martedì 14 gennaio 2020

Ecco come finirà la trattativa sull’ex Ilva tra governo e Arcelor Mittal, secondo un esperto - Chiaramente se gli operai non si muovono e aspettano...

 L’analisi di Sabella

di
Arcelor Mittal

Fatti, indiscrezioni e scenari sull’accordo in fieri tra governo e Arcelor Mittal sull’ex Ilva nell’approfondimento di Giuseppe Sabella, direttore di Think-industry 4.0, con Start
Venerdì mattina, presso il ministero dello Sviluppo economico, è previsto l’incontro tra i vertici di Arcelor Mittal e i sindacati. Con la decisione del Tribunale del Riesame di prorogare lo spegnimento dell’altoforno 2, la trattativa con Governo e sindacati sta entrando nel vivo.
Facciamo il punto con Giuseppe Sabella, direttore di Think-industry 4.0.

Sabella, a che punto è la situazione della ex Ilva?

Con la decisione del Tribunale del Riesame di sospendere lo spegnimento dell’altoforno 2, la situazione è a un punto di svolta. La chiusura dell’altoforno avrebbe reso carta straccia gli accordi del 2018: le condizioni, considerando anche la revoca scudo penale, sarebbero state palesemente diverse ed evidenti le ragioni di Mittal a sostegno del suo recesso. Ora, soltanto sulla base della revoca, sia l’azienda che il governo vogliono evitare il pronunciamento dei giudici di Milano, foro competente circa gli accordi del 2018 e quindi sul recesso chiesto da Mittal. Onde evitare questo pronunciamento, bisogna che ci sia accordo – anche col sindacato – entro il 30 gennaio.

E secondo lei questo accordo ci sarà?

Tutti sanno che un mancato accordo potrebbe essere letale per la ex Ilva. Per cui, tenderei ad escludere colpi di scena e dico di si, l’accordo ci sarà.

Venerdì mattina l’azienda incontrerà i sindacati presso il Mise. Cosa succederà?

La situazione è molto tesa per varie ragioni. In primis, è evidente che Mittal sta giocando una partita all’attacco: come ha già comunicato, vorrebbe cassa-integrare 5.000 lavoratori. In secondo luogo, l’azienda ha disdettato tutti i contratti integrativi e continua ad assumere lavoratori in posizioni apicali senza pescare dalla cassa integrazione. Sono evidenti azioni di disturbo, per mettere in difficoltà il sindacato. Da qui si partirà venerdì mattina.

Ma il governo non ha trovato un accordo con l’azienda?

No. Dopo il recesso esercitato da Mittal conseguente alla revoca dello scudo penale avvenuta per via parlamentare, il governo ha ripreso la situazione per i capelli. In questo bisogna dire che Conte, supportato in particolare da Gualtieri e dal suo staff, ha fatto un buon lavoro e ha predisposto un’operazione importante di rilancio della ex Ilva: l’area a caldo sarà infatti affiancata da un’area green che vedrà produrre attraverso due forni elettrici e la tecnologia DRI (gas, idrogeno e monossido di carbonio). Ciò ha il pregio di innovare la produzione e di avviare una rilevante fase di decarbonizzazione.

Quindi lo Stato sarà azionista di ArcelorMittal Italia. A che prezzo?

Lo Stato sarà azionista di AM Italia in una percentuale importante (30/40%) ma le variabili sono tante e ancora da chiarire. Mittal e governo comunque si sono intesi, siamo ai conteggi dei tecnici. Chiaro che l’investimento è importante, solo per i due forni elettrici si parla di 900 milioni di euro. Poi vi sono i costi dell’investimento sul preridotto (o DRI) ma qui il governo sta coinvolgendo i privati. Poi ci saranno inevitabili concessioni a Mittal come quella sul fitto (180 milioni anno) e la cassa integrazione per una parte di lavoratori. Ma non 5.000 come vuole l’azienda.

Quindi, come finisce questa trattativa?

L’azienda vuole mantenere la produzione di acciaio attorno ai 4 milioni di tonnellate. Da qui si parte e difficilmente ci si muoverà. Per Mittal questo significa 5.000 esuberi. Col sindacato lo scontro sarà forte ma sarà calmierato dalla proposta che farà il governo, ovvero di integrare la produzione con i due forni elettrici che significa circa 2/2,5 milioni di tonnellate che si aggiungono ai 4 previsti da Mittal. A quel punto, la cassa integrazione potrebbe riguardare soltanto 2000 lavoratori circa con l’obiettivo di reintegrarli entro il 2023 quando la produzione sarà portata a 8 milioni di tonnellate. I numeri della cigs dipendono comunque dalle evoluzioni della trattativa Mittal-sindacato. Se tuttavia consideriamo da dove siamo partiti – dal recesso di Mittal in Tribunale – sarebbe un buon punto di approdo. Stiamo a vedere.

Intanto riparte la produzione in Spagna

L'11 gennaio riavviato un altoforno ad Avilés e ieri l’impianto per prodotti larghi di Gijón

La direzione di ArcelorMittal ha deciso di riprendere la produzione dell’altoforno B dell'impianto di Avilés, nelle Asturie l'11 gennaio scorso.
L’altoforno era stato spento per vari lavori di manutenzione il 6 novembre 2019, ma nell'ambito degli adeguamenti della produzione annunciati dalla società a maggio, a causa della continua debolezza del mercato e degli elevati livelli delle importazioni in Europa, ArcelorMittal aveva dichiarato che «dopo i lavori di manutenzione programmata, conclusasi il 19 dicembre, l’altoforno B resterà in arresto temporaneo per un periodo indefinito».
La decisione di riprendere la produzione, spiega ora ArcelorMittal «si basa su due fattori: da un lato, la necessità di ricostituire le scorte dopo il periodo di chiusura a causa del rimodellamento dell'acciaieria e dall'altro, nel prossimo riavvio di Gijón» (nella foto di testa), avvenuta effettivamente nella giornata di ieri.
Tuttavia, la direzione aziendale mantiene un «approccio prudente sul possibile recupero dei normali livelli di attività produttiva tenendo conto della situazione del mercato, ancora incerta».

M. T.   

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