Note sulla situazione della produzione dell’acciaio a livello europeo e mondiale
Marx sui produttori siderurgici: “Hanno da fare ben altro che produrre acciaio! La produzione dell’acciaio è un semplice pretesto per la produzione del plusvalore”.
L’Italia è il secondo produttore di acciaio in Europa, con l’Ilva di
Taranto che è la più grande acciaieria, diventata la piattaforma
produttiva di base per l’intero manifatturiero italiano: dall’automotive
agli elettrodomestici. Il suo peso in tutto il gruppo in Italia è del
88,4%; l’incidenza sul Pil nazionale è dell’1% e dell’8% sul Pil della
Puglia, mentre sdel 75% sulla provincia di Taranto; l’incidenza sul
traffico dell’Ilva sul porto di taranto è del 76%.
Le potenziali dello stabilimento di Taranto sono di dieci milioni di
tonnellate di acciaio all’anno che equivalgono ai due quinti della
produzione totale italiana, sia dei prodotti lunghi sia dei prodotti
piani. I soli prodotti piani (coils, nastri e lamiere) si attestano al
74% dell’offerta italiana. Al netto dell’acciaio importato dall’estero,
l’Ilva soddisfa il 67% del consumo effettivo del sistema industriale
italiana. Il 25% della componentistica italiana destinata all’automotive
è infatti realizzato con l’acciaio prodotto negli altiforni di Taranto.
Lo stesso capita per il 16% dei casalinghi, per il 20% delle macchine e
degli apparati meccanici, per l’8% della carpenteria pesante e per il
4% del bianco.
Ma questa potenzialità ora sta andando in crisi e questo preoccupa tutto il padronato italiano, e non solo.
Qual’è la situazione a livello mondiale?
L’attuale fotografia della siderurgia mostra Europa, America e Giappone
arroccate sui 100-200 mln/t. In Europa, a parte l’Inghilterra che nel
2012 ha avuto un lieve aumento del 2,9%, tutti gli altri paesi hanno
ridotto la produzione, compresa la Germania (-3,7%). L’Italia, con 27,2
mil/t, sta a meno il 5,2%. La Russia si difende debolmente, con un
leggero aumento del 2,6%.
Di contro, la Cina ha circa il 45% dell’acciaio mondiale prodotto negli
ultimi 5 anni, ed è passata in 12 anni da 150 a 700 mln/t
La produzione di acciaio negli Usa fino agli anni ’50 si aggirava
intorno al 40% della produzione mondiale, e per più di mezzo secolo il
primato siderurgico ha accompagnato l’ascesa e l’affermazione della
prima potenza. Il periodo dell’acciaio degli Stati Uniti attraversò due
guerre mondiali fino al 1957 – punta massima - e il suo declino fu
ritardato dalle guerre in Corea e Vietnam.
A dicembre 2012 il New York Times, a proposito del caso Ilva di Taranto e
di una sua paventata chiusura, espresse allarme, facendo presente che
il collasso di uno stabilimento di tali dimensioni potrebbe aprire in
prospettiva le porte agli acciai prodotti in nazioni non propriamente
amiche degli Usa (Cina o Russia).
L’Europa è stretta tra crisi di sovrapproduzione, la pressione dei nuovi
player globali e la necessità di finanziare inderogabili investimenti
aziendali. Ma nemmeno l’innovazione degli altoforni può superare i
problemi posti dalla attuale sovracapacità (60 mt prodotti nel 2009, 10
altoforni spenti), considerando che nel 2013 i consumi di acciaio
saranno, rispetto al 2007, ancora di un quarto inferiori. Mentre la
concorrenza asiatica incalza.
Oggi l’Europa mantiene in funzione una trentina di grandi altoforni
(sopra i 10 metri di diametro) e fra questi ne figurano 8 fra i più
grandi del mondo: 4 sono tedeschi. L’altoforno 5 di Taranto compare fra
gli 8 grandi con 3700 metri cubi.
In questo come sta l’Italia? E’ l’undicesimo produttore mondiale di
acciaio ma il sesto esportatore. “Il problema per la siderurgia, oggi, è
che non genera utili».Il suo mercato è prevalentemente interno ed esso è
in forte flessione per la crisi degli altri settori che utilizzano
l’acciaio. C’è da dire che l’Italia ha finora resistito soprattutto per
il costo del lavoro più basso e per una gestione della crisi fatta di
buona interlocuzione sindacale, che ha poermesso alle ziende di
sfruttare cassa integrazione, contratti di solidarietà.
L’Europa - dicono i padroni dell’acciaio - è a un bivio: o sfrutta
l’occasione fornita dall’action plan per la siderurgia e cerca di dare
una sterzata alla politica industriale continentale, oppure si condanna a
un mercato interno sempre più povero, sempre meno competitivo e in
balia del dumping internazionale.
Per la prima volta, con il dibattito sull’action plan per la siderurgia,
in Europa si è creato un asse tra Francia, Belgio, Lussemburgo,
Polonia, Austria e Italia, nazioni convinte che sia necessario adottare
in tempi brevi una politica industriale per la siderurgia... Al settore
serve una proposta che contempli posizioni simmetriche nel commercio
internazionale, chiarezza sul tema delle emissioni CO2, coraggio nel
sostegno ai costi sociali dei piani di ristrutturazione.
“La crisi della siderurgia - dice il presidente della Federacciai - è la
crisi dell’Europa: le scelte che saranno assunte nell’Unione nei
prossimi mesi influenzeranno pesantemente il manifatturiero, ma anche
viceversa”...
La sovracapacità produttiva europea ammonta oggi a 50 milioni di
tonnellate, di cui 15 milioni in Italia. Ma è un problema globale: World
steel association prevede nel 2013 una crescita del consumo apparente
nel mondo di poco sotto il 3%.
I dati eurofer mostrano come l’import di acciaio sia aumentato del 21%, mentre l’export stagna.
La sola Cina potrebbe produrre oggi circa 150 milioni di tonnellate in più rispetto alla situazione attuale.
“Anche i dati più recenti di Federacciai sono foschi: l’anno scorso la
produzione è calata del 5,2% a quota 27,2 milioni di tonnellate, con un
consumo apparente in calo del 20,4% sul 2011. Dal picco del 2006-07 la
produzione nazionale di acciaio si è ridotta di oltre 4 milioni di
tonnellate (-15%) ed il consumo apparente è diminuito di oltre il 40 per
cento”
Cosa fare?
Le aziende siderurgiche italiane ed europee stanno cercando di
traghettare verso una nuova dimensione”.”La siderurgia italiana ha tutta
gli stessi problemi - dice Bentivogli della Cisl - infrastrutture,
energia e ambiente, concorrenza di molti dei paesi del Bric
(Brasile-Russia-India-Cina). Per questo è necessario un tavolo di
regia”.
“È arrivato il momento di fondere, acquisire, tagliare – dice il
presidente della Federacciai –. Non è facile, soprattutto al nord, dove
la governance è familiare e spesso frammentata. Ma è necessario farlo
per non soccombere”. “È’ la crisi che impone questo approccio - dicono i
padroni - è necessario trovare una strada per mantenere gli stessi
livelli di produzione e di competitività, dalla messa in comune di
alcune attività fino a fusioni vere e proprie”.
Cosa significano questi piani per i lavoratori: tagli di posti di
lavoro, più produttività, cioè più sfruttamento, perchè la diminuzione
del profitto a causa del restringimento dei mercati, venga compensata da
un maggiore pluslavoro.
E’ in corso una guerra all’”ultimo sangue” tra capitalismi, in cui le riprese possono essere momentanee, prima di una nuova e più grave crisi.
Ma il problema chiaramente non è la sovrapproduzione perchè non ci sarebbe consumo, ma una sovrapproduzione frutto della legge del capitale della produzione finalizzata solo al profitto - come disse Riva all’inizio dell’attuale crisi: io preferisco tenere bloccato l’acciaio nei piazzali piuttosto che abbassarne il prezzo.
E’ in corso una guerra all’”ultimo sangue” tra capitalismi, in cui le riprese possono essere momentanee, prima di una nuova e più grave crisi.
Ma il problema chiaramente non è la sovrapproduzione perchè non ci sarebbe consumo, ma una sovrapproduzione frutto della legge del capitale della produzione finalizzata solo al profitto - come disse Riva all’inizio dell’attuale crisi: io preferisco tenere bloccato l’acciaio nei piazzali piuttosto che abbassarne il prezzo.
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