giovedì 19 marzo 2020

Sul protocollo del 14 marzo di sindacati confederali e associazioni padronali - Un primo commento che condividiamo

Stralci del documento Si.cobas-adl

Prima di entrare nel merito dei vari DPCM e di questo Protocollo è necessario fare alcune premesse.
1) L'articolo 44 del D. Lgs 81/08 (intitolato “Diritti dei lavoratori in caso di pericolo grave e immediato) stabilisce: “1- il lavoratore che, in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere evitato, si allontana dal posto di lavoro o da una zona pericolosa non può subire pregiudizio alcuno e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza dannosa”.
in un contesto quale quello attuale (quale pericolo può mai essere più grave e immediato di una pandemia in fase di continua espansione?) le norme già esistenti sulla tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro prevedono la non punibilità e non contestabilità del lavoratore che si astiene dallo svolgere la prestazione per preservare la sua incolumità.
il Protocollo firmato da governo, padroni e sindacati collaborazionisti, invece che riaffermare questo sacrosanto diritto e casomai specificarlo e allargarlo sotto il profilo della tutela dei livelli salariali, tende ad eluderlo, vanificarlo e ad annullarlo...

Ciò detto...
L'ACCORDO GOVERNO-SINDACATI CONFEDERALI-PADRONI NON RECEPISCE PER NIENTE LE INDICAZIONI EMERSE DALLE LOTTE OPERAIE DI QUESTI GIORNI!
Il testo firmato da governo e parti sociali lascerà la gestione della sicurezza ed emergenza sanitaria nelle fabbriche e in tutti i posti di lavoro alla discrezione degli imprenditori...
Nella premessa del decreto viene riportato che le uniche intese tra organizzazioni sindacali e datoriali devono essere inerenti alle attività produttive, sancendo ancora una volta il primato della produzione sulla vita, sulla salute, sui diritti dei lavoratori!
Vengono inserite molte norme comportamentali la cui verifica diventa di fatto impraticabile. Ma proviamo a vedere i punti di maggiore criticità.
al punto 2 del capitolo “MODALITA’ DI INGRESSO” al secondo paragrafo si dice “Il datore di lavoro informa preventivamente il personale e chi intende fare ingresso in azienda, della preclusione dell’accesso a chi, negli ultimi 14 giorni, abbia avuto contatti con soggetti risultati positivi al COVID 19 o provenga da zone a rischio secondo le indicazioni dell’OMS”. E qui “casca l’asino”, nel senso che se tutta Italia è considerata zona a rischio, ed in particolar modo in tutte le aree del nord nelle quali la pandemia è cresciuta in modo esponenziale, è chiaro che nessuno potrebbe entrare a lavorare.
Viene poi stabilita tutta una serie di regole sulle misure di distanza di sicurezza, sulle modalità di ingresso e di uscita, sul come stare in mensa, sull’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, ma nulla si dice ad esempio sul come i lavoratori arrivano al lavoro.
Per quanto riguarda i DPI non sono più obbligatori quelli conformi alle disposizioni dell’OMS, ma possono essere utilizzati dispositivi reperibili attualmente sul mercato.
Viene fatto divieto di qualsiasi riunione in azienda, quindi anche di svolgere assemblee sindacali, ma se così è, chi dovrebbe garantire l’applicazione delle disposizioni.
In merito alla sorveglianza sanitaria si fa riferimento genericamente al medico competente. Non si prevedono specifici controlli delle Asl.
Si demanda ad una comitato formato da azienda e rls e rsa, dove le stesse non hanno nemmeno avuto una specifica formazione in tal senso, se non ad opera del sindacato li dove c'è.
Ma c’è un punto fondamentale che chiarisce quanto questo Protocollo sia del tutto inefficace:
Anche in caso di una persona rivelatasi positiva al Covid 19 , non è prevista la quarantena per tutti quei lavoratori che hanno lavorato nello stesso reparto, e non è consentito ai lavoratori di decidere di mettersi in quarantena, ma è sempre e solo l’azienda che “potrà chiedere agli eventuali possibili contatti stretti di lasciare cautelativamente lo stabilimento.

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