sabato 13 luglio 2013

repressione contro chi lotta e sostegno al manifesto 'per l'amnistia per le lotte sociali'

Lo slai cobas per il sindacato di classe di taranto ha ricevuto in questi anni e fino all'ultimo mese una montagna di multe e denunce e continua a subire processi per aver lottato per il lavoro con i precari e i disoccupati organizzati, per presidi blocchi del ponte occupazioni di aziende, strade, palazzi comunali, per aver innescato la grande rivolta degli immigrati di manduria - e nel fare questo i lavoratori attivisti e dirigenti dello slai cobas per il sindacato di classe di taranto sono stati quasi sempre soli, perchè gli opportunisti nostrani, si sono guardati bene dal sostenere queste lotte - ma la repressione non  ci ha mai fatto paura e non abbiamo ceduto, anche se paghiamo dei costi per queste lotte.
per questo vediamo positivamente questo manifesto e siamo favorevoli poi che si trasformi in una rete di solidarietà e lotta su scala nazionale
Il 14 settembre ne discuteremo in una assemblea pubblica a taranto che aprirà la lotta e lo scontro anche su questo.

info
slai cobas per il sindacato di classe taranto
slaicobasta@gmail.com


Manifesto per un censimento delle denunce e l’amnistia per le lotte sociali





Negli ultimi mesi, fra alcune realtà sociali, politiche e di movimento, ma
anche singoli compagni e avvocati, è nato un dibattito sulla necessità di
lanciare una campagna politica sull’amnistia sociale e per l’abrogazione del
Codice Rocco. Da tempo l’Osservatorio sulla repressione ha iniziato a
effettuare un censimento sulle denunce penali contro militanti politici e
attivisti di lotte sociali. Ora abbiamo la necessità, per costruire la
campagna, di un quadro quanto più possibile completo, che porterà alla
creazione di un database consultabile on-line. Ad oggi sono state censite 17
mila denunce.

Il nuovo clima di effervescenza sociale degli ultimi anni, che non ha
coinvolto solo i tradizionali settori dell’attivismo politico più radicale
ma anche ampie realtà popolari, ha portato a una pesante rappresaglia
repressiva, come già era accaduto nei precedenti cicli di lotte. Migliaia di
persone che si trovavano a combattere con la mancanza di case, la
disoccupazione, l’assenza di adeguate strutture sanitarie, la decadenza
della scuola, il peggioramento delle condizioni di lavoro, il saccheggio e
la devastazione di interi territori in nome del profitto, sono state
sottoposte a procedimenti penali o colpite da misure di polizia. Così come
sono stati condannati e denunciati militanti politici che hanno partecipato
alle mobilitazioni di Napoli e Genova 2001 e alle manifestazioni del 14
dicembre 2010 e del 15 ottobre 2011 a Roma.

Il conflitto sociale viene ridotto a mera questione di ordine pubblico.
Cittadini e militanti che lottano contro le discariche, le basi militari, le
grandi opere di ferro e di cemento, come terremotati, pastori, disoccupati,
studenti, lavoratori, sindacalisti, occupanti di case, si trovano a fare i
conti con pestaggi, denunce e schedature di massa. Un “dispositivo” di
governo che è stato portato all’estremo con l’occupazione militare della Val
di Susa. Una delle conseguenze di questa gestione dell’ordine pubblico,
applicato non solo alle lotte sociali ma anche ai comportamenti devianti, è
il sovraffollamento delle carceri, additate dalla comunità internazionale
come luoghi di afflizione dove i detenuti vivono privi delle più elementari
garanzie civili e umane. Ad esse si affiancano i CIE, dove sono recluse
persone private della libertà e di ogni diritto solo perché senza lavoro o
permesso di permanenza in quanto migranti, e gli OPG, gli ospedali di
reclusione psichiatrica più volte destinati alla chiusura, che rimangono a
baluardo della volontà istituzionale di esclusione totale e emarginazione
dei soggetti sociali più deboli.

Sempre più spesso dunque i magistrati dalle aule dei tribunali italiani
motivano le loro accuse sulla base della pericolosità sociale dell’individuo
che protesta: un diverso, un disadattato, un ribelle, a cui di volta in
volta si applicano misure giuridiche straordinarie. Accentuando la funzione
repressivo-preventiva (DASPO, domicilio coatto), oppure sospendendo alcuni
principi di garanzia (leggi di emergenza), fino a prevederne l’annientamento
attraverso la negazione di diritti inderogabili. È ciò che alcuni giuristi
denunciano come spostamento, sul piano del diritto penale, da un sistema
giuridico basato sui diritti della persona a un sistema fondato
prevalentemente sulla ragion di Stato.


Non è quindi un caso che dal 2001 a oggi, con l’avanzare della crisi
economica e l’aumento delle lotte, si contano 11 sentenze definitive per i
reati di devastazione e saccheggio, compresa quella per i fatti di Genova
2001, a cui vanno aggiunte 7 persone condannate in primo grado a 6 anni di
reclusione per i fatti accaduti il 15 ottobre 2011 a Roma, mentre per la
stessa manifestazione altre 18 sono ora imputate ed è in corso il processo.

Le lotte sociali hanno sempre marciato su un crinale sottile che anticipa
legalità future urtando quelle presenti. Le organizzazioni della classe
operaia, i movimenti sociali e i gruppi rivoluzionari hanno storicamente
fatto ricorso alle campagne per l’amnistia per tutelare le proprie
battaglie, salvaguardare i propri militanti, le proprie componenti sociali.
Oggi sollevare il problema politico della legittimità delle lotte, anche
nelle loro forme di resistenza, condurre una battaglia per la difesa e l’allargamento
degli spazi di agibilità politica, può contribuire a sviluppare la
solidarietà fra le varie lotte, a costruire la garanzia che possano
riprodursi in futuro. Le amnistie sono un corollario del diritto di
resistenza. Lanciare una campagna per l’amnistia sociale vuole dire
salvaguardare l’azione collettiva e rilanciare una teoria della
trasformazione, dove il conflitto, l’azione dal basso, anche nelle sue forme
di rottura, di opposizione più dura, riveste una valenza positiva quale
forza motrice del cambiamento.

In un’ottica riformatrice le amnistie politiche sono sempre state strumenti
di governo del conflitto, un mezzo per sanare gli attriti tra costituzione
legale e costituzione materiale, tra le fissità e i ritardi della prima e l’instabilità
e il movimento della seconda. Sono servite a ridurre la discordanza di tempi
tra conservazione e cambiamento, incidendo sulle politiche penali e
rappresentando passaggi decisivi nel processo d’aggiornamento della
giuridicità. È stato così per oltre un secolo, ma in Italia le ultime
amnistie politiche risalgono al 1968 e al 1970.

Aprire un percorso di lotta e una vertenza per l’amnistia sociale – che
copra reati, denunce e condanne utilizzati per reprimere lotte sociali,
manifestazioni, battaglie sui territori, scontri di piazza – e per un
indulto che incida anche su altre tipologie di reato, associativi per
esempio, può contribuire a mettere in discussione la legittimità dell’arsenale
emergenziale e fungere da vettore per un percorso verso una amnistia
generale slegata da quegli atteggiamenti compassionevoli e paternalisti che
muovono le campagne delegate agli specialisti dell’assistenzialismo
carcerario, all’associazionismo di settore, agli imprenditori della
politica. Riportando l’attenzione dei movimenti verso l’esercizio di una
critica radicale della società penale che preveda anche l’abolizione dell’ergastolo
e della tortura dell’art. 41 bis.

Chiediamo a tutti e tutte i singoli, le realtà sociali e politiche l’adesione
a questo manifesto, per iniziare un percorso comune per l’avvio della
campagna per l’amnistia sociale.

A coloro che hanno a disposizione dati per il censimento chiediamo inoltre
di compilare la scheda che può essere scaricata dal sito
www.osservatoriorepressione.org Schede e adesioni vanno inviate a:
osservatorio.repressione@hotmail.it oppure amnistiasociale@gmail.com

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