Alcune considerazioni.
1. Nella premessa al Protocollo si scrive: "...coniugare la prosecuzione delle attività produttive con la garanzia di condizioni di salubrità e sicurezza degli ambienti di lavoro e delle modalità lavorative. Nell’ambito di tale obiettivo, si può prevedere anche la riduzione o la sospensione temporanea delle attività..."
La logica del protocollo è all'insegna della conciliazione delle misure di tutela per la salute dei lavoratori con la continuazione della produzione e dei profitti delle aziende, che da queste misure devono avere il minor danno possibile. Una "conciliazione" impossibile, "fuori natura" - perchè gli interessi al profitto e al taglio dei costi "inutili" (in primis quelli della sicurezza/salute) per i padroni e l'interesse di classe dei lavoratori di difesa della salute, del lavoro, sono opposti; una conciliazione che, come si sta vedendo in questi giorni, in generale non viene neanche praticata, se non quella minima necessaria a continuare comunque la produzione.
Tant'è che nel Protocollo su questo si rovesciano le questioni, "la riduzione o la sospensione temporanea delle attività" vengono poste come secondarie e non come prioritarie alla tutela della salute.
2. Le disposizioni che si chiedono alle aziende sono richieste con i "guanti gialli", mentre verso i lavoratori hanno il segno dell'"obbligo".
Il protocollo per le aziende si limita a riprende le misure già adottate dal governo con il DPCM 11.3.20 e le pone più come "raccomandazioni" che come obbligo; ma il protocollo fa anche di
peggio: il secondo capoverso di fatto è un incentivo ai padroni a mettere i lavoratori in ferie forzate, proprio quello che in tantissimi posti di lavoro i lavoratori stanno respingendo: "...siano incentivate le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti nonché gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva".
Le ulteriori "raccomandazioni" alle aziende da parte dei sindacati firmatari del protocollo sono oscene oltre che ridicole, e si limitano a chiedere che l’azienda "...informa tutti i lavoratori e chiunque entri in azienda circa le disposizioni delle Autorità, consegnando e/o affiggendo all’ingresso e nei luoghi maggiormente visibili dei locali aziendali, appositi depliants informativi"
3. Viceversa per i lavoratori le misure diventano "obblighi", alcuni dei quali, assurdi se addebitati alla volontà dei lavoratori, perchè per il loro rispetto o violazione non hanno certo responsabilità i lavoratori ma solo le aziende - vedi l'obbligo di "rispettare le distanze di sicurezza":
Dal Protocollo: "...obbligo di rimanere al proprio domicilio in presenza di febbre (oltre 37.5°) o altri sintomi influenzali e di chiamare il proprio medico di famiglia e l’autorità sanitaria..."; "...non poter fare ingresso o poter permanere in azienda e di doverlo dichiarare tempestivamente laddove, anche successivamente all’ingresso, sussistano le condizioni di pericolo..."; "...impegno a rispettare tutte le disposizioni delle Autorità e del datore di lavoro nel fare accesso in azienda (in particolare, mantenere la distanza di sicurezza, osservare le regole di igiene delle mani e tenere comportamenti corretti sul piano dell’igiene)..."; "...impegno a informare tempestivamente e responsabilmente il datore di lavoro della presenza di qualsiasi sintomo influenzale durante l’espletamento della prestazione lavorativa, avendo cura di rimanere ad adeguata distanza dalle persone presenti"
4. Non viene riaffermata come principale per la tutela dei lavoratori, la loro legittimità a fermarsi a fronte di mancanza di sicurezza; pertanto il protocollo su questo è nettamente è un enorme passo indietro rispetto a quanto stabilito dal TU 81/08 nell'art. 44 che dice chiaro: "1. Il lavoratore che, in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere evitato, si allontana dal posto di lavoro o da una zona pericolosa, non può subire pregiudizio alcuno e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza dannosa; 2. Il lavoratore che, in caso di pericolo grave e immediato e nell'impossibilità di contattare il competente superiore gerarchico, prende misure per evitare le conseguenze di tale pericolo, non può subire pregiudizio per tale azione, a meno che non abbia commesso una grave negligenza".
5. Per gli operai mandati a casa dalle aziende non è indicata la integrazione al 100% della retribuzione; ma: o si scarica sulle voci di paga dei lavoratori (par, rol, banca ore, ma anche ferie), per cui sono gli stessi lavoratori che si devono pagare i giorni di assenza - e ci vuole una bella faccia tosta a scrivere "consentire l'astensione dal lavoro senza perdita della retribuzione"; o sugli ammortizzatori sociali. D'altra parte sulla cassintegrazione in deroga non si impegnano le aziende ad anticiparla, col rischio che i lavoratori la ricevano dopo tre mesi dall'Inps.
6. Anche per le grandi aziende, non si indica come primo e immediato controllo e intervento sanitario il medico aziendale, ma unicamente i riferimenti che riguardano genericamente la popolazione: "...Le persone in tale condizione (cioè trovata con una temperatura superiore ai 37,5°) saranno - dice il Protocollo - momentaneamente isolate e fornite di mascherine non dovranno recarsi al Pronto Soccorso e/o nelle infermerie di sede, ma dovranno contattare nel più breve tempo possibile il proprio medico curante e seguire le sue indicazioni.". In un altro punto si scrive: "nel caso una persona sviluppi sintomi.... l'azienda procede immediatamente ad avvertire le autorità sanitarie competenti e i numeri di emergenza forniti dalla Regione o dal Ministero della Salute"
Il che è grave perchè l'urgenza di accertare e di intervenire nelle fabbriche, in cui tanti operai sono spesso fianco e fianco, è essenziale per evitare contagi e tutelare il lavoratore.
7. Sui dispositivi di protezione individuali, come sulle distanze di sicurezza il Protocollo dice... ma ad ogni passaggio deroga.
Intanto si premura di mettere le mani avanti scrivendo che "l’adozione delle misure di igiene e dei dispositivi di protezione individuale... è evidentemente legata alla disponibilità in commercio..."; quindi se non vengono forniti la responsabilità non è dell'azienda.
Dopo di che cominciano le deroghe: alle mascherine "... in caso di difficoltà di approvvigionamento... potranno essere utilizzate mascherine la cui tipologia corrisponda alle indicazioni dall’autorità sanitaria" (e si vede quali mascherine, in deroga, fanno usare anche grandi aziende); alle distanze di sicurezza: "...qualora il lavoro imponga di lavorare a distanza interpersonale minore di un metro... è comunque necessario l’uso delle mascherine, e altri dispositivi di protezione (guanti, occhiali, tute, cuffie, camici, ecc…)..."
8. Sull'organizzazione aziendale (chiusura di reparti, rimodulazione dei livelli produttivi, turnazione, ecc.) da un lato è tutto posto come "possibilità" delle aziende, non come obbligo e dall'altro si dice che la chiusura può essere di "tutti i reparti diversi dalla produzione"; quindi la produzione deve essere salvaguardata e per tutte le aziende (dato che qui non si fa una distinzione tra aziende addette ai servizi pubblici essenziali e le altre). Qui siamo oltre la conciliazione, siamo a dire che l'economia dei padroni non si tocca, e sono se mai i lavoratori che (con turni) devono "rimodularsi ai livelli produttivi".
9. Vengono vietate riunioni, e quindi le assemblee: "non sono consentite le riunioni in presenza"; il distanziamento, che guarda caso nell'attività produttiva è auspicabile, qui, nell'esercizio dei diritti sindacali diventa invece un obbligo allo scopo di sospendere ai lavoratori questo diritto; gli operai possono stare fianco a fianco a lavorare ma non per discutere, decidere.
Il coronavirus viene usato dai sindacati confederali per accentrare ancora di più tutto il potere sindacale nelle loro mani; questo vale anche per le "intese" che le aziende devono avere con i sindacati in questo periodo, per cui anche col Protocollo (con cui alla fine si dà vita in azienda ad "un Comitato per l'applicazione e la verifica delle regole del protocollo" si stabilisce che le uniche rappresentanze dei lavoratori sono cgli, cisl, uil.
QUESTO PROTOCOLLO DIVENTA QUINDI ESSENZIALMENTE UN REGOLAMENTO, UNA SERIE DI OBBLIGHI PER I LAVORATORI, NON CERTO PER I PADRONI.
Anche questa volta i sindacati confederali, governo, associazioni padronali hanno trovato l'unità e la quadra per tentare di bloccare le proteste, gli scioperi che in questo periodo i lavoratori stanno facendo soprattutto nelle fabbriche.
Ma quello che continua ad avvenire in tante realtà lavorative, dalle fabbriche Fiat a quelle di Bergamo, come nelle Poste, ecc, in cui per continuare l'attività, risparmiare sui costi delle misure si mette a rischio la vita dei lavoratori, straccia in mille pezzi questo protocollo
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