La lettera «riservatissima» della Marina per nascondere 27 vittime dell'amianto
Già 44 anni fa i vertici della Marina Militare conoscevano i pericoli
legati all’uso dell’amianto e i rischi che correvano i dipendenti
dell’Arsenale militare di Taranto. Risale al 1969, infatti, il primo
screening sanitario, effettuato su 269 arsenalotti dagli studiosi della
cattedra di medicina del lavoro di Bari, da cui risultò che il 10% degli
esaminati era già affetto dalla malattia (mesotelioma o asbestosi) e un
altro 16% presentava sintomi sospetti. La risposta della direzione
lavori generali dell’Arsenale fu questa: «E’ in corso, in collaborazione
con la sala medica, azione intesa ad allontanare dal posto di lavoro
gli elementi più colpiti, ma tale azione dovrà essere opportunamente
differita nel tempo per evitare allarmi eccessivi ed ingiustificati».
La raccomandazione è contenuta in una lettera datata 14 febbraio 1970
classificata come «riservatissima», finita nel carteggio di un processo
in corso a Padova per alcuni militari morti di mesotelioma pleurico.
L’eccezionale documento è stato pubblicato ieri dal
quotidiano «Rinascita».
L’inchiesta del giornale romano che rende pubblici altri documenti
riservati di quell’epoca, sempre relativi al pericolo amianto
nell’arsenale tarantino, mette in luce le scarse misure adottate dagli
allora vertici della Marina che, a tutti i livelli, furono informati
sugli effetti deleteri dell’amianto già 22 anni prima che la micidiale
fibra fosse messa al bando. Quindi solo 27 operai già colpiti dalla
patologia furono «allontanati» (non si sa con quali procedure, comunque
«diluite nel tempo per evitare allarmi ingiustificati»), mentre i 42
casi classificati dallo studio come «probabilmente affetti»,
continuarono a respirare la polvere mortale. Nessuna misura, invece, per
tutti gli altri dipendenti. Un comportamento che diventa ancora più
scarno se si pensa che lo screening affidato allora al professore Luigi
Ambrosi della Medicina del lavoro, fu fatto «per campione al solo scopo -
si legge in un altro documento riservatissimo - di contenere la spesa
entro i limiti dei fondi stanziati per l’assistenza sanitaria agli
operai». Una omissione della fu consenziente anche la comunità
scientifica che aveva forse il dovere di divulgare i rischi di una
malattia ancora non nota. «Le confermo il carattere squisitamente
scientifico di tali indagini - scriveva l’autore dello studio in una
lettera riservata inviata alla direzione dell’Arsenale -, i cui
risultati non saranno forniti ad organizzazioni sindacali o politiche».
Quello studio dimostrò che le categoria più esposte alle fibre di
amianto erano, nell’ordine, il saldatore e il carpentiere in ferro,
mentre l’età media di rischio esposizione risultò essere di 28 anni. Nel
campione esaminato, però, mancavano i sabbiatori e i coibentatori la
cui incidenza ad ammalarsi, si è visto in seguito, è stata la più
elevata. Era nelle intenzioni degli autori dello studio, inoltre,
sottoporre ad opportuni esami clinici anche elementi che esercitavano
mestieri collaterali a quelli più a contatto con la micidiale sostanza. I
dati allarmanti raccolti, consigliarono il ricercatore a chiedere ai
militari di eseguire un’indagine retrospettiva di tutti i lavoratori
impiegati in arsenale dal 1945 in poi. Non è dato sapere l’esito, né se
sia stato mai fatto questo ulteriore screening.
(CdM)
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