I lavoratori si oppongono alla chiusura degli impianti di Ginosa e Matera. Da ieri scioperi e assemblee
Natuzzi, “salotto” in rivolta
GINOSA
– Uno sciopero al rallenty e a oltranza, e uno effettivo di due ore per
venerdì mattina quando si svolgerà al Ministero dello Sviluppo
Economico un incontro urgente per parlare della vertenza Natuzzi. Questo
è quanto deciso dalle assemblee sindacali che si sono svolte nella
primissima mattinata di ieri, nei differenti stabilimenti produttivi
sparsi tra Puglia e Basilicata, tra le province di Bari, Taranto e
Matera. Una forma di sciopero scelta per non sacrificare gli stipendi. E
per far avvertire maggiormente il disagio all’azienda.
Alle 7 di ieri mattina, i lavoratori si sono riuniti anche nello stabilimento ginosino. Uno dei due che Natuzzi, con la relazione presentata in Confindustria lunedì mattina, ha annunciato di chiudere aggiungendo la volontà di ridimensionare il suo organico con la messa in mobilità di 1726 unità operative. La volontà di quasi dimezzare, la produzione, cancellando i siti di Ginosa e Matera, è stata accolta dai lavoratori con grandissima sofferenza. Fatto sta, che nella giornata di ieri diversi sono stati i momenti di forte agitazione che hanno animato la manifestazione che ha raccolto i lavoratori in assemblea sindacale presso i cancelli del core business natuzziano a Santeramo.
“Mantenere nei ranghi di una mobilitazione ordinaria e calma – ha spiegato l’rsu fillea Cgil, Massimo Vasco – è davvero difficile. Questo è quello che hanno percepito anche i rappresentanti delle forze dell’Ordine presenti alle assemblee. La disperazione è tanta, e le possibilità di futuro davvero quasi irreali”.
Una disperazione che è mossa da 10 anni di altalenanti fasi tra propositi di piani industriali alla presenza di Accordo di programma, da parte dell’azienda, e minacce di nuovi licenziamenti quando l’Accordo stesso tardava ad essere sottoscritto da Governo e Regioni Puglia e Basilicata. Quindi, la notizia dei 1726 possibili licenziamenti parrebbe essere giunta quasi come un fulmine a ciel sereno. Non così, invece per chi segue la vertenza Natuzzi dai suoi albori, oltre 10 anni fa.
Come dimenticare l’annuncio, da parte di Natuzzi, di possibili 1060 licenziamenti solo nel 2011? Il Corriere ne diede puntuale notizia. Seguendo le fasi che hanno portato alla temporanea risoluzione, all’epoca, grazie allo stanziamento di ulteriori – ulteriori – 2 anni di Cassa Integrazione Straordinaria da parte del Governo. “Ma all’epoca, – racconta Vasco, dopo aver cercato di calmare gli animi per un tafferuglio che aveva riscaldato il clima vicino ai cancelli a Santeramo – il problema non fu risolto. Solo rimandato, dal momento che il Governo annunciò in quell’occasione che quelle Cigs sarebbero state l’ultima deroga per la vertenza Natuzzi, e questa replicò dicendo che oltre agli ammortizzatori occorreva intervenire sul costo del lavoro, e ciò congiuntamente alla necessaria sottoscrizione dell’Accordo di Programma”.
L’Accordo, dotato di ben 101 milioni di euro, è stato sottoscritto in marzo di quest’anno e perfezionato poche settimane fa. Ma Natuzzi, è di parola. Vuole, anzi, pretende che s’intervenga sul costo del lavoro, perché così com’è, non ha più alcuna convenienza a mantenere le produzioni in Italia. Come dargli torto se un minuto di lavoro qui costa 91 centesimi e in Romania 20? Sì, va bene, in matematica i conti tornano, soprattutto se a farli è una calcolatrice. Ma, della responsabilità sociale d’azienda? Queste ed altre parole animavano i pensieri dei lavoratori, molti in lacrime, pensando alla difficoltà di immaginare un futuro normale in una terra vocata ad una sicura desertificazione industriale, preda non soltanto delle grandi manifatture che rappresentano, comunque, il meglio del Made in Italy nel mondo, ma soprattutto preda di classi politiche incapaci di disegnare politiche industriali coerenti con le reali capacità e ricchezze del territorio. Tanto incapaci da aver anche dimenticato che la vertenza Natuzzi non esplode certo lunedì in Confindustria con la relazione del Piano di salvaguardia del Polo Italia. Ma anni e anni prima, quando a fronte del vuoto industriale e occupazionale Natuzzi aveva il potere – che ha tutt’ora – di poter alzare il prezzo per restare nel Bel Paese.
Questi sono i ragionamenti che disperano i lavoratori, che sanno che se Natuzzi decide di cancellare la produzione in Italia, per loro non ci sarà possibilità di rioccupazione. Almeno questo è quello che temono. Ma è un fatto il non aver dato la possibilità di far crescere al fianco del Grande, Natuzzi, tutto un sistema satellitare sano di piccole produzioni di alta qualità nel settore del mobile imbottito. Eccezione fatta per quella che Natuzzi stesso definisce “concorrenza sleale” e che spesso si alimenta di dumping, parola inglese che intende la produzione a sottocosto.
Per tutta questa serie di ragioni, la giornata di ieri è stata sofferta e animata da intenti spesso estremi, radicali, a fatica moderati grazie all’intervento dei sindacalisti di tutte le sigle presenti nelle differenti mobilitazioni.
Intanto, il Presidente del Consiglio ginosino, sta predisponendo un consiglio comunale straordinario e urgente aperto ai consigli dei comuni coinvolti dalla vertenza Natuzzi per giovedì pomeriggio.
Alle 7 di ieri mattina, i lavoratori si sono riuniti anche nello stabilimento ginosino. Uno dei due che Natuzzi, con la relazione presentata in Confindustria lunedì mattina, ha annunciato di chiudere aggiungendo la volontà di ridimensionare il suo organico con la messa in mobilità di 1726 unità operative. La volontà di quasi dimezzare, la produzione, cancellando i siti di Ginosa e Matera, è stata accolta dai lavoratori con grandissima sofferenza. Fatto sta, che nella giornata di ieri diversi sono stati i momenti di forte agitazione che hanno animato la manifestazione che ha raccolto i lavoratori in assemblea sindacale presso i cancelli del core business natuzziano a Santeramo.
“Mantenere nei ranghi di una mobilitazione ordinaria e calma – ha spiegato l’rsu fillea Cgil, Massimo Vasco – è davvero difficile. Questo è quello che hanno percepito anche i rappresentanti delle forze dell’Ordine presenti alle assemblee. La disperazione è tanta, e le possibilità di futuro davvero quasi irreali”.
Una disperazione che è mossa da 10 anni di altalenanti fasi tra propositi di piani industriali alla presenza di Accordo di programma, da parte dell’azienda, e minacce di nuovi licenziamenti quando l’Accordo stesso tardava ad essere sottoscritto da Governo e Regioni Puglia e Basilicata. Quindi, la notizia dei 1726 possibili licenziamenti parrebbe essere giunta quasi come un fulmine a ciel sereno. Non così, invece per chi segue la vertenza Natuzzi dai suoi albori, oltre 10 anni fa.
Come dimenticare l’annuncio, da parte di Natuzzi, di possibili 1060 licenziamenti solo nel 2011? Il Corriere ne diede puntuale notizia. Seguendo le fasi che hanno portato alla temporanea risoluzione, all’epoca, grazie allo stanziamento di ulteriori – ulteriori – 2 anni di Cassa Integrazione Straordinaria da parte del Governo. “Ma all’epoca, – racconta Vasco, dopo aver cercato di calmare gli animi per un tafferuglio che aveva riscaldato il clima vicino ai cancelli a Santeramo – il problema non fu risolto. Solo rimandato, dal momento che il Governo annunciò in quell’occasione che quelle Cigs sarebbero state l’ultima deroga per la vertenza Natuzzi, e questa replicò dicendo che oltre agli ammortizzatori occorreva intervenire sul costo del lavoro, e ciò congiuntamente alla necessaria sottoscrizione dell’Accordo di Programma”.
L’Accordo, dotato di ben 101 milioni di euro, è stato sottoscritto in marzo di quest’anno e perfezionato poche settimane fa. Ma Natuzzi, è di parola. Vuole, anzi, pretende che s’intervenga sul costo del lavoro, perché così com’è, non ha più alcuna convenienza a mantenere le produzioni in Italia. Come dargli torto se un minuto di lavoro qui costa 91 centesimi e in Romania 20? Sì, va bene, in matematica i conti tornano, soprattutto se a farli è una calcolatrice. Ma, della responsabilità sociale d’azienda? Queste ed altre parole animavano i pensieri dei lavoratori, molti in lacrime, pensando alla difficoltà di immaginare un futuro normale in una terra vocata ad una sicura desertificazione industriale, preda non soltanto delle grandi manifatture che rappresentano, comunque, il meglio del Made in Italy nel mondo, ma soprattutto preda di classi politiche incapaci di disegnare politiche industriali coerenti con le reali capacità e ricchezze del territorio. Tanto incapaci da aver anche dimenticato che la vertenza Natuzzi non esplode certo lunedì in Confindustria con la relazione del Piano di salvaguardia del Polo Italia. Ma anni e anni prima, quando a fronte del vuoto industriale e occupazionale Natuzzi aveva il potere – che ha tutt’ora – di poter alzare il prezzo per restare nel Bel Paese.
Questi sono i ragionamenti che disperano i lavoratori, che sanno che se Natuzzi decide di cancellare la produzione in Italia, per loro non ci sarà possibilità di rioccupazione. Almeno questo è quello che temono. Ma è un fatto il non aver dato la possibilità di far crescere al fianco del Grande, Natuzzi, tutto un sistema satellitare sano di piccole produzioni di alta qualità nel settore del mobile imbottito. Eccezione fatta per quella che Natuzzi stesso definisce “concorrenza sleale” e che spesso si alimenta di dumping, parola inglese che intende la produzione a sottocosto.
Per tutta questa serie di ragioni, la giornata di ieri è stata sofferta e animata da intenti spesso estremi, radicali, a fatica moderati grazie all’intervento dei sindacalisti di tutte le sigle presenti nelle differenti mobilitazioni.
Intanto, il Presidente del Consiglio ginosino, sta predisponendo un consiglio comunale straordinario e urgente aperto ai consigli dei comuni coinvolti dalla vertenza Natuzzi per giovedì pomeriggio.
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