domenica 27 settembre 2015

Storie di braccianti, di schiavitù, sfruttamento. Urge ribellione e lotta!

Finché viene giorno (storia corale di donne braccianti)

In un vicolo bianco di un piccolo paese del Sud, la casa di Carmela. Una tenda all’ingresso del seminterrato, tre scalini e il suo sguardo ad accoglierci nella casa dove aspetta insieme ad altre compagne di lavoro: sono sette braccianti che vogliono testimoniare la loro condizione di precarietà estrema.
 
Sono sedute in cerchio: chi su una sedia, chi sul divano e chi sul bordo esterno del piccolo caminetto, focolare di quella stanza che fa da ingresso, cucina e salotto.

Inizia a parlare Maria, cinquantadue anni, un matrimonio naufragato alle spalle, senza figli. Lavora in campagna da quando era poco più che una bambina, aveva tredici anni. “Per poter andare avanti e sopportare i soprusi subiti ogni giorno in campagna prendo gli antidepressivi. Due gocce quando iniziano a insultarmi e ho di nuovo la forza di sopportare e guadagnarmi da vivere”.

Comincia con lei il racconto corale delle donne. Visi cotti dal sole, rughe come carte geografiche: segnano le coordinate di esistenze provate dalla fatica; il loro sguardo è stanco, sono le nove di sera e tra poche ore la sveglia suonerà alle tre come ogni santa notte. Ma sorridono e hanno voglia di raccontarsi.
“Prima si lavorava meglio, i sindacati erano dalla parte dei braccianti. Bastava una parola ed era sciopero. Altri tempi, c’erano grandi sindacalisti; ci tutelavano e potevamo incrociare le braccia, dire no al padrone e ai caporali. Oggi il sindacato dovrebbe tornare alle origini e non aver timore di farci fare le vertenze. Dei caporali non bisogna aver paura né si può pensare di dialogare con loro. Dovreste vederli quando gridano: più in fretta, più in fretta; mentre ci rompiamo la schiena” continuano nel loro racconto corale le braccianti: “Lavoriamo tutti i giorni, anche la domenica che non è considerata straordinario. Possiamo prendere un giorno di pausa, avvisando il caporale con due settimane di anticipo. Lavoriamo dalle sette ore in poi, senza una pausa per mangiare il panino.”
In molti casi sono loro a mantenere la famiglia: i figli, i loro mariti disoccupati. Sono loro a mostrare una forza capace di sfidare tutto, soprattutto la solitudine.

Possono fare i propri bisogni solo sotto l’albero più vicino. Intimità zero: “Non possiamo allontanarci, altrimenti viene il caporale e si arrabbia perché abbiamo impiegato troppo tempo”. Il tempo in campagna e nelle aziende dove si confezionano i prodotti della terra si è trasformato in un demone. La bilancia su cui le donne pesano il raccolto è sincronizzata: se non viene utilizzata per più di cinque minuti, si spegne. “E se passano cinque minuti arriva la capo squadra a sbattere sul banco di lavoro il cestino con la frutta. Un gesto che brucia”. In campagna come sotto i tendoni “non possiamo portare più di una bottiglietta d’acqua. E’ vietato e non sono ammesse eccezioni, non si può discutere”, il sole è alto e anche nei magazzini di confezionamento la temperatura è elevata, insopportabile.

A comandare le braccianti (il lavoro al femminile è più richiesto perché, ricordano le donne: “Costiamo meno”) non ci sono solo i caporali, ma anche le “vice-caporali”. Sono donne, a detta delle braccianti, capaci in poco tempo di “far carriera con successo”. Le lavoratrici sono sotto il loro controllo e non c’è ombra di solidarietà femminile. La solidarietà è quasi impossibile anche fra braccianti: “Non possiamo aiutare le ultime arrivate. Il caporale non vuole. Chi è veloce e sveglia e impara subito il lavoro va avanti, altrimenti viene sostituita dal giorno dopo”.
Il salario è di 5.60 euro netti all’ora, “ma quasi la metà la trattiene il caporale. Così loro possono comprarsi il fuori strada, mentre noi non riusciamo ad arrivare a fine mese. Non sempre riusciamo a pagare tutte le bollette.”

Cercano di aiutarsi tra loro le donne della terra, con il peso del sacrificio sulle spalle, con le parole di questo racconto corale.
“Ora si raccoglie l’uva, quindi c’è lavoro per tutti – conclude Carmela – ma tornate d’inverno quando da raccogliere ci sono solo le arance, fa freddo, c’è il ghiaccio, e rischiamo di scivolare e romperci una gamba per 27 euro lordi al giorno”.
Un sorriso amaro sui loro volti, mentre ricordano che è tardi, che devono tornare a casa, preparare la cena e andare a dormire “perché tra un pò è già giorno”.
(da Emanuela Carucci)

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