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Alle tre e mezzo del pomeriggio termina l’ennesima riunione quotidiana nello studio degli avvocati. E finisce con una consapevolezza tra le parti che siedono al tavolo: altamente difficile, se non impossibile, arrivare alla scadenza imminente con un’intesa vincolante. Ex Ilva di Taranto: a quindici giorni dalla dead line concordata tra il governo e Mittal,Tremila esuberi. I franco-indiani hanno abbassato l’asticella, da circa cinquemila ad appunto tremila,. La trattativa è in salita. Anche l’ingresso dello Stato - una delle rassicurazioni che il colosso dell’acciaio ha preteso per non lasciare lo stabilimento - è da confezionare.
Dalla firma del pre-accordo è passato quasi un mese. Era il 20 dicembre quando l’esecutivo e ArcelorMittal decisero di sterilizzare lo scontro in tribunale e proseguire la trattativa. L’udienza fatta
slittare al 7 febbraio, l’impegno a trattare fino al 31 gennaio per raggiungere un accordo. Il tutto condito dall’ottimismo. In fondo il governo è riuscito a tenere l’azienda al tavolo e Mittal ha ottenuto che lo Stato partecipi al rischio del nuovo corso green che si vuole disegnare per Taranto. Da quel giorno le parti hanno iniziato a lavorare sottotraccia. Incontri quotidiani che si svolgono al ministero dello Sviluppo economico e negli uffici dei legali delle parti. Sono questi i luoghi deputati a costruire la strada verso l’accordo. Al tavolo siedono gli avvocati e i consulenti delle due parti.

A palazzo Chigi, invece, si fa il punto sul decreto Taranto, il provvedimento che disegna il futuro di tutto quello che c’è intorno all’impianto. Proprio quando la riunione dei tecnici era in procinto di terminare, nella sede della presidenza del Consiglio sono entrati alcuni dei ministri coinvolti nel dossier, quello allo Sviluppo economico Stefano Patuanelli e Giuseppe Provenzano, ministro per il Sud. E poi ancora il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Mario Turco e Domenico Arcuri, l’amministratore delegato di quella Invitalia chiamata a giocare un ruolo chiave. Riunione presieduta da Conte. Check sul Contratto istituzionale di sviluppo, che prevede diversi interventi per la città oltre alle bonifiche. E si è parlato anche dei fondi europei che arriveranno con il Green Deal.
La partita, però, si gioca ancora al tavolo dei negoziatori tecnici, quelli che hanno in mano numeri e carte.
Una fonte di primissimo livello spiega a Huffpost che sugli esuberi “ci sono ancora distanze enormi”. Mittal, secondo il ragionamento fatto dalla fonte, si è convinta che la produzione può salire rispetto ai 4 milioni di tonnellate indicati all’inizio della trattativa. Non però fino ai livelli auspicati dal governo, pari a 8 milioni di tonnellate. La mancanza di un accordo sulla produzione si riversa ovviamente sul numero dei lavoratori da impiegare nello stabilimento. Più si produce, più questo numero sale. E viceversa. Si spiega così la distanza dei tremila esuberi. Il governo sa - che aprire agli esuberi significa mettersi contro i sindacati e soprattutto far esplodere un problema di consenso nel Paese. Solo all’ex Ilva Taranto sono occupati 8.700 lavoratori. Allo stesso tempo sa che arrivare a zero esuberi è di fatto impossibile. La trattativa è tutta qui.
Anche l’altra gamba della negoziazione zoppica. I tecnici delle parti stanno lavorando a un disegno che prevede due società. Una partecipata da Mittal e dallo Stato: avrà in mano l’impianto. La seconda, tutta a carico dello Stato, sarà una newco per il preridotto, la tecnologia pulita che si vuole far diventare il nuovo protocollo non solo per Taranto, ma per l’intera filiera dell’acciaio in Italia. Prendiamo la prima: il governo è pronto a far entrare lo Stato con Invitalia, la holding per lo sviluppo, e un consorzio di banche. Mancano però i soldi. Mittal non ha ancora risposto alla richiesta dell’esecutivo di pagare i creditori (il Tesoro e le banche). Quando i franco-indiani hanno vinto la gara per aggiudicarsi lo stabilimento, si sono impegnati a pagare 1,8 miliardi ai creditori. Il governo vuole usare quei soldi per far entrare lo Stato. A meno che non si decida di usare risorse pubbliche, a questa strada sarebbe di fatto un salto nel buio anche perché Mittal avrà la maggioranza della società.
Ci sono anche i soldi che arriveranno da Bruxelles, ma le stesse fonti spiegano che i tempi non sono in linea con l’urgenza del dossier. Rischiano cioè di arrivare troppo tardi e di non bastare. E comunque la seconda gamba non ha senso se prima non si mette in stabilità la prima. “Oggi l’unica certezza è che il 31 gennaio si potrà al massimo rinnovare l’impegno a proseguire la trattativa e fare qualche avanzamento sulla produzione”, spiega la fonte.