sabato 22 giugno 2013

ULTIMA PARTE de L'IMPERO ECONOMICO DI RIVA




Note sulla situazione della produzione dell’acciaio a livello europeo e mondiale

Marx sui produttori siderurgici: “Hanno da fare ben altro che produrre acciaio! La produzione dell’acciaio è un semplice pretesto per la produzione del plusvalore”.



L’Italia è il secondo produttore di acciaio in Europa, con l’Ilva di Taranto che è la più grande acciaieria, diventata la piattaforma produttiva di base per l’intero manifatturiero italiano: dall’automotive agli elettrodomestici. Il suo peso in tutto il gruppo in Italia è del 88,4%; l’incidenza sul Pil nazionale è dell’1% e dell’8% sul Pil della Puglia, mentre sdel 75% sulla provincia di Taranto; l’incidenza sul traffico dell’Ilva sul porto di taranto è del 76%.
Le potenziali dello stabilimento di Taranto sono di dieci milioni di tonnellate di acciaio all’anno che equivalgono ai due quinti della produzione totale italiana, sia dei prodotti lunghi sia dei prodotti piani. I soli prodotti piani (coils, nastri e lamiere) si attestano al 74% dell’offerta italiana. Al netto dell’acciaio importato dall’estero, l’Ilva soddisfa il 67% del consumo effettivo del sistema industriale italiana. Il 25% della componentistica italiana destinata all’automotive è infatti realizzato con l’acciaio prodotto negli altiforni di Taranto. Lo stesso capita per il 16% dei casalinghi, per il 20% delle macchine e degli apparati meccanici, per l’8% della carpenteria pesante e per il 4% del bianco.
Ma questa potenzialità ora sta andando in crisi e questo preoccupa tutto il padronato italiano, e non solo.
Qual’è la situazione a livello mondiale?
L’attuale fotografia della siderurgia mostra Europa, America e Giappone arroccate sui 100-200 mln/t. In Europa, a parte l’Inghilterra che nel 2012 ha avuto un lieve aumento del 2,9%, tutti gli altri paesi hanno ridotto la produzione, compresa la Germania (-3,7%). L’Italia, con 27,2 mil/t, sta a meno il 5,2%. La Russia si difende debolmente, con un leggero aumento del 2,6%.
Di contro, la Cina ha circa il 45% dell’acciaio mondiale prodotto negli ultimi 5 anni, ed è passata in 12 anni da 150 a 700 mln/t
La produzione di acciaio negli Usa fino agli anni ’50 si aggirava intorno al 40% della produzione mondiale, e per più di mezzo secolo il primato siderurgico ha accompagnato l’ascesa e l’affermazione della prima potenza. Il periodo dell’acciaio degli Stati Uniti attraversò due guerre mondiali fino al 1957 – punta massima - e il suo  declino fu ritardato dalle guerre in Corea e Vietnam.
A dicembre 2012 il New York Times, a proposito del caso Ilva di Taranto e di una sua paventata chiusura, espresse allarme, facendo presente che il collasso di uno stabilimento di tali dimensioni potrebbe aprire in prospettiva le porte agli acciai prodotti in nazioni non propriamente amiche degli Usa (Cina o Russia).
L’Europa è stretta tra crisi di sovrapproduzione, la pressione dei nuovi player globali e la necessità di finanziare inderogabili investimenti aziendali. Ma nemmeno l’innovazione degli altoforni può superare i problemi posti dalla attuale sovracapacità (60 mt prodotti nel 2009, 10 altoforni spenti), considerando che nel 2013 i consumi di acciaio saranno, rispetto al 2007, ancora di un quarto inferiori. Mentre la concorrenza asiatica incalza.
Oggi l’Europa mantiene in funzione una trentina di grandi altoforni (sopra i 10 metri di diametro) e fra questi ne figurano 8 fra i più grandi del mondo: 4 sono tedeschi. L’altoforno 5 di Taranto compare fra gli 8 grandi con 3700 metri cubi.
In questo come sta l’Italia? E’ l’undicesimo produttore mondiale di acciaio  ma il sesto esportatore. “Il problema per la siderurgia, oggi, è che non genera utili».Il suo mercato è prevalentemente interno ed esso è in forte flessione per la crisi degli altri settori che utilizzano l’acciaio. C’è da dire che l’Italia ha finora resistito soprattutto per il costo del lavoro più basso e per una gestione della crisi fatta di buona interlocuzione sindacale, che ha poermesso alle ziende di sfruttare cassa integrazione, contratti di solidarietà.
L’Europa - dicono i padroni dell’acciaio - è a un bivio: o sfrutta l’occasione fornita dall’action plan per la siderurgia e cerca di dare una sterzata alla politica industriale continentale, oppure si condanna a un mercato interno sempre più povero, sempre meno competitivo e in balia del dumping internazionale.
Per la prima volta, con il dibattito sull’action plan per la siderurgia, in Europa si è creato un asse tra Francia, Belgio, Lussemburgo, Polonia, Austria e Italia, nazioni convinte che sia necessario adottare in tempi brevi una politica industriale per la siderurgia... Al settore serve una proposta che contempli posizioni simmetriche nel commercio internazionale, chiarezza sul tema delle emissioni CO2, coraggio nel sostegno ai costi sociali dei piani di ristrutturazione.
“La crisi della siderurgia - dice il presidente della Federacciai - è la crisi dell’Europa: le scelte che saranno assunte nell’Unione nei prossimi mesi influenzeranno pesantemente il manifatturiero, ma anche viceversa”...
La sovracapacità produttiva europea ammonta oggi a 50 milioni di tonnellate, di cui 15 milioni in Italia. Ma è un problema globale: World steel association prevede nel 2013 una crescita del consumo apparente nel mondo di poco sotto il 3%.
I dati eurofer mostrano come l’import di acciaio sia aumentato del 21%, mentre l’export stagna.
La sola Cina potrebbe produrre oggi circa 150 milioni di tonnellate in più rispetto alla situazione attuale.
“Anche i dati più recenti di Federacciai sono foschi: l’anno scorso la produzione è calata del 5,2% a quota 27,2 milioni di tonnellate, con un consumo apparente in calo del 20,4% sul 2011. Dal picco del 2006-07 la produzione nazionale di acciaio si è ridotta di oltre 4 milioni di tonnellate (-15%) ed il consumo apparente è diminuito di oltre il 40 per cento”
Cosa fare?
Le aziende siderurgiche italiane ed europee stanno cercando di traghettare verso una nuova dimensione”.”La siderurgia italiana ha tutta gli stessi problemi - dice Bentivogli della Cisl - infrastrutture, energia e ambiente, concorrenza di molti dei paesi del Bric (Brasile-Russia-India-Cina). Per questo è necessario un tavolo di regia”.
“È arrivato il momento di fondere, acquisire, tagliare – dice il presidente della Federacciai –. Non è facile, soprattutto al nord, dove la governance è familiare e spesso frammentata. Ma è necessario farlo per non soccombere”. “È’ la crisi che impone questo approccio - dicono i padroni - è necessario trovare una strada per mantenere gli stessi livelli di produzione e di competitività, dalla messa in comune di alcune attività fino a fusioni vere e proprie”.
Cosa significano questi piani per i lavoratori: tagli di posti di lavoro, più produttività, cioè più sfruttamento, perchè la diminuzione del profitto a causa del restringimento dei mercati, venga compensata da un maggiore pluslavoro.
E’ in corso una guerra all’”ultimo sangue” tra capitalismi, in cui le riprese possono essere momentanee, prima di una nuova e più grave crisi.
Ma il problema chiaramente non è la sovrapproduzione perchè non ci sarebbe consumo, ma una sovrapproduzione frutto della legge del capitale della produzione finalizzata solo al profitto - come disse Riva all’inizio dell’attuale crisi: io preferisco tenere bloccato l’acciaio nei piazzali piuttosto che abbassarne il prezzo.

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