di Gianmario Leone -
6 maggio 2016
E’ la nuova denuncia di Contramianto,
che da anni segue le vicende legate alle malattie che hanno colpito e
colpiscono i dipendenti della Marina Militare e in particolare
dell’Arsenale
Non è dato sapere perché sono stati considerati sempre dei malati
di ‘serie B’ e delle vittime di ‘serie B’. O forse sì: sarà
perché non si sono ammalati nell’Ilva e non sono deceduti per
malattie contratte nell’oramai tristemente famoso siderurgico più
grande d’Europa. Resta il fatto, inoppugnabile e incontrovertibile,
che sono anch’essi stati dei lavoratori; che hanno svolto le loro
funzioni in un ambiente malsano e inquinato; che anch’essi hanno
lavorato per decenni per lo Stato; che anche a loro non è stato
detto dei pericoli che correvano, dei rischi a cui erano esposti. La
verità è che li hanno mandati a morire, uno dopo l’altro, per un
astruso senso del ‘dovere’. O perché, se volete, li hanno sempre
considerati essere umani di ‘serie B’. Resta il fatto che sono
esistiti. E che ancora oggi si ammalano a distanza di anni, durante
la meritata pensione. Perché il tumore provocato dall’amianto (il
meglio conosciuto mesotelioma pleurico), può sedimentare silenzioso
per un quantitativo di anni indefinito: poi, però, quando viene
fuori e lo scopri, è sempre troppo tardi. E la conclusione è da
sempre per tutti la stessa. Almeno in questo caso, di fronte alla
morte, non ci sono esseri umani di ‘serie A’ e di ‘serie B’:
siamo tutti uguali e ci attende lo stesso destino.
Se non fosse per Luciano Carleo e
l’associazione di cui è presidente, Contramianto e
altri rischi onlus, chissà se qualcuno si sarebbe mai interessato a
parlare e a denunciare dell’esposizione all’amianto e alla
radiazioni a cui furono sottoposti tanti lavoratori
sino “agli anni Ottanta a bordo del naviglio militare e nelle
officine dell’Arsenale della Marina Militare di Taranto con effetti
cancerogeni che nel tempo possono aver avuto un ruolo determinante
per il decesso di due operai civili del Ministero della Difesa i cui
familiari hanno chiesto aiuto alla nostra associazioni per avere
giustizia per la morte dei loro cari“
.
.
Il presidente di Contramianto, ancora
una volta, racconta e ripercorre la storia di quei lavoratori:
“Trent’anni al servizio della Marina Militare come elettronici
nello stabilimento navale tarantino, dopo la pensione la malattia e
la scoperta del cancro e la morte per mesotelioma pleurico e tumore
alla laringe, neoplasie strettamente correlate all’amianto ma per
le quali riteniamo che anche le radiazioni ionizzanti possano aver
contribuito con un’azione cancerogena sinergica“. Casi non
sporadici: ci sono almeno altri sei morti nell’archivio
di Contramianto “operai elettronici Arsenale deceduti per
mesotelioma e cancro polmonare tutti esposti all’amianto ma anche a
rischio di radiazioni ionizzanti per aver lavorato con
apparecchiature valvolari e radar che emettevano radiazioni
potenzialmente pericolose. Eppure gli effetti cancerogeni delle
radiazioni ionizzanti sono noti da oltre novant’anni come il fatto
che sono causa di forme tumorali correlate“.
L’associazione ricorda inoltre come
non “esiste un livello di esposizione alle radiazioni ionizzanti,
come per l’amianto, che per quanto basso possa definirsi senza
alcun effetto cancerogeno, i livelli soglia stabiliti di esposizione
ai cancerogeni sono valori limiti accettabili ma non di totale
sicurezza per la salute“.
Contramianto dopo aver acquisito tutta
la documentazione lavorativa e sanitaria dei due operai ha inoltrato
le istanze delle vedove per il riconoscimento della malattia
professionale “ora dovranno essere gli organi preposti a valutare
le possibili correlazioni tra radiazioni, amianto, lavoro e tumori
causa di morte. Noi – rimarca il presidente Luciano Carleo –
ritieniamo necessario che le istituzioni approfondiscano la questione
per fare chiarezza su questi decessi con i quali si aprirebbe un
nuovo fronte per malattie e morti in Marina Militare che potrebbero
essere legate non solo all’amianto ma anche alle
radiazioni. Intanto salgono a 198 i casi di patologie asbesto
correlate anche ad altri rischi presenti in archivio Contramianto ed
associate ad attività in Marina militare“. Negli ultimi due mesi,
poi, sarebbero stati segnalati a Contramianto altri sette casi di
operai che hanno lavorato all’Arsenale della Marina Militare di
Taranto e a bordo delle navi “affetti da neoplasie anche con
effetti mortali, in particolare abbiamo registrato tre casi di
mesotelioma pleurico, due tumori polmonare, un carcinoma renale“.
Nel corso degli anni sono stati diversi
i riconoscimenti di risarcimento danni alle famiglie che hanno perso
dei congiunti per asbesto e mesotelioma. E tanti altri ne seguiranno
ancora. Il processo penale più importante sul caso di questi
lavoratori, di Taranto e non solo, è in corso a Padova (diversi
invece sono in corso a Taranto). Diversi direttori di arsenali,
ufficiali e vertici della Marina Militare, devono rispondere di una
lunga serie di accuse: imprudenza, negligenza e imperizia per
aver esposto, secondo l’accusa, ad agenti nocivi, polveri e
amianto, i lavoratori. Vengono contestate numerose violazioni
delle norme antinfortunistiche, che nel corso del procedimento
dovranno essere accertate, per omissione, di informazione sui rischi
specifici ai quali il lavoratore era esposto, mancanza dei mezzi di
protezione, segregazione degli ambienti di lavoro, adozione di
provvedimenti per eliminare o ridurre i rischi di esposizioni ad
agenti nocivi da cui sono derivati danni all’apparato respiratorio
dell’operaio esposto a polveri metalliche e di amianto durante il
lavoro.
Le esposizioni all’amianto si
ritengono poter essere state significative sia all’interno delle
officine dell’Arsenale della Marina Militare di Taranto, dove
anche successivamente alla messa al bando dell’amianto con la legge
257/92 si registravamo valori ben oltre il limite delle 100
fibre/litro, sia all’interno dello stabilimento militare che a
bordo di navi e sommergibili con interventi di bonifica amianto che
sono ancora in corso e che hanno riguardato tutti i locali nave con
ben 700 tonnellate di amianto anche friabile rimosso dal naviglio di
base all’Arsenale MM di Taranto.
Una strage annunciata quella degli
operai dell’Arsenale MM di Taranto se si pensa ai livelli di
esposizione all’amianto che si è determinata nel corso dei decenni
e del numero dei dipendenti, diverse migliaia, che hanno respirato le
fibre killer di asbesto. Tra l’altro da anni Contramianto denuncia
come Taranto registri un record per le malattie asbesto correlate
all’amianto. Sono infatti il 67% i lavoratori tarantini che
soffrono delle patologie causate dall’amianto denunciate nel
periodo 2010-2013 in Puglia all’INAIL. Per questo periodo delle 262
richieste di malattia professionale INAIL in Puglia correlate
all’amianto (asbestosi, placche, ispessimenti, mesotelioma,
carcinoma polmonare) sono 175 quelle di Taranto.
In particolare sono state denunciate
all’INAIL di Taranto tra il 2010 e 2013 ben 97 casi di tumori al
polmone causati dall’amianto (36 mesotelioma e 61 cancro
polmonare), si tratta di lavoratori esposti all’amianto in attività
prevalentemente Arsenale Marina Militare e ex Italsider/Ilva. Intanto
dalle anticipazioni del V Rapporto del Registro Nazionale Mesotelioma
risulta che in Italia tra il 1993 e il 2012 sono stati registrati
19956 mesotelioma, tra le vittime la sopravvivenza media è 9 mesi,
la latenza 46 anni, l’età media della diagnosi 69,5 anni.
E’ quanto mai importante ricordare e
non dimenticare che i danni provocati dall’amianto erano ben noti
ai vertici della Marina Militare, così come gli effetti cancerogeni:
come riportammo anni addietro sulle colonne del ‘TarantoOggi’,
nel 1968 la Marina Militare commissionò una indagine epidemiologica
all’Istituto di Medicina del Lavoro dell’Università di Bari
sugli operai dell’Arsenale di Taranto, dalla quale emersero casi di
neoplasie polmonari in molti lavoratori esposti ad amianto.
Nonostante ciò, non vi fu mai, da
parte dei vertici militari del periodo, nessuna informazione ai
dipendenti del rischio amianto nelle attività in officina e a bordo
delle navi. Nessuno si prese la briga di informare gli operai e di
sospendere i lavori: tutto proseguì come se nulla fosse. “Morire
d’amianto per aver lavorato negli Arsenali della Marina Militare e
a bordo delle navi senza adeguate tutele per la salute” è stato il
destino di molti operai tarantini. Addirittura, già a partire dalla
fine degli anni ’40, la pericolosità dell’amianto per la salute
dei militari era noto e studiato dalle strutture sanitarie della
Marina Militare ed in ambito Nato l’esposizione all’amianto fu
oggetto di apposito studio pubblicato dalla US Navy nel 1961 sui
rischi lavorativi alla salute legato all’esposizione all’amianto
nella Marina Militare.
Nel solo periodo 1993-2005,
nell’Arsenale Marina Militare di Taranto sono state rimosse da
Officine e Navi 600 tonnellate di amianto. Per il solo Arsenale di
Taranto, Contramianto ha registrato 76 casi di cancro. Nel dettaglio,
50 mesotelioma, 70 tumori polmonari ed extra polmonari, 130 casi tra
ispessimenti, placche pleuriche e broncopatie. Una situazione che a
livello nazionale sembra essere molto più evidente con riscontri che
indicano in Marina militare complessivamente 530 casi di patologie
asbesto correlate di cui 370 mesotelioma: una vera e propria strage
di Stato. Anche in questo caso però, i dati raccolti sono parziali.
Da qui la necessità (come ad esempio per il caso endometriosi) di
istituire un Registro nazionale delle patologie asbesto correlate in
Marina Militare, nel quale ricomprendere i casi di morbilità e
mortalità di operai e militari vittime dell’amianto.
Per pulirci la coscienza, le abbiamo
chiamate “vittime del dovere”. Ma siccome parlarne non porta
visibilità a livello locale e nazionale; non regala le prime pagine
dei giornali nazionali; non comporta servizi televisivi nelle
trasmissioni giornalistiche di punta; non porta e non porterà mai
voti alle elezioni (che siano esse comunali, regionali o nazionali,
non le provinciali che oramai non esistono più); non commuove
l’animo delle persone perché ad ammalarsi sono persone molto in
avanti con l’età e non bambini innocenti; non è visibile ad
occhio nudo né la malattia né il luogo di lavoro; non pare
interessare medici, avvocati, giornalisti, ambientalisti, politici e
quant’altri in questi ultimi 4 anni hanno ridisegnato le loro
carriere grazie all’Ilva; i processi e i risarcimenti ottenuti
dalle famiglie non vengono seguiti dalle telecamere di mezzo mondo e
quindi è come se non esistessero; allora, per tutti questi motivi e
tanti altri ancora, semplicemente si tace. Perché in fin dei conti
la Marina Militare, insieme all’Italsider/Ilva, è stato l’altro
grande ammortizzatore sociale di questa città. Ed ora, che da
diversi anni ha deciso di aprire l’Arsenale al ‘turismo’, la
camera iperbarica ai semplici cittadini, di cedere tramite il Demani
diversi stabili della città abbandonati da decenni, e dopo aver
rimesso a nuovo e reso un gioiello unico in Italia e non solo il
Castello Aragonese, chi vuoi che vada a chieder conto dei malati per
amianto? Chi vuoi che vada a chiedere a giustizia per quei
lavoratori? E, in ultimo ma non per importanza, chi vuoi che vada a
chieder conto di aver avvelenato per decenni parte del I seno del Mar
Piccolo?
Tutto questo non fa tendenza. Non fa
share. Non porta visibilità e riflettori. E quindi, molto
semplicemente, non se ne parla. Tutto resta sommerso, nascosto.
Eppure esiste, c’è. Sono storie di uomini e donne. Di figli,
fratelli, padri, madri, nonni. Per fortuna c’è chi, come
l’associazione Contramianto (o come nel caso dell’Eni con il
comitato Legamjonici) non ha ceduto al delirio che ha colpito da
tempo questa città e tanti suoi ‘illustri’ protagonisti e
‘menestrelli da tastiera’. Ma prima o poi, sappiatelo, la Storia
che ora vi concede di farvi belli e bravi agli occhi della massa
distratta e disinformata (oltre che ignorante perché ignora sul
serio la storia di questa città e dei suoi abitanti), verrà a
presentare il suo conto. E quando questo avviene, sconti non ce ne
sono più per nessuno. Auguri.
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