La Procura di Taranto ha richiesto nuovamente al gip Benedetto Ruberto di archiviare le accuse ai dirigentii Ilva tra il 2014 e il 2018 a causa dell’esimente penale. La stessa richiesta era stata avanzata ad inizio 2019, ma come si ricorderà il gip l’8 febbraio 2019 decise di sollevare la questione di legittimità costituzionale alla Consulta, perché a suo dire la norma sulle tutele legali del 2015 violava ben sette articoli della Costituzione e concedeva un tempo decisamente lungo per il risanamento degli impianti dell’area a caldo sequestrati nel 2012.
(leggi l’articolo https://www.corriereditaranto.it/2019/10/08/2ex-ilva-immunita-i-pareri-di-capristo-e-arpa/)
Come si ricorderà lo scorso 9 ottobre la Corte costituzionale si riunì in camera di consiglio per discutere la questione sollevata dal gip. In attesa del deposito dell’ordinanza, l’Ufficio stampa della Corte fece sapere in un comunicato ufficiale “che al termine della discussione è stata decisa la restituzione degli atti al Gip, il quale, considerato che nel frattempo il legislatore è intervenuto due
volte (dl n. 34 del 2019 e, successivamente, dl n.101 del 2019, in corso di conversione in legge), dovrà valutare se permangono la rilevanza delle questioni e i dubbi di legittimità costituzionale“. 
Di fatto fu accolta la linea dei legali della multinazionale ArcelorMittal e dell’Avvocatura dello Stato, che chiesero alla Consulta di non esprimersi sulla legittimità costituzionale della norma e di rinviare gli atti al gip, proprio in funzione del fatto che la norma è stata modificata dagli utlimi interventi del legislatore (il dl Crescita e il dl Imprese attualmente in corso di convesione al Senato). La palla dunque torna al gip di Taranto Benedetto Roberto.
(leggi l’articolo https://www.corriereditaranto.it/2019/10/09/ex-ilva-immunita-ludienza-pubblica-alla-consulta2/)
Secondo quanto riferito dal gip Ruberto, le questioni traevano origine da tre procedimenti penali
rubricati al numero R.G.N.R. n. 10093/16 e ai numeri 7297/17 R.G. mod. 44 e n. 5568/17 R.G. mod. 44 istruiti dalla Procura della Repubblica di Taranto connessi all’assunta emissione di inquinanti riconducibile all’attività dello stabilimento siderurgico ex ILVA di Taranto.
In particolare il primo procedimento riguardava il reato di disastro ambientale per i dati registrati tra novembre 2014 e febbraio 2015: i carabinieri del Noe di Lecce e ARPA Puglia evidenziarono come i valori di diossine e furani fossero “pericolosamente superiori ai limiti”. Il deposimetro della centralina di via Orsini che dista dall’agglomerato oltre 1 km, registrò infatti valori abnormi di diossina, mai riscontrati prima a Taranto, e secondi soltanto alla tragedia del Seveso. ISPRA ed ARPA dopo una serie di ispezioni diffidarono l’ex Ilva, effettuando interventi volti “ad assicurare la puntuale caratterizzazione dei rifiuti da eseguirsi ogni 12 mesi” e imponendo la revisione della procedura operativaper eliminare/minimizzare il ripetersi degli eventi incidentali e di malfunzionamento già verificatisi, valutando l’idoneità del materiale impiegato ad alte temperature e la possibilità di utilizzare dispositivi specifici ed eventuali sistemi di raffreddamento, bagnatura, assorbimento e contenimento delle polveri, al fine di ridurre al minimo i rischi per gli addetti ed evitare eventuali rilasci di sostanze inquinanti nell’ambiente“.
Le indagini della Guardia di Finanza portarono all’iscrizione nel registro degli indagati di Ruggiero Cola e Nicola Petronelli Nicola, all’epoca dei fatti rispettivamente direttore dello stabilimento e capo dell’area agglomerato.
In realtà su quel caso è rimasto il mistero, visto che ancora oggi non sappiamo cosa sia effettivamente accaduto. 
(leggi l’articolo https://www.corriereditaranto.it/2016/06/14/caso-diossina-ispra-ed-arpa-diffidano-ilva-gestione-polveri-elettrofiltri-mistero-resta/)
Il secondo procedimento invece, aperto contro ignoti, era stato aperto dopo le denunce del Comune di Statte, che aveva segnalato come nella discarica interna dello stabilimento denominata ‘Mater Gratiae’, al centro del processoAmbiente Svenduto‘, fossero in corso “attività estrattive su aree inquinate con rilevanti dispersioni di polveri contenenti microinquinanti depositatisi su suolo, a danno di operai, della collettività, soprattutto dei cittadini residenti a poche centinaia di metri dal sito. La falda acquifera risulta inequivocabilmente inquinata dalle sostanze lasciate dal dilavamento dei terreni di riporto” con riferimento alla prosecuzione ed all’ampliamento di quella attività.
(leggi l’articolo che ripercorre la vicenda https://www.corriereditaranto.it/2019/07/25/immunita-penale-la-consulta-arcelormittal-partecipera-al-giudizio6/)
Il terzo fascicolo, infine, riguardava il report di ARPA Puglia sulle emissioni dell’anno 2016 sul monitoraggio della qualità dell’aria relativi alle emissioni di PM10, PM 2,5 e benzene in area cokeria. Oltre al valore medio annuale alto nel quartiere Tamburi del ‘Black Carbon‘ (Inquinante costituito da polvere finissima di carbone costituita al 95-99% da carbonio e da molecole aromatiche. È emesso soprattutto durante la combustione incompleta del carbone). Valore che nella centralina del rione Tamburi risultava essere superiore alla quantità rilevata all’interno del sideerugico.
Adesso toccherà al gip Ruberto decidere se accogliere la richiesta della Procura oppure, come richiesto dalla stessa Consulta, “valutare se permangono la rilevanza delle questioni e i dubbi di legittimità costituzionale” dopo le modifiche apportate alla norma sulle tutele legali.