Redazione di Operai Contro,
gli imbroglioni del governo Letta parlano di ripresa, ma l’unica ripresa è quella dei licenziamenti.
Un vero e proprio dramma sociale potrebbe investire Piombino e affossare l’economia della Val di Cornia, con conseguenze non solo per quella zona – all’estremo sud della provincia di Livorno - ma per l’intera Toscana.
Lo storico stabilimento che produce acciaio da oltre cento anni , rischia infatti seriamente di chiudere i battenti. E di lasciare quindi senza un lavoro circa 4mila persone (se si considera anche l’indotto).
Il cuore dell’economia di un intero territorio sta per smettere di pulsare. E qui, in un centro di appena 35mila abitanti, lo scenario paventato per la città di Taranto diventerebbe certamente realtà: se chiude l’acciaieria, chiude Piombino.
La crisi che ha colpito l’acciaieria di Piombino (un tempo, come l’Ilva, di proprietà dello Stato) già nel 2003, quando ancora era guidata dalla famiglia Lucchini, non è mai cessata.
Anzi, nonostante il piano di ristrutturazione operato dall’allora commissario Enrico Bondi (sempre lui) e l’acquisizione da parte della Severstal, il colosso russo dell’acciaio di proprietà del magnate Aleksej Mordašov, si è perfino acuita.
Lo scorso dicembre il ministero dello Sviluppo Economico ha accolto la richiesta della proprietà e delle banche di essere ammessi all’amministrazione straordinaria. E a Piombino, per tentare di risanare l’azienda è arrivato, nelle vesti di commissario, Piero Nardi (già ad del gruppo Lucchini e direttore generale dell’Ilva). In 7 mesi poco e nulla però si è potuto fare:
Un operaio dell’acciaieria di Piombino
gli imbroglioni del governo Letta parlano di ripresa, ma l’unica ripresa è quella dei licenziamenti.
Un vero e proprio dramma sociale potrebbe investire Piombino e affossare l’economia della Val di Cornia, con conseguenze non solo per quella zona – all’estremo sud della provincia di Livorno - ma per l’intera Toscana.
Lo storico stabilimento che produce acciaio da oltre cento anni , rischia infatti seriamente di chiudere i battenti. E di lasciare quindi senza un lavoro circa 4mila persone (se si considera anche l’indotto).
Il cuore dell’economia di un intero territorio sta per smettere di pulsare. E qui, in un centro di appena 35mila abitanti, lo scenario paventato per la città di Taranto diventerebbe certamente realtà: se chiude l’acciaieria, chiude Piombino.
La crisi che ha colpito l’acciaieria di Piombino (un tempo, come l’Ilva, di proprietà dello Stato) già nel 2003, quando ancora era guidata dalla famiglia Lucchini, non è mai cessata.
Anzi, nonostante il piano di ristrutturazione operato dall’allora commissario Enrico Bondi (sempre lui) e l’acquisizione da parte della Severstal, il colosso russo dell’acciaio di proprietà del magnate Aleksej Mordašov, si è perfino acuita.
Lo scorso dicembre il ministero dello Sviluppo Economico ha accolto la richiesta della proprietà e delle banche di essere ammessi all’amministrazione straordinaria. E a Piombino, per tentare di risanare l’azienda è arrivato, nelle vesti di commissario, Piero Nardi (già ad del gruppo Lucchini e direttore generale dell’Ilva). In 7 mesi poco e nulla però si è potuto fare:
Un operaio dell’acciaieria di Piombino
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