...sono arrivate ulteriori conferme della presenza e partecipazione all’operazione in questione della Cassa Depositi e Prestiti. Secondo quanto hanno riferito e confermato anche all’Adnkronos alcuni fonti finanziarie, la Cdp entrerebbe in una newco da anchor investor con una quota di minoranza. L’obiettivo del governo e di Cdp sarebbe quello di far ritornare l’Ilva ad essere il punto di riferimento nazionale della siderurgia italiana in grado di poter competere anche sui mercati mondiali. Un ruolo come anchor investor in una newco con una quota di minoranza potrebbe, secondo ambienti finanziari, dovrebbe inoltre ridurre al minimo il rischio che l’intervento di Cdp possa essere considerato un aiuto di stato da parte della Commissione europea che da tempo ha messo sotto i riflettori i vari interventi economici dello Stato italiano nella vicenda Ilva, e che segue molto da vicino le operazioni della vendita e/o della cessione in affitto degli asset del gruppo. Questo perché in questo particolare caso, non si tratterebbe di un’operazione che punta al salvataggio diretto di un’azienda in crisi, ma ad una partecipazione così detta di traino, attraverso un contributo più rilevante dal punto di vista istituzionale che finanziario, in un veicolo sano, la nuova newco, che punterebbe a fare utili nel giro di un paio di anni (o forse qualcosa in più) e a far crescere il pil italiano. Il che spiegherebbe perché tutti i gruppi sino ad ora in corsa abbiano messo come punto fermo ed imprescindibile ad un loro intervento, la presenza della Cdp nella futura cordata che andrà a rilevare il gruppo Ilva. Quanto agli interlocutori industriali con cui Cdp avrà a che fare, la decisione verrà presa soltanto attraverso la valutazione e la scelta del piano industriale più solido e delle tappe di attuazione del piano risanamento ambientale più credibile: per rilanciare da un lato un settore strategico per il sistema Italia come la siderurgia, l’enorme indotto e tutto il comparto manifatturiero e metalmeccanico italiano, e per salvaguardare la salute e l’ambiente dell’intera area di Taranto e della sua provincia.
Al momento, le cordate in campo paiono essere due: da un lato i turchi di Erdermir, che potrebbero guidare una cordata con il gruppo Arvedi e Luxottica, dall’altro il colosso ArcelorMittal in cordata con il gruppo Margegaglia. Proprio oggi nella commissione Industria della Camera si sarebbe dovuta svolgere l’audizione del gruppo Arvedi, che però è stata rinviata. Nonostante questo intoppo, secondo fonti ben informate proseguono i contatti tra il gruppo Arvedi e Erdemir per trovare un’intesa e chiudere il loro accordo di partnership in vista di un’offerta vincolante per l’acquisto dell’Ilva. A questa seconda cordata, come detto da tempo, potrebbe partecipare anche Leonardo Del Vecchio, proprietario di Luxottica, attraverso la sua holding Delphin (si parla di una partecipazione intorno ai 200 milioni di euro).
Per quanto riguarda invece l’altra cordata, il gruppo Marcegaglia e il gruppo Arcelor-Mittal hanno comunicato ufficialmente la volontà di presentare un’offerta insieme per l’acquisizione dell’Ilva. Secondo fonti molto vicine all’operazione, i due concorrenti hanno formalmente manifestato ai commissari la volontà di costituire una joint venture per presentare un’offerta. La cordata che avrebbe come capofila il gruppo Arcelor potrebbe accogliere anche altri soci (come peraltro previsto dal bando) e allo stesso tempo, secondo quanto si apprende, i due gruppi si sono detti anche pronti a partecipare da soli. Per quanto concerne l’assetto della cordata, già nei giorni scorsi erano circolate alcune cifre sull’operazione. Secondo quanto riportato anche dall’agenza Adnkronos, la quota che farebbe capo al gruppo italiano sarebbe compresa fra il 15 e il 20%. Mentre l’impegno che spetterebbe a Cdp, nel caso in cui accettasse di entrare nella newco che verrebbe costituita, sarebbe compreso tra il 20 e il 30%. ArcerloMittal andrebbe a coprire la restante parte, anche se probabilmente non tutta, perché la volontà del governo resta quella di lasciare la maggioranza delle quote in mano a gruppi italiani. Del resto, è risaputo che il gruppo ArcelorMittal non sia visto di buon occhio dall’esecutivo e dai sindacati. Difficile al momento prevedere cosa accadrà. Visto che non bisogna dimenticare la presenza del fondo di tournaround voluto dal governo.
Sia come sia, come ribadiamo da anni, il futuro dell’Ilva e di Taranto non si deciderà, per fortuna, in un’aula di tribunale (italiano o internazionale che sia), visto che la magistratura indaga ed eventualmente punisce i reati del passato. Stante l’assoluta legittimità di voglia di giustizia (seppur all’interno di un processo storico ed unico in Italia e in Europa come ‘Ambiente Svenduto’, che purtroppo però indaga solo in minima parte le responsabilità politiche e non di quanto avvenuto dal 1995 al 2012) che troppo spesso in questa città finisce per assumere toni da medioevo, la realtà attuale e il futuro restano avvolti in una nebbia alquanto preoccupante. Che, per una volta, non deriva dai fumi della grande fabbrica.