"Getto pericoloso di cose e gestione non autorizzata dei rifiuti. Sono le ipotesi di reato contestate dalla procura di Taranto nei confronti dell’ex commissario straordinario Ilva Enrico Bondi e del suo successore Piero Gnudi
che attualmente ricopre la carica di amministratore straordinario. Nei
giorni scorsi il tribunale di Taranto ha concesso agli inquirenti una proroga all’indagine nella quale figurano anche l’ex direttore di stabilimento di Taranto Antonio Lupoli e il suo successore e attuale direttore della fabbrica ionica, Ruggiero Cola. Il nuovo fascicolo di indagine riguarderebbe la gestione dei rifiuti all’interno della discarica Mater Gratiae dell’Ilva, la stessa autorizzata dal Governo nell’agosto 2013.
Enrico Bondi è rimasto ai vertici del siderurgico esattamente per 12 mesi dal 4 giugno 2013 al 3 giugno 2014 per poi fare posto a Pietro Gnudi, voluto dal premier Matteo Renzi che ordinò un “cambio di passo”.
Il pool guidato dal procuratore Franco Sebastio ha indagato anche Pietro Gnudi nonostante l’immunità penale
concessa dal Governo Renzi al commissario straordinario e ai suoi
incaricati nell’attuazione del piano ambientale previsto
dall’Autorizzazione integrata ambientale del marzo 2014.
Un articolo dell’ultimo decreto salva Ilva, infatti, prevede che “le
condotte poste in essere in attuazione del Piano di cui al periodo
precedente non possono dare luogo a responsabilità penale o
amministrativa del commissario straordinario e dei soggetti da questo
funzionalmente delegati, in quanto costituiscono adempimento delle
migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute
e dell’incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro”.
La questione delle discariche dell’Ilva, quindi, è tutt’altro che chiusa. Nel maggio 2013 a pagarne le spese fu Gianni Florido,
ex presidente della provincia di Taranto accusato (e rinviato
recentemente a giudizio) di aver fatto pressioni sui dirigenti
dell’amministrazione perché concedessero l’autorizzazione all’Ilva per
smaltire i rifiuti di produzione nelle discariche interne risparmiando
milioni di euro. Un’autorizzazione che, però, non è mai arrivata fino a
quando non è stato il governo a dare l’ok per l’utilizzo dei siti.
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