Nella memoria di 86 pagine depositata ieri sera presso il tribunale di
Milano, durissima controreplica dei legali della struttura commissariale
Mentre vanno avanti le negoziazioni tra il Governo e il gruppo ArcelorMittal per raggiungere un’intesa, entro il 31 gennaio, su un nuovo piano industriale per rilanciare il polo siderurgico, dopo il pre-accordo siglato a fine dicembre in Tribunale a Milano, l’iter giudiziario segue il suo corso.
Mentre vanno avanti le negoziazioni tra il Governo e il gruppo ArcelorMittal per raggiungere un’intesa, entro il 31 gennaio, su un nuovo piano industriale per rilanciare il polo siderurgico, dopo il pre-accordo siglato a fine dicembre in Tribunale a Milano, l’iter giudiziario segue il suo corso.
I legali dei commissari straordinari dell’ex Ilva hanno depositato ieri sera, alla scadenza del termine fissato dal giudice Claudio Marangoni, una memoria di 86 pagine per rispondere a quella presentata lo scorso 16 dicembre
da ArcelorMittal, nel procedimento sul ricorso cautelare e d’urgenza
dei commissari contro l’atto di recesso dal contratto d’affitto dei rami
d’azienda del gruppo ex Ilva. ArcelorMittal ha tempo fino a fine mese per il deposito di ulteriori controrepliche.
Nella memoria i legali dei commissari, gli avvocati Giorgio De Nova, Enrico Castellani e Marco Annoni, in realtà riprendono nel dettaglio tutta una serie di argomenti e punti già affrontati nel ricorso cautelare contro il recesso dal contratto e rispondono, però, duramente anche all’ultima memoria di Mittal (che potrà replicare ancora entro fine mese).
(leggi l’articolo https://www.corriereditaranto.it/2019/12/17/ex-ilva-arcelormittal-deposita-memoria-a-milano/)
ArcelorMittal, scrivono gli avvocati nella loro memoria riportata da tutte le agenzie di stampa questa mattina, “non ha portato avanti la realizzazione del Piano Ambientale nei tempi e con gli investimenti programmati, né ha eseguito il programma di manutenzione concordato nell’ambito del Contratto in modo coerente alle migliori pratiche di esercizio“. In più, “non ha operato gli impianti secondo le dovute cautele funzionali a preservarne efficienza e longevità: anziché utilizzare tutti gli altiforni in via continuativa, da molti mesi essa li utilizza infatti a turno, mantenendone normalmente in operatività non più di due contemporaneamente“.
Inoltre, prosegue la mermora, con il provvedimento del Tribunale del Riesame di Taranto che lo scorso 7 gennaio ha accolto di fatto l’istanza di proroga dell’uso dell’altoforno 2 “proposto da Ilva e concesso i termini richiesti per la realizzazione dell’unica prescrizione mancante (…) è così venuto meno, già in fatto, il presupposto di gran parte delle argomentazioni avversarie“.
Inoltre, “ArcelorMittal non ha in alcun modo neppure considerato di estendere ad Afo 1 e Afo 4 le misure di sicurezza organizzative che le concedenti hanno gia’ da tempo implementato su Afo 2 e che hanno ridotto il rischio incidente a un livello di ‘6 eventi in mille anni’, secondo la piu’ pessimistica previsione’. Così come ArcelorMittal non ha operato gli impianti secondo le dovute cautele funzionali a preservarne efficienza e longevita’: anziche’ utilizzare tutti gli altiforni in via continuativa, da molti mesi essa li utilizza infatti a turno, mantenendone normalmente in operativita’ non piu’ di due contemporaneamente’. Nel periodo dal ‘primo gennaio 2019 al 14 novembre 2019 l’Afo 2 e’ stato fermato 60 volte’ e ‘la cadenza di soste cosi’ imposte incide molto negativamente sulla durata, efficienza e sicurezza degli altiforni”. Per i commissari, “anche l’incidente mortale del 10 luglio 2019 sul molo 4 del porto di Taranto, al di la’ dell’evento atmosferico scatenante, risulta ascrivibile a gravi carenze organizzative di sicurezza’ di ArcelorMittal“.
Il tono della memoria è tutt’altro che conciliante. “Le conseguenze economiche attivate dall’inadempimento di ArcelorMittal, il fallimento del progetto di preservazione e rilancio dei Rami d’azienda, porterebbero ad un impatto economico pari ad una riduzione del Pil di 3,5 miliardi di euro, pari allo 0,2% del Pil italiano e allo 0,7% del Pil del Mezzogiorno“.
“L’illegittima iniziativa di controparte è oggi suscettibile di frustrare definitivamente tutto ciò e renderlo del tutto inutile: ove fosse infatti consentito a controparte di ritirarsi illegittimamente dalla operazione calpestando gli accordi stipulati e gli obblighi assunti, il danno sarebbe incalcolabile e concretamente irreparabile in ragione sia della sua dimensione, e natura, che delle sue caratteristiche, con pregiudizi diffusi a carico dell’intero tessuto socioeconomico delle aree interessate” si legge ancora. E l’ex Ilva in amministrazione straordinaria “non ha né la struttura, né i mezzi per reagire all’inadempimento di Mittal per mitigarne i danni“.
Per i legali dei commissari straordinari inoltre “la tesi di ArcelorMittal di un’esatta esecuzione del contratto di affitto degli stabilimenti di Taranto è del tutto mistificatoria e porta ad evidenziare come il gruppo non abbia mai regolarmente adempiuto al contratto e il livello del proprio inadempimento si sia gradualmente accresciuto man mano che la controparte comprendeva la propria inabilità a gestire in modo economicamente efficace i rami d’azienda presi in carico“.
“Poco importa – si legge nella memoria firmata dagli avvocati Giorgio De Nova, Enrico Castellani e Marco Annoni – se tale comportamento sia frutto di ripensamenti emersi a seguito di una nuova e diversa valutazione di difficoltà ed aspetti critici sottovalutati o di un ulteriore peggioramento congiunturale del mercato europeo dell’acciaio, o se costituisca invece la semplice messa in essere del preteso, opaco, disegno anticoncorrenziale del cui rischio, sin dall’inizio, non pochi avevano avvertito“. Quel che rileva “è che ArcelorMittal tenta oggi di calpestare bellamente gli impegni presi e gli assetti di interessi concordati, con conseguenze devastanti non solo per il destino della propria controparte contrattuale (e del relativo ceto creditorio), ma anche, e soprattutto, sulla situazione economico sociale e sulle prospettive di sviluppo di intere aree del Paese già certamente non agiate“.
Per gli avvocati “ciò che ben ne emerge è che a preoccupare controparte non è la indisponibilità per il futuro di uno scudo penale (della cui permanenza non si era nel passato mai veramente preoccupata), bensì la riscontrata propria incapacità di sapere efficacemente gestire i rami d’azienda (ed in particolare quello tarantino) nel quadro di un mercato europeo dell’acciaio peggiore di quanto avesse preventivato“.
“Neppure oggi ArcelorMittal è regolarmente adempiente ai propri obblighi contrattuali e la gestione dei Rami d’Azienda sta continuando ad avvenire su una base nettamente depressa ed insufficiente rispetto alla capacità produttiva. In più, la consistenza del magazzino anziché essere orientata all’approvvigionamento è fortemente sbilanciata sul prodotto finito. Con la controparte che si rifiuta ostinatamente di consentire verifiche e sopralluoghi a controllare la effettiva situazione e la correttezza della ben laconica, e generica, informazione trasmessa circa la produzione giornaliera di acciaio grezzo“, scrivono i legali. La conferma “è di poche ore fa con la messa in cassa integrazione di 250 lavoratori dell’ Altoforno 1 per lo scarso approvvigionamento di materie prime“. Secondo quanto si legge nel ricorso, “la giacenza di materie prime al 20 novembre 2019 era tale da garantire (…) una autonomia di circa 6 giorni“.
Per avvalorare la tesi secondo la quale il disimpegno ha natura economica e industriale, nella memoria si ricorda che “nel primo anno di conduzione in affitto dei Rami d’Azienda controparte – stando al risultato di consuntivo dalla stessa predisposto – ha realizzato un risultato economico ben peggiore di quello ottenuto dalla procedura commissariale. Si tratta non certo di un gran bel risultato per il primo gruppo siderurgico mondiale che aveva affrontato la gara con la orgogliosa sicurezza di chi riteneva di aver tutte le carte in mano per risolvere la situazione di crisi, ed aveva formulato una offerta economica che sotto il profilo economico superava quella del proprio concorrente del 50% (Euro 1,8 miliardi di prezzo, a fronte di un corrispettivo di Euro 1,2 miliardi offerto dalla cordata AcciaItalia)“.
Inoltre, si ricorda che “in ogni sede mediatica (al di fuori quindi dei comunicati legali), come e’ noto, ArcelorMittal non ha certo parlato di difficolta’ conseguenti alla uscita di scena del c.d. Scudo Penale: ha invece invocato la necessita’ di drammatiche riduzioni dei dipendenti, e la necessita’ di investimenti pubblici (o comunque da parte di terzi) a supporto di ipotesi di riconversione del processo industriale: in altri termini ha fatto riferimento alla necessita’ di una vera e propria socializzazione di quei costi di ristrutturazione e di quelle perdite operative che secondo le intese contrattuali all’epoca raggiunte dovrebbero invece – evidentemente – gravare esclusivamente su ArcelorMittal stessa“.
In altri termini, per i commissari, ArcelorMittal “ha insomma portato avanti le consuete logiche ex post di un certo tipo di capitalismo d’assalto secondo le quali se a valle dell’affare concordato si guadagna, allora guadagno io, mentre, se invece si perde, allora perdiamo insieme“. In questo quadro, “non e’ inutile ricordare – proprio per evidenziare la siderale distanza tra l’approccio odierno di controparte e gli accordi stipulati inter partes – che ArcelorMittal cerca oggi di imporre surrettiziamente una riduzione del personale di circa 5.000 unita’ (e quindi di dimezzare l’occupazione portandola da 10.700 dipendenti a soltanto 5.700 dipendenti)“.
Nella giornata di ieri anche la procura di Milano, parte in causa nel processo, aveva depositato una memoria per non essere estromessa dal procedimento – come chiesto invece dal gruppo franco indiano – sostenendo la presenza di “interessi pubblici coinvolti sotto il profilo dell’ambiente, dell’occupazione, degli impianti strategici per l’economia nazionale”.
A supporto di tale tesi, i legali dei commissari nella loro memoria scrivono che “gli atti depositati dalla procura di Milano nel procedimento civile tra commissari Ilva e ArcelorMittal sono utilizzabili e hanno anzi una valenza ‘privilegiata’. Con specifico riferimento ai documenti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari, l’orientamento pacifico della giurisprudenza di legittimita’ e di merito e’ nel senso della loro ammissibilità ed utilizzabilità nel giudizio civile“, si legge nella memoria, nella quale si sottolinea che “trattandosi di dichiarazioni (sottoscritte dagli autori stessi) rese a pubblici ufficiali (e da questi verbalizzate) e pertanto dotate di valenza probatoria addirittura privilegiata. Si tratta quindi di elementi che ne confermano la pacifica utilizzabilità“.
(leggi l’articolo https://www.corriereditaranto.it/2020/01/20/ex-ilva-pm-milano-ad-arcelormittal-sfugge-concetto-interesse-pubblico/)
Nella memoria i legali dei commissari, gli avvocati Giorgio De Nova, Enrico Castellani e Marco Annoni, in realtà riprendono nel dettaglio tutta una serie di argomenti e punti già affrontati nel ricorso cautelare contro il recesso dal contratto e rispondono, però, duramente anche all’ultima memoria di Mittal (che potrà replicare ancora entro fine mese).
(leggi l’articolo https://www.corriereditaranto.it/2019/12/17/ex-ilva-arcelormittal-deposita-memoria-a-milano/)
ArcelorMittal, scrivono gli avvocati nella loro memoria riportata da tutte le agenzie di stampa questa mattina, “non ha portato avanti la realizzazione del Piano Ambientale nei tempi e con gli investimenti programmati, né ha eseguito il programma di manutenzione concordato nell’ambito del Contratto in modo coerente alle migliori pratiche di esercizio“. In più, “non ha operato gli impianti secondo le dovute cautele funzionali a preservarne efficienza e longevità: anziché utilizzare tutti gli altiforni in via continuativa, da molti mesi essa li utilizza infatti a turno, mantenendone normalmente in operatività non più di due contemporaneamente“.
Inoltre, prosegue la mermora, con il provvedimento del Tribunale del Riesame di Taranto che lo scorso 7 gennaio ha accolto di fatto l’istanza di proroga dell’uso dell’altoforno 2 “proposto da Ilva e concesso i termini richiesti per la realizzazione dell’unica prescrizione mancante (…) è così venuto meno, già in fatto, il presupposto di gran parte delle argomentazioni avversarie“.
Inoltre, “ArcelorMittal non ha in alcun modo neppure considerato di estendere ad Afo 1 e Afo 4 le misure di sicurezza organizzative che le concedenti hanno gia’ da tempo implementato su Afo 2 e che hanno ridotto il rischio incidente a un livello di ‘6 eventi in mille anni’, secondo la piu’ pessimistica previsione’. Così come ArcelorMittal non ha operato gli impianti secondo le dovute cautele funzionali a preservarne efficienza e longevita’: anziche’ utilizzare tutti gli altiforni in via continuativa, da molti mesi essa li utilizza infatti a turno, mantenendone normalmente in operativita’ non piu’ di due contemporaneamente’. Nel periodo dal ‘primo gennaio 2019 al 14 novembre 2019 l’Afo 2 e’ stato fermato 60 volte’ e ‘la cadenza di soste cosi’ imposte incide molto negativamente sulla durata, efficienza e sicurezza degli altiforni”. Per i commissari, “anche l’incidente mortale del 10 luglio 2019 sul molo 4 del porto di Taranto, al di la’ dell’evento atmosferico scatenante, risulta ascrivibile a gravi carenze organizzative di sicurezza’ di ArcelorMittal“.
Il tono della memoria è tutt’altro che conciliante. “Le conseguenze economiche attivate dall’inadempimento di ArcelorMittal, il fallimento del progetto di preservazione e rilancio dei Rami d’azienda, porterebbero ad un impatto economico pari ad una riduzione del Pil di 3,5 miliardi di euro, pari allo 0,2% del Pil italiano e allo 0,7% del Pil del Mezzogiorno“.
“L’illegittima iniziativa di controparte è oggi suscettibile di frustrare definitivamente tutto ciò e renderlo del tutto inutile: ove fosse infatti consentito a controparte di ritirarsi illegittimamente dalla operazione calpestando gli accordi stipulati e gli obblighi assunti, il danno sarebbe incalcolabile e concretamente irreparabile in ragione sia della sua dimensione, e natura, che delle sue caratteristiche, con pregiudizi diffusi a carico dell’intero tessuto socioeconomico delle aree interessate” si legge ancora. E l’ex Ilva in amministrazione straordinaria “non ha né la struttura, né i mezzi per reagire all’inadempimento di Mittal per mitigarne i danni“.
Per i legali dei commissari straordinari inoltre “la tesi di ArcelorMittal di un’esatta esecuzione del contratto di affitto degli stabilimenti di Taranto è del tutto mistificatoria e porta ad evidenziare come il gruppo non abbia mai regolarmente adempiuto al contratto e il livello del proprio inadempimento si sia gradualmente accresciuto man mano che la controparte comprendeva la propria inabilità a gestire in modo economicamente efficace i rami d’azienda presi in carico“.
“Poco importa – si legge nella memoria firmata dagli avvocati Giorgio De Nova, Enrico Castellani e Marco Annoni – se tale comportamento sia frutto di ripensamenti emersi a seguito di una nuova e diversa valutazione di difficoltà ed aspetti critici sottovalutati o di un ulteriore peggioramento congiunturale del mercato europeo dell’acciaio, o se costituisca invece la semplice messa in essere del preteso, opaco, disegno anticoncorrenziale del cui rischio, sin dall’inizio, non pochi avevano avvertito“. Quel che rileva “è che ArcelorMittal tenta oggi di calpestare bellamente gli impegni presi e gli assetti di interessi concordati, con conseguenze devastanti non solo per il destino della propria controparte contrattuale (e del relativo ceto creditorio), ma anche, e soprattutto, sulla situazione economico sociale e sulle prospettive di sviluppo di intere aree del Paese già certamente non agiate“.
Per gli avvocati “ciò che ben ne emerge è che a preoccupare controparte non è la indisponibilità per il futuro di uno scudo penale (della cui permanenza non si era nel passato mai veramente preoccupata), bensì la riscontrata propria incapacità di sapere efficacemente gestire i rami d’azienda (ed in particolare quello tarantino) nel quadro di un mercato europeo dell’acciaio peggiore di quanto avesse preventivato“.
“Neppure oggi ArcelorMittal è regolarmente adempiente ai propri obblighi contrattuali e la gestione dei Rami d’Azienda sta continuando ad avvenire su una base nettamente depressa ed insufficiente rispetto alla capacità produttiva. In più, la consistenza del magazzino anziché essere orientata all’approvvigionamento è fortemente sbilanciata sul prodotto finito. Con la controparte che si rifiuta ostinatamente di consentire verifiche e sopralluoghi a controllare la effettiva situazione e la correttezza della ben laconica, e generica, informazione trasmessa circa la produzione giornaliera di acciaio grezzo“, scrivono i legali. La conferma “è di poche ore fa con la messa in cassa integrazione di 250 lavoratori dell’ Altoforno 1 per lo scarso approvvigionamento di materie prime“. Secondo quanto si legge nel ricorso, “la giacenza di materie prime al 20 novembre 2019 era tale da garantire (…) una autonomia di circa 6 giorni“.
Per avvalorare la tesi secondo la quale il disimpegno ha natura economica e industriale, nella memoria si ricorda che “nel primo anno di conduzione in affitto dei Rami d’Azienda controparte – stando al risultato di consuntivo dalla stessa predisposto – ha realizzato un risultato economico ben peggiore di quello ottenuto dalla procedura commissariale. Si tratta non certo di un gran bel risultato per il primo gruppo siderurgico mondiale che aveva affrontato la gara con la orgogliosa sicurezza di chi riteneva di aver tutte le carte in mano per risolvere la situazione di crisi, ed aveva formulato una offerta economica che sotto il profilo economico superava quella del proprio concorrente del 50% (Euro 1,8 miliardi di prezzo, a fronte di un corrispettivo di Euro 1,2 miliardi offerto dalla cordata AcciaItalia)“.
Inoltre, si ricorda che “in ogni sede mediatica (al di fuori quindi dei comunicati legali), come e’ noto, ArcelorMittal non ha certo parlato di difficolta’ conseguenti alla uscita di scena del c.d. Scudo Penale: ha invece invocato la necessita’ di drammatiche riduzioni dei dipendenti, e la necessita’ di investimenti pubblici (o comunque da parte di terzi) a supporto di ipotesi di riconversione del processo industriale: in altri termini ha fatto riferimento alla necessita’ di una vera e propria socializzazione di quei costi di ristrutturazione e di quelle perdite operative che secondo le intese contrattuali all’epoca raggiunte dovrebbero invece – evidentemente – gravare esclusivamente su ArcelorMittal stessa“.
In altri termini, per i commissari, ArcelorMittal “ha insomma portato avanti le consuete logiche ex post di un certo tipo di capitalismo d’assalto secondo le quali se a valle dell’affare concordato si guadagna, allora guadagno io, mentre, se invece si perde, allora perdiamo insieme“. In questo quadro, “non e’ inutile ricordare – proprio per evidenziare la siderale distanza tra l’approccio odierno di controparte e gli accordi stipulati inter partes – che ArcelorMittal cerca oggi di imporre surrettiziamente una riduzione del personale di circa 5.000 unita’ (e quindi di dimezzare l’occupazione portandola da 10.700 dipendenti a soltanto 5.700 dipendenti)“.
Nella giornata di ieri anche la procura di Milano, parte in causa nel processo, aveva depositato una memoria per non essere estromessa dal procedimento – come chiesto invece dal gruppo franco indiano – sostenendo la presenza di “interessi pubblici coinvolti sotto il profilo dell’ambiente, dell’occupazione, degli impianti strategici per l’economia nazionale”.
A supporto di tale tesi, i legali dei commissari nella loro memoria scrivono che “gli atti depositati dalla procura di Milano nel procedimento civile tra commissari Ilva e ArcelorMittal sono utilizzabili e hanno anzi una valenza ‘privilegiata’. Con specifico riferimento ai documenti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari, l’orientamento pacifico della giurisprudenza di legittimita’ e di merito e’ nel senso della loro ammissibilità ed utilizzabilità nel giudizio civile“, si legge nella memoria, nella quale si sottolinea che “trattandosi di dichiarazioni (sottoscritte dagli autori stessi) rese a pubblici ufficiali (e da questi verbalizzate) e pertanto dotate di valenza probatoria addirittura privilegiata. Si tratta quindi di elementi che ne confermano la pacifica utilizzabilità“.
(leggi l’articolo https://www.corriereditaranto.it/2020/01/20/ex-ilva-pm-milano-ad-arcelormittal-sfugge-concetto-interesse-pubblico/)
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