Perdite considerevoli, che si attestano in decine di milioni di euro al mese, come ha rilevato nel recente consiglio generale di Confindustria il presidente nazionale dell’associazione industriali Giorgio Squinzi. L’Ilva arretra e il conto economico peggiora. Anche sul fronte delle commesse infatti il gruppo non riesce ad ingranare la marcia. L’ultima notizia, l’ipotesi di esclusione dalla maxicommessa per la realizzazione dei tubi al consorzio Tap, ha bisogno di conferme che i sindacati jonici hanno chiesto direttamente ai vertici del siderurgico. Voci che si rincorrono sui tempi e sui modi di una ripresa che stenta a decollare. E la mancanza di notizie certe aumenta la fibrillazione anche degli operai del colosso siderurgico: gli addetti dell’indotto sono in crisi da almeno un paio d’anni a causa dei pagamenti a singhiozzo delle retribuzioni.
Gli stipendi. A loro si aggiungono le preoccupazioni dei circa 14mila dipendenti diretti dell’Ilva di Taranto ai quali gli stipendi arrivano puntuali ma che, sempre più spesso, si vedono negare l’accesso al credito anche per piccoli prestiti dalle finanziarie e dalle banche. Segnali di una instabilità che si percepisce attorno all’Ilva sia nel sistema bancario e finanziario sia nella clientela internazionale che preferisce comprare acciaio da un’altra parte. E adesso il pericolo di un nuovo e incombente default deve essere scongiurato, secondo Fim-Fiom e Uilm, direttamente dal ministro Guidi o dai commissari nominati dal governo per gestire la fase di amministrazione straordinaria.
La produzione è in calo, si attesterà nel 2015 attorno ai 5 milioni e mezzo di tonnellate annue. Una cifra che, a detta degli esperti del settore, non basta a riportare in positivo i bilanci dell’Ilva. Azienda che, peraltro, deve fronteggiare spese imponenti per l’adeguamento alle prescrizioni ambientali. Si parla anche di una sperimentazione del preridotto, un semilavorato che eviterebbe il passaggio del minerale nelle cokerie e quindi abbatterebbe le emissioni. L’acquisizione da parte di Ilva, secondo fonti aziendali, starebbe subendo un rallentamento rispetto al programma iniziale proprio per le difficoltà dell’impresa. È noto inoltre che i tubifici sono fermi per assenza di commesse e così anche, da qualche giorno, i Rivestimenti con altri 136 operai che sono passati dal lavoro al contratto di solidarietà, gli ammortizzatori sociali.
E ieri sull’argomento ilva è intervenuto anche il deputato jonico di Conservatori e Riformisti, Gianfranco Chiarelli: «Quanto ho sempre denunciato in fase di discussione dei tanti decreti "salva Ilva", al contrario di quanti hanno accolto con toni trionfalistici tali provvedimenti del governo, si sta puntualmente verificando. Delle risorse che sono state garantite nessuna traccia. Ma anche se a breve questi fondi fossero sbloccati, rappresenterebbero solo una goccia nell'oceano del reale fabbisogno finanziario, necessario per attuare pienamente l'Aia, realizzare le bonifiche e riportare sul mercato l'acciaieria.
Nel frattempo si perdono importanti commesse e si chiudono reparti, ricorrendo sempre più massicciamente agli ammortizzatori sociali. Senza parlare della situazione dell'indotto ridotto alla fame», ha affermato l’onorevole Chiarelli. Per il deputato ha dunque ragione il presidente di Confidustria Squinzi «quando afferma che una delle più grandi acciaierie d'Europa richiede un management di elevata specifica preparazione. È evidente che la gestione commissariale abbia fallito. Il Governo si decida a chiarire cosa intende fare dell' Ilva di Taranto e lo faccia in tempi rapidi» ha concluso Chiarelli.
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