano con noi così
fanno anche con gli operai della Bridgestone, altra fabbrica barese a
rischio di chiusura, quelli della Osram, ugualmente in pericolo, e di
altre fabbriche. Invece di unire e lotte ci tengono accuratamente
lontani gli uni dagli altri.
In questi due anni siete stati aiutati da qualcuno esterno alla fabbrica?
Marcello: Da nessuno, tranne che da singoli operai o altri che
sono venuti a esprimerci la loro solidarietà. Qualcuno ha anche scritto
e diffuso dei volantini su noi e per noi o ci ha portato delle casse di
birra o da mangiare. In un periodo di scarsità di soldi per gli operai e
altri semplici lavoratori sono cose che abbiamo molto apprezzato. Poi,
nessun altro. I politici, come Vendola e il sindaco di Bari Emiliano,
sono passati una-due volte ai cancelli a fare retorica, a prometterci
chiacchiere, a dirci di stare buoni e che avrebbero risolto loro la
questione: in sostanza sono venuti a fare i pompieri del presidio e a
farsi riprendere dalle televisioni per le loro campagne elettorali,
niente di più.
Giovanni: Anche i preti non sono mancati. Anche loro ci hanno
esortato a stare tranquilli, perché così tutto sarebbe andato a posto.
L’arcivescovo di Bari, monsignor Cacucci, ha lodato pubblicamente
l’accordo di gennaio scorso fra la Kion e la Frazer Nash, poi andato a
finire male. Durante la messa officiata nel piazzale della Bridgestone
il giorno di Pasqua, ha invitato gli operai di quella fabbrica ad avere
fiducia nei loro padroni e nelle loro rappresentanze sindacali perché
sicuramente avrebbero trovato una soluzione al loro problema, così come
era accaduto all’Om. Peccato che solo pochi giorni dopo l’accordo alla
Om è svanito come una bolla di sapone. Cercano tutti di tenerci buoni, e
non abbiamo fatto niente, noi operai. Hanno paura di noi? Figuriamoci
se avessimo veramente alzato la testa.
Avete cercato di discutere, unirvi, formare un comitato di lotta
comune con gli operai della Bridgestone e di altre fabbriche baresi?
Claudio: A Bari le fabbriche della zona industriale hanno
sempre vissuto ciascuna per proprio conto. Prima non abbiamo mai preso
contatto con operai di altre fabbriche. Dopo il 5 luglio qualche operaio
di altre fabbriche ha manifestato solidarietà a livello individuale.
Più che altro si tratta di amici. Anche quando, lo scorso maggio, la
Kion e la polizia e i carabinieri hanno cercato di forzare il presidio e
di far uscire i carrelli e i macchinari smontati, alcuni operai di
altre fabbriche sono venuti a darci man forte, ma erano amici che
abbiamo avvisato per telefonino. Ci siamo sentiti con gli operai
Bridgestone, la cui fabbrica è a poche centinaia di metri, ma essi
stanno facendo ora lo stesso errore che abbiamo commesso noi: con la
promessa di un accordo hanno ripreso tutti a lavorare, e non pensano a
noi. Poi si accorgeranno anche loro che è solo un tranello per
addormentarli. Tutti hanno paura, di perdere il posto, di
compromettersi. Siamo stati abituati troppo a farci i fatti propri, a
delegare, abbiamo perduto lo spirito di solidarietà che è proprio della
classe operaia.
Ora che l’accordo Kion-Frazer Nash è definitivamente saltato che prospettive avete? Come pensate di organizzarvi?
Tommaso: Siamo soli, pochi, ma determinati. Finché il presidio
rimarrà in piedi i carrelli e i macchinari non usciranno. Non vogliamo
l’elemosina della cassa integrazione o della mobilità, vogliamo il
lavoro. Vogliamo anche far sentire la nostra voce, raccontare la nostra
esperienza, affinché sia di insegnamento ad altri operai che ripongono
le loro speranze nella bontà dei padroni o si illudono che i
sindacalisti siano dalla loro parte. La verità, meschina, amara,
brutale, è che i padroni comandano e i sindacalisti sono i loro zelanti
mercenari, disposti a tutto pur di piegare gli operai. L’abbiamo vissuto
sulla nostra pelle e ne portiamo i segni. Possiamo anche perdere, ma
per noi non sarà mai più come prima.
intervista a cura di operaicontro bari
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