martedì 28 gennaio 2020
INFO sullo stato della questione governo/ArcelorMIttal/Piano industriale, occupazionale, ecc.
L’obiettivo, fin troppo ambizioso, è provare a raggiungere un’intesa di massima con ArcelorMittal entro il 31 gennaio. Il termine non è perentorio, ma ha un significato fin troppo chiaro: evitare di chiedere il prossimo 7 febbraio un nuovo rinvio nella causa civile in corso al tribunale di Milano. Il perché è presto detto: un ulteriore proroga, sarebbe la terza dallo scorso novembre, farebbe perdere al ricorso ex art. 700 presentato dai legali dei commissari straordinari di Ilva in Amministrazione
Straordinaria, quel carattere di urgenza con il quale fu presentato e appoggiato dal governo per evitare l’immediato addio della multinazionale. Tutt’altro che una ‘causa del secolo‘ come la definì a novembre il premier Conte.
Per fare il punto della situazione, la scorsa notte il premier Conte ha convocato a Palazzo Chigi un
incontro a margine del Consiglio dei Ministri. Presenti i titolari dei dicasteri del Mef Gualtieri, dello Sviluppo economico Patuanelli e del Sud Provenzano, oltre al consulente del governo Caio.
Sul tavolo tutti i nodi principali ancora irrisolti di una trattativa tutt’altro che in discesa. La sintesi delle due proposte di piano industriale a cui si sta lavorando, è infatti molto lontana. Il governo, a detta dello stesso Conte, sta lavorando “per un piano ambizioso che porterà ad una transizione energetica importante. Ci crediamo e stiamo lavorando tutti i giorni per questo”.
Il governo punta infatti a trasformare il ciclo integrale dell’ex Ilva di Taranto in un ciclo ibrido, con l’innesto di due forni elettrici a supporto di due altoforni (Afo 4 e Afo 5 dopo i lavori di revamping). Una tecnologia che ArcelorMittal non possiede: non è un caso che la multinazionale vorrebbe proseguire con l’attuale ciclo integrale. Ciclo ibrido che dovrebbe ottenere, per essere sostenibile economicamente, un prezzo del gas e dell’energia altamente più basso di quello attuale.
A farsi carico dell’acquisto dei forni elettrici (il cui costo singolo oscilla tra i 200 e i 250 milioni di euro) e dell’impianto che produrrebbe il preridotto di ferro (che da solo costrerebbe 950 milioni di euro), materiale con cui alimentarli, dovrebbe essere lo Stato, attraverso l’ingresso di Invitalia nel capitale sociale di AM InvestCO Italy spa, la società con cui ArcelorMittal controlla i rami d’azienda dell’ex Ilva. Con quale percentuale dovrebbe avvenire questo ingresso e con quali modalità non è ancora chiaro, visto che Conte ha dichiarato che “non sarà una nazionalizzazione perchè non hanno mai funzionato”, mentre Gualtieri ha confermato che “la maggioranza resterà al privato”.
Stante anche il fatto che il governo vorrebbe far entrare nel capitale sociale anche le banche che attendono la restituzione dei prestiti con cui hanno supportato l’amministrazione straordinaria in passato Crediti che saranno restituiti destinando le risorse derivanti dal prezzo di acquisto finale di ArcelorMittal, pari a 1,8 miliardi di euro, sul quale la multinazionale ha chiesto anche uno sconto. Senza dimenticare i 400 milioni di euro avanzati anni addietro dallo Stato e i 330 milioni di euro prestati da Cassa Depositi e Prestiti.
Immaginare una società con un 60% di quote in dote ad ArcelorMittal e un restante 40% diviso tra Invitalia e banche appare francamente un puzzle difficilmente gestibile nel tempo. Ma è di questo che stiamo parlando.
Altro nodo principale, il più importante dal punto di vista umano e sociale, quello degli esuberi. Il nuovo piano industriale della multinazionale ne prevede 5mila. Con la possibilità di scendere ad un massimo di 3mila. Esuberi tra l’altro strutturali e non contingentati al momento di crisi dell’azienda. Il piano del governo ne prevede un massimo di 1.500, da riassorbire entro il 2023. Senza contare gli oltre 1.600 che sono attualmente in cig nel perimetro di Ilva in AS e che secondo l’accordo sindacale del settembre 2018 avrebbero dovuto ricevere un’offerta di lavoro da parte di ArcelorMittal entro il 2025. Anche qualora governo e azienda trovassero un accordo sugli esuberi (che per essere accettati dovrebbero essere temporanei e non strutturali), al momento appare pressoché certo che i sindacati faranno muro ad oltranza.
Terza ed ultima questione, non meno importante, il ripristino delle tutele legali. Tema sul quale si continua a straparlare.
Difficile, se non impossibile, dunque ipotizzare che nel giro di una settimana si possa trovare un’intesa anche se di massima su punti così delicati, che prevedono di fatto un nuovo piano industriale e un’implementazione di quello ambientale. Che tra l’altro dovrebbe essere sottoposto ad una nuova valutazione di impatto sanitario, visto che quella in corso è su un Piano Ambientale diverso da quello a cui sta lavorando il governo.
Esecutivo che si spera riesca a far ripartire i lavori del CIS, a prescindere dagli eventuali nuovi interventi per il territorio da inserire nel decreto ‘Cantiere Taranto‘. Perché per immaginare un futuro diverso, serve logica, oltre che competenza. Cose che al momento non sembrano molto presenti in chi sta gestendo questa fase.
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