Entro il 31 gennaio serve intesa governo-ArcelorMittal su piano industriale. Oltre ad intesa con sindacati e reintroduzione tutele legali

L’aver ottenuto la proroga della facoltà d’uso dell’altoforno 2 per i prossimi 12 mesi, tempo nel quale l’azione congiunta della struttura commissariale e di ArcelorMittal Italia nell’attuazione di tutte le prescrizioni sarà posta al vaglio e alla vigilanza del custode giudiziario Barbara Valenzano così come imposto dall’ordinanza del tribunale del Riesame, ha risolto solo in minima parte le problematiche legate al futuro del siderurgico.
(leggi l’articolo https://www.corriereditaranto.it/2020/01/07/ex-ilva-le-motivazioni-del-riesame-sulla-facolta-duso-di-afo-2/)
Indubbiamente la decisione di ieri ha tolto qualche castagna dal fuoco al governo, impegnato in una complessa trattativa con la multinazionale anglo-indiana. E’ bene infatti ricordare che nell’atto di
recesso del contratto di affitto, ArcelorMittal sottolineava la grave situazione dell’altoforno 2, sulla quale a suo dire la struttura commissariale non era stata limpida nella descrizione della situazione dell’impianto. Soprattutto, il contratto firmato nel 2018 prevede l’utilizzo di tre altiforni in marcia: qualora avesse perso l’utilizzo dell’altoforno 2, ArcelorMittal aveva una carta in più con cui rivalersi sullo Stato italiano.
Il prossimo step sarà appunto quello di trovare una convergenza tra il piano industriale proposto da ArcelorMittal lo scorso dicembre, e quello messo a punto dal governo di cui abbiamo rivelato i dettagli in esclusiva.
Appare comunque certo che i prossimi passaggi serviranno a chiarire altri aspetti fondamentali di tutta questa vicenda: il raggiungimento di un nuovo accordo sindacale, la reintroduzione della protezione legale e la revisione del prezzo finale dell’acquisto degli asset industriali del gruppo ex Ilva. Il tutto dovrà avvenire entro il 31 gennaio, termine indicato dal Tribunale di Milano come data di aggiornamento del contenzioso legale sulla rescissione del contratto tra ArcelorMittal e l’Amministrazione Straordinaria Ilva.
Sicuramente il compito più ostico sarà quello di trovare una nuova intesa sindacale, come già avvenuto per il contratto sottoscritto nel settembre 2018, quando ci volle più di un anno prima di arrivare a quella firma che si richiede di raggiungere in poche settimane.
Inoltre, nel piano industriale del governo “Linee guida per un piano industriale sostenibile 2020-2023” dall’Amministrazione Straordinaria ai sindacati lo scorso dicembre, se è vero che è prevista una produzione a 8 milioni di tonnellate al 2023 con impiegati tutti i 10.700 lavoratori, è altrettanto vero che ci saranno degli esuberi provvisori tra il 2020 e il 2022. Si parla di 1.500 esuberi che certamente non sono i 5mila ipotizzati da ArcerlorMittal, ma che comunque non piacciono alle organizzaizoni sindacali.
A destare perplessità è anche il prospetto di possibile recupero dell’Ebitda che vedrebbe solo nel 2023 ritornare l’azienda in territorio nettamente positivo con l’indice finanziario tra i 200 e i 250 milioni di euro a fronte di 7,2 milioni di tonnellate di spedito. Marginalità in crescita soprattutto per il miglioramento del mix di prodotti immessi sul mercato.
Per quanto attiene invece la reintroduzione delle tutele legali, il compito spetta interamente al premier Conte, che dovrà mediare in particolar modo con l’ala più oltranzista del Movimento 5 Stelle che difficilmente voterebbe a favore di una norma del genere. Probabilmente, come più volte ipotizzato nelle scorse settimane, si potrebbe pensare ad una norma generale e non specifica per l’ex Ilva
Sul fronte dello sconto sul prezzo di acquisto, che dovrebbe attestarsi su 1,2 miliardi, ferme restando le risorse per la restituzione dei prestiti statali per evitare la procedura di infrazione europea, l’unica voce di costo a saldo per ridurre l’importo è quella dei creditori ed in particolare della banche a cui avrebbe dovuto andare la maggior parte del saldo finale.
Già nelle scorse settimane abbiamo evidenziato come il MiSe e il consulente del governo Caio si siano messi in contatto con gli istituti di Credito che sono anche creditori i Ilva con una proposta di conversione dei propri crediti prededucibili in quote di capitale della Newco che nascerà per effettuare gli investimenti relativi alla costruzione dell’impianto che produrrà il preridotto che servirà ad alimentare i due forni elettrici che si accompegneranno alla produzione degli altiforni 4 e 5.
Gli istituti di credito coinvolti saranno Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Cdp e il Tesoro in qualità di creditori in prededuzione (cioè con rimborso prioritario) a cui si chiederà di trasformare parte dei loro crediti in capitale della Newco.
Secondo indiscrezioni, il ministero dell’Economia, che verrà coinvolto nella Newco, potrebbe indicare come suo consulente il professionista romano Enrico Laghi, ex commissario straordinario del gruppo dell’acciaio da gennaio 2015 ad aprile 2019 ed ex commissario di Alitalia. Il compito di Laghi sarà quello di gestire il negoziato con i creditori della “prededuzione”, cioè quella fascia di crediti che per legge deve essere rimborsata con priorità rispetto agli altri crediti. Laghi affiancherebbe quindi Francesco Caio sul fronte finanziario dell’operazione. Che alla fine dovrebbe vedere una quota pari al 60% ancora nella mani di ArcelorMittal, mentre il restante 40% sarebbe diviso quasi a metà tra le banche e lo Stato.
Ad una riunione svolta nei giorni scorsi avrebbero preso parte Lucia Morselli, ad di Am InvestCo, i consulenti di ArcelorMittal (Giuseppe Scassellati, Roberto Bonsignore studio Cleary Gottlieb; Franco Gianni con la sua collaboratrice Gabriella Covino studio Gop) e quelli della procedura straordinaria (Giuseppe Lombardi, Giampiero Succi, Lazare Vittone studio Bep).
Gli incontri proseguono ma il tempo per trovare l’intesa diventa sempre di meno.