sabato 1 giugno 2013

Ilva: "Salviamo il capitalismo!", prima di tutto...


Su Sole 24 Ore di ieri è uscito un altro articolo di Paolo Bricco sull'Ilva "UNA SFIDA DA IMPRENDITORI - L'industria prima di tutto". 
Questo giornalista non è nuovo ad articoli che fanno da megafono della voce dei padroni italiani, dei loro interessi e delle loro preoccupazioni (chiaramente solo quelle loro) sulla questione del rischio chiusura dell'Ilva di Taranto. Già il 25 maggio aveva scritto: 

"Il capitalismo italiano rischia di perdere un altro pezzo. Insostituibile. La siderurgia è una componente vitale del nostro sistema industriale. L'Ilva è il suo cuore. La scelta dei magistrati di Taranto di sequestrare i beni dei Riva introduce un nuovo - inatteso - elemento di instabilità strutturale...
L'Ilva di Taranto non significa solo i 12mila addetti diretti impegnati nella fabbrica. Le sue potenziali dieci milioni di tonnellate di acciaio all'anno equivalgono ai due quinti della produzione totale italiana, sia dei prodotti lunghi sia dei prodotti piani. I soli prodotti piani (coils, nastri e lamiere) si attestano al 74% dell'offerta italiana. Al netto dell'acciaio importato dall'estero, l'Ilva soddisfa il 67% del consumo effettivo del nostro sistema industriale. Una quota enorme. Che pervade in ogni sua parte il Made in Italy. Il 25% della componentistica italiana destinata all'automotive è infatti realizzato con l'acciaio prodotto negli altiforni di Taranto. Lo stesso capita per il 16% dei casalinghi, per il 20% delle macchine e degli apparati meccanici, per l'8% della carpenteria pesante e per il 4% del bianco....
Gli effetti di questo sequestro, con la nomina di Mario Tagarelli, commercialista in Taranto con studio in Via Principe Amedeo 146, (è evidente l'ironia - ndr) a custode e amministratore giudiziario dei beni dei Riva, sono tutti da chiarire... Se la situazione precipitasse, il nostro sistema industriale non potrà permettersi la chiusura di Taranto. E, forse, nemmeno che l'acciaieria venga acquisita da una multinazionale straniera..."

Nell'articolo del 31 maggio è ancora più esplicito su cosa per questo sistema sarebbe in gioco:

"L'industria, prima di ogni cosa. L'Ilva non può essere gestita con criteri non imprenditoriali. La posta in gioco è troppo alta. L'ottavo gruppo siderurgico al mondo è un'impresa. La sua proprietà deve restare privata. E l'unica possibilità che si ha per garantire la continuità aziendale...
...C'è nell'aria un clima che, con la cultura dell'impresa privata, c'entra poco: si parla di nazionalizzazione, in molti non comprendono l'irrazionalità dell'attuale assetto, con i magistrati trasformatisi in azionisti de facto, prossimi a nominare i vertici operativi dell'ottavo gruppo siderurgico al mondo. Soltanto una proprietà privata, soltanto una governance basata sui principi del capitalismo europeo possono garantire il buon funzionamento - e anche la realizzazione delle bonifiche e degli ammodernamenti prescritti dall'Aia - di un colosso industriale e commerciale. Tutti sembrano dare per scontato che, i Riva, siano ormai fuori gioco. E, in molti, ampliano il discorso mettendo in dubbio che l'impresa debba continuare a essere a capitale privato. Gli imprenditori lombardi, se hanno sbagliato con la salute delle persone e con il fisco italiano, pagheranno i loro conti personali. E, se glie lo sarà consentito, saranno loro a dovere finanziare - secondo le regole fissate dall'Aia - le bonifiche necessarie. Estrometterli per principio dalla gestione dell'azienda significa stabilire una equivalenza generale fra imprenditori e criminali. 
...Fare però passare il principio che un'impresa può anche essere condotta con criteri non imprenditoriali da non imprenditori significa condannare l'impresa stessa a un rapido default delle sue finanze aziendali. Come, infatti, a Taranto sta già capitando in queste ore. Con le prossime ricadute sulla tenuta del nostro sistema manifatturiero, che dalla siderurgia imperniata sull'Ilva ottiene una fetta considerevole delle sue forniture, essenziali per una economia di trasformazione come la nostra. Nessuno, peraltro, osa immaginare quale stato d'animo possano avere i lavoratori dell'Ilva....

Ciò che emerge da questo articolo è la preoccupazione che ciò che è in gioco è la salvaguardia stessa del capitalismo; ciò che emerge è l'immutabilità del capitalismo come unico ed eterno sistema che può garantire una "governance"; una sorta di idolatria della "proprietà privata" che non deve essere toccata altrimenti tutto crolla. E' l'elogio degli imprenditori che - al di là di qualche pecora nera che avrà fatto qualche "piccolo errore personale" - salvano l'Italia, brave persone e mai "criminali". 

Ora, al di là che nessun magistrato, nessuna Giud. Todisco vuole mettere in discussione la proprietà privata e il capitalismo (ma soltanto correggere le sue "aberrazioni"); al di là che anche chi oggi parla di nazionalizzazione (dalla Fiom alla Uilm, all'Usb, a Paolo Ferrero di Rifondazione comunista, ecc.) non sta affatto pensando al socialismo in cui è abolita la proprietà privata, il profitto e il sistema di sfruttamento dei padroni... - Stia tranquillo su questo Paolo Bricco! 
Al di là di questo, la "voce del padrone" (Sole 24 Ore e alcuni dei suoi giornalisti) nasconde che ciò che è accaduto all’Ilva – tra l’altro, appunto, non una fabbrichetta ma un colosso mondiale – è proprio il frutto del sistema capitalista (che Bricco vuole salvare). Non si tratta di un particolare “cattivo padron Riva”, ma del funzionamento normale del sistema capitalista e imperialista che come un vampiro per il “profitto”, come alla Fiat taglia migliaia di posti di lavoro e instaura un regime da moderno fascismo padronale in fabbrica, all’Ilva (ma anche in tante altre fabbriche della “morte”, vedi Eternit, Thyssen, Marlane, ecc. ecc.) taglia sui costi (per il capitale altamente improduttivi) della salute, della sicurezza, dell’ambiente (ma non lo disse già il governo Berlusconi che questi costi erano superflui?!).
E’ il sistema normale dei padroni che per difendere i loro utili “privati” – ma frutto di una produzione che è sociale – hanno tutto un sistema di “professionisti delle truffe”, fanno finte operazioni industriali e vere truffe finanziarie – con aiuto di banche, di leggi truffadine dei governi; è il sistema normale dei “bravi imprenditori” quello di “prendi i soldi e scappa”, di nascondere miliardi, frutto dello sfruttamento, del sangue degli operai, nei paradisi fiscali – ma che si crede Bricco che a Curacao o a Jersey stanno solo i soldi dei Riva?
Cosa sono questi capitalisti, come chiamarli? Non sono tutti “CRIMINALI”?

Chi l’ha detto che le fabbriche possono funzionare solo applicando i “principi del capitalismo”? Certo per i padroni, Sì – altrimenti non sarebbero capitalisti…
Ma per gli operai, per il proletariato, per le masse popolari, Riva è la dimostrazione a cosa portano i “principi, sacri e inviolabili, del capitalismo”.
Nessuno può far illudere che altri capitalisti o cordate di imprenditori possano salvare l’Ilva nel senso giusto di salvare posti di lavoro e salute. Andatelo a chiedere ai lavoratori buttati in mezzo ad una strada dell’Alitalia (“salvata” da una cordata in cui c’era anche Riva), se è vero! – e per piacere, caro giornalista, lascia stare “lo stato d'animo che possano avere i lavoratori dell'Ilva…” , di cui né tu né i tuoi padroni potete avere lontanamente idea…

E’ proprio il capitalismo, signori!, che per i suoi “principi” porta morte!
Ciò che l’Ilva dimostra è che sempre più viene alle corde la contraddizione del sistema capitalista tra produzione sociale fatta da milioni di operai e l’appropriazione privata – il ladrocinio - della ricchezza sociale da parte di un pugno di capitalisti! E’ questa contraddizione che è il cancro! E’ questa contraddizione – la quale via via che la crisi del capitalismo avanza si mostra chiaramente come irrisolvibile – che deve saltare! Le fabbriche sono di chi produce, sono degli operai. Che quando avranno il potere e le potranno gestire con i principi che la produzione torna a chi l’ha prodotta e alle masse popolari, dimostreranno ampiamente di saperle ben gestire con criteri non “imprenditoriali”, ma sociali.
E’ possibile e necessario rovesciare il sistema capitalista. Esso non è affatto eterno! Il contrasto stridente tra sistema di produzione capitalista e forze produttive sociali è stridente e sempre più, se non risolto, produrrà disastri.
E’ chiaro che questo sistema capitalista – che si difende con le unghie e con i denti e ha dalla sua un forte esercito, fatto di Stato, governi, polizia, ma anche di sindacati confederali, giornalisti, ecc. – non potrà esplodere da solo. Sono gli operai organizzati in un loro partito – comunista – costruendo un loro “esercito” e un fronte ampio delle masse popolari (che sono il 90% della società), che lo dovranno rovesciare con la rivoluzione proletaria.

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