mercoledì 31 luglio 2013

Arsenale ovvero fabbrica di Stato con gerarchie militari-assassini di stato su cui non si dice abbastanza - in particolare tacciono tutti i sindacalisti interni ed esterni di questi anni

La lettera «riservatissima» della Marina per nascondere 27 vittime dell'amianto
Già 44 anni fa i vertici della Marina Militare conoscevano i pericoli legati all’uso dell’amianto e i rischi che correvano i dipendenti dell’Arsenale militare di Taranto. Risale al 1969, infatti, il primo screening sanitario, effettuato su 269 arsenalotti dagli studiosi della cattedra di medicina del lavoro di Bari, da cui risultò che il 10% degli esaminati era già affetto dalla malattia (mesotelioma o asbestosi) e un altro 16% presentava sintomi sospetti. La risposta della direzione lavori generali dell’Arsenale fu questa: «E’ in corso, in collaborazione con la sala medica, azione intesa ad allontanare dal posto di lavoro gli elementi più colpiti, ma tale azione dovrà essere opportunamente differita nel tempo per evitare allarmi eccessivi ed ingiustificati». La raccomandazione è contenuta in una lettera datata 14 febbraio 1970 classificata come «riservatissima», finita nel carteggio di un processo in corso a Padova per alcuni militari morti di mesotelioma pleurico. L’eccezionale documento è stato pubblicato ieri dal quotidiano «Rinascita».

La lettera
L’inchiesta del giornale romano che rende pubblici altri documenti riservati di quell’epoca, sempre relativi al pericolo amianto nell’arsenale tarantino, mette in luce le scarse misure adottate dagli allora vertici della Marina che, a tutti i livelli, furono informati sugli effetti deleteri dell’amianto già 22 anni prima che la micidiale fibra fosse messa al bando. Quindi solo 27 operai già colpiti dalla patologia furono «allontanati» (non si sa con quali procedure, comunque «diluite nel tempo per evitare allarmi ingiustificati»), mentre i 42 casi classificati dallo studio come «probabilmente affetti», continuarono a respirare la polvere mortale. Nessuna misura, invece, per tutti gli altri dipendenti. Un comportamento che diventa ancora più scarno se si pensa che lo screening affidato allora al professore Luigi Ambrosi della Medicina del lavoro, fu fatto «per campione al solo scopo - si legge in un altro documento riservatissimo - di contenere la spesa entro i limiti dei fondi stanziati per l’assistenza sanitaria agli operai». Una omissione della fu consenziente anche la comunità scientifica che aveva forse il dovere di divulgare i rischi di una malattia ancora non nota. «Le confermo il carattere squisitamente scientifico di tali indagini - scriveva l’autore dello studio in una lettera riservata inviata alla direzione dell’Arsenale -, i cui risultati non saranno forniti ad organizzazioni sindacali o politiche». Quello studio dimostrò che le categoria più esposte alle fibre di amianto erano, nell’ordine, il saldatore e il carpentiere in ferro, mentre l’età media di rischio esposizione risultò essere di 28 anni. Nel campione esaminato, però, mancavano i sabbiatori e i coibentatori la cui incidenza ad ammalarsi, si è visto in seguito, è stata la più elevata. Era nelle intenzioni degli autori dello studio, inoltre, sottoporre ad opportuni esami clinici anche elementi che esercitavano mestieri collaterali a quelli più a contatto con la micidiale sostanza. I dati allarmanti raccolti, consigliarono il ricercatore a chiedere ai militari di eseguire un’indagine retrospettiva di tutti i lavoratori impiegati in arsenale dal 1945 in poi. Non è dato sapere l’esito, né se sia stato mai fatto questo ulteriore screening. (CdM)

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